— Io voglio continuare — disse Odal, senza esitazioni.
Leoh annuì. — Anch’io.
— Benissimo — disse il meditec capo. Poi, rivolto a Odal, aggiunse: — Avete la scelta dell’ambiente e dell’arma. Sono necessarie spiegazioni particolari?
Il maggiore scosse la testa. — Sapete guidare un’auto, professore? — Al cenno affermativo di Leoh, dichiarò: — Non occorre sapere altro.
Leoh si ritrovò seduto al volante di una lucente automobile blu. Tettuccio di plastica trasparente, sedili imbottiti, motore pulsante in un cofano dalle linee aerodinamiche.
Davanti a lui si allungava una strada che, dritta come una freccia, andava a perdersi all’orizzonte, dove le montagne azzurrine con le cime dentellate si alzavano contro il cielo giallastro. L’auto era ferma a lato della strada, in folle. Il paesaggio tutt’attorno ricordava un deserto squallido, piatto, anonimo, senza una nube e caldissimo.
Dalla radio inserita nel cruscotto, uscì la voce di Odal. — Io sono fermo a cinque chilometri da voi, professore. Lanciatevi e vi seguirò. Queste auto hanno ruote, non cuscini d’aria, e non possiedono paraurti magnetici né comandi elettronici che vi tengano agganciato al piano stradale. Tra qualche chilometro, quando la strada si inerpicherà sulle montagne, il percorso diventerà molto interessante. Naturalmente, lo scopo di questa corsa è di schiantare l’auto dell’avversario. Ma se riuscirete a non farvi sorpassare da me per mezz’ora, vi riconoscerò vincitore.
Leoh lanciò un’occhiata ai comandi, toccò un pulsante e diede un colpo di acceleratore. La turbina ronfò dolcemente e il veicolo si lanciò sulla strada, raggiungendo in pochi secondi la velocità di centocinquanta chilometri l’ora. Sullo schermo del retrovisore Leoh vide un’auto rossa, identica alla sua tranne nel colore, a circa dieci lunghezze di distanza.
— Vi lascio provare per un po’ l’ebbrezza della velocità, fino a che resteremo sul rettilineo — disse la voce di Odal attraverso la radio. — Il gioco comincerà sul serio quando arriveremo in montagna.
Leoh si accorse che ormai la strada cominciava a salire. Una salita dolce, ma, data la velocità, le due macchine si trovarono presto molto alte sopra la pianura deserta. Le montagne non erano più solo delle pieghe azzurre lontane, ma torreggiavano imponenti, nude, sparse di arbusti bassi e di macchie d’erba.
Leoh si accorse all’ultimo momento della prima curva, tanto gli si parò davanti inaspettata. La tagliò abilmente, schiacciò il freno e la superò sbandando leggermente.
— Cominciamo male — rise Odal.
Ora l’auto rossa era appena dietro il parafango sinistro di quella di Leoh e la spingeva contro una sporgenza rocciosa, sul lato destro della strada. Il professore sentiva il tamburellare dei ciottoli che schizzavano contro le lamiere del fondo, con un rumore così forte da superare il fremito delle due turbine. Sull’altro lato della strada c’era uno strapiombo a picco sul deserto. E la salita continuava.
Leoh si teneva a destra e Odal gli si era praticamente affiancato. All’improvviso, le montagne sparirono; un ponte, gettato arditamente fra due picchi, comparve davanti ai contendenti. Leoh ebbe l’impressione che il ponte gli balzasse addosso. Cercò di riportarsi al centro del piano stradale, ma Odal gli si accostò di più, fin quasi a sfiorare la macchina. Il volante sfuggì di mano a Leoh e cominciò a girare pazzamente. L’auto slittò verso la parete rocciosa. Il professore riprese il controllo del veicolo e si trovò sul ponte, mentre i cavi a cui questo era sospeso gli sfrecciavano accanto, fischiando. Leoh, madido di sudore, teneva le mani contratte sul volante.
Adesso Odal era passato in testa. Deve avermi superato quando ho slittato si disse Leoh. L’auto rossa viaggiava con estrema sicurezza, e Odal agitò una mano in segno di saluto.
Al di là del ponte la strada presentava una serie di curve strettissime, di salite e discese. Le salite erano ripide, le curve pericolosissime e, a volte, il piano stradale si restringeva tanto che due auto sarebbero passate a malapena. Spesso, su entrambi i lati, si ergevano grandi massi rocciosi. Quasi sempre, però, da una parte c’era una scarpata che scendeva a picco per mille metri e più.
Odal rallentò, scartò, frenò di colpo e le due macchine urtarono una contro l’altra, con violenza tale da rompere le ossa agli occupanti. Il maggiore tentò di mandare Leoh fuori strada, ma questi si aggrappò al volante, lottando disperatamente per mantenere il controllo dell’auto e, con sommo orrore, si accorse presto che non poteva neppure diminuire la velocità della macchina! Questa non rallentava al di sotto dei settantacinque all’ora.
— Volete fermarvi a godere la vista? — gli strillò Odal, urtandolo di nuovo e mandandolo pericolosamente vicino all’orlo del precipizio.
Leoh premette l’acceleratore con tutte le sue forze, e l’auto fece un balzo in avanti, superando il maggiore e lasciandolo, momentaneamente, avvolto in un nugolo di polvere.
— Ah! Ah! Ora la tartaruga diventa lepre! — E l’auto rossa sfrecciò all’inseguimento.
Si vedeva un tunnel, in distanza. Leoh cercò disperatamente di raggiungerlo, pregando il Cielo che fosse abbastanza lungo e stretto da permettergli di restare in testa a Odal. Il tempo sta per finire. Dobbiamo essere agli sgoccioli! Tenere il volante con le mani sudate era diventato un supplizio. La schiena e la testa gli dolevano, il cuore batteva all’impazzata.
La galleria era lunga, diritta e soprattutto strettissima. Pieno di speranza, Leoh si tenne al centro, premendo al massimo l’acceleratore. Le pareti del tunnel passavano in un baleno e il rumore della turbina riecheggiava contro la volta rocciosa.
Ora l’auto rossa era vicinissima e tentava il sorpasso. Leoh deviò leggermente a sinistra per bloccarla e l’altra si spostò a destra. Allora Leoh curvò da quella parte e Odal si buttò a sinistra.
Non devo assolutamente lasciarlo passare! Il tempo sta certo per scadere. Il maggiore insisteva sulla sinistra e anche Leoh si spostò, tenendo duro. Ma l’altro non mollava: era uscito dal piano stradale e viaggiava con le ruote di sinistra sulla parete ricurva del tunnel. Il professore poggiò sempre più da quella parte e Odal arrampicò sempre più sulla parete, sfiorando quasi il parafango del rivale.
Guardando nel retrovisore, Leoh vedeva la faccia del suo avversario livida e contratta in un’espressione dì determinazione incrollabile. L’auto rossa parve salire fino a metà parete e…
E a un tratto si rovesciò, completamente impazzita, andando a fracassarsi sul piano stradale ed esplodendo in una cascata di scintille, con uno spostamento d’aria che per poco non fece perdere a Leoh il controllo della sua vettura.
Lo scienziato si ritrovò seduto nella cabina della duellomacchina, davanti allo schermo di un grigio monotono, col corpo madido di sudore e le mani contratte su un volante immaginario.
La porta si spalancò e Hector sbirciò nell’interno, con aria preoccupata.
— State bene?
Leoh lasciò cadere le braccia in grembo e si rilassò.
— L’ho battuto! — disse. — Ho battuto Odal!
Uscirono dalla cabina. Leoh era sorridente, e il maggiore Odal, all’estremità opposta della macchina, era di un pallore mortale. La folla, impietrita, non osava credere ai propri occhi.
Il meditec capo si schiarì la gola e disse forte: — Il professor Leoh ha vinto!
La folla esplose in un urlo che fece tremare la sala. Tutti balzarono in piedi, si accalcarono intorno alla macchina e sollevarono Leoh e Hector sulle spalle. Più di tutti urlava il meditec capo, in camice bianco. Fuori la folla applaudiva fragorosamente.
Nel giro di pochi minuti, nella sala non rimase più nessuno, a parte alcuni poliziotti in divisa, Odal e i suoi secondi.