Pronunciando quell’ultima parola, Odal balzò addosso all’avversario piantandogli un gomito nel diaframma e rotolarono, avvinti, sul pavimento.
Un groviglio di braccia, gambe, gomiti e ginocchia, ansiti affannosi, due corpi forti aggrappati uno all’altro. Finirono per sbattere contro una delle seggiole, rovesciandola. Sentendo che Hector gli stava sfuggendo, Odal cercò di rizzarsi in piedi, ma la sedia gli cadde addosso facendolo scivolare a pancia in giù sul pavimento.
Imprecando, il maggiore cercò ancora di alzarsi, ma il tenente era già in piedi. In quell’attimo la porta si spalancò, e un fascio di luce violenta entrò come una pugnalata dal corridoio. Apparve la figura di una ragazza che stringeva una pistola nella mano tremante.
— Hector! Prendi! — gridò Geri, gettandogli la rivoltella. Il tenente la prese al volo e la puntò contro Odal. Il maggiore si irrigidì, inginocchiato a terra, le mani sul pavimento. Nell’espressione della faccia la rabbia aveva ceduto il posto alla paura. Il tenente, immobile, teneva l’arma puntata contro la testa dell’avversario.
— Uccidilo! — bisbigliò Geri. — In fretta, arrivano!
Hector abbassò lentamente l’arma. — Alzatevi — disse. — E non datemi il pretesto per servirmi di questo aggeggio.
Il maggiore si rizzò in piedi, a fatica.
— Uccidilo! Me l’avevi promesso! — incalzò Geri, sul punto di scoppiare in lacrime.
— Non posso, non così.
— Intendi dire che non vuoi?
Annuendo, senza staccare gli occhi da Odal, Hector rispose: — Hai ragione, non voglio. Neanche per amor tuo.
— Fareste meglio a finirmi, tenente, ora che ne avete l’occasione — disse la voce di Odal, tagliente come un coltello. — Io passerò il resto della mia vita a darvi la caccia.
Tre guardie in uniforme irruppero nella stanza seguite da alcuni tecnici degli studi televisivi e da Leoh.
— Che diavolo succede? Chi è questo? Siete…
— Questo è il maggiore Odal — disse Hector, indicandolo con la pistola. — È… uhm, protetto dall’immunità diplomatica. Vi prego di riaccompagnarlo all’ambasciata di Kerak.
Odal, pallidissimo, fece un cenno al tenente e uscì tra le guardie.
13
— Volete dire che tutto è stato trasmesso sulla rete della tridimensionale? Ogni parola? — domandò Hector.
Leoh, Geri e il tenente erano sul sedile posteriore di un’auto a cuscino d’aria che si orientava da sola attraverso la città, diretta verso la casa di Geri. La pioggia di mezzanotte cadeva per i trenta minuti programmati, e quindi il tettuccio dell’auto era chiuso.
La ragazza non aveva più aperto bocca, da quando Odal era stato prelevato dallo studio televisivo.
Ma Leoh non stava zitto un secondo. — Quando avete colpito tutti quegli interruttori e messo in moto le registrazioni dei comunicati commerciali — disse — avete azionato il sistema acustico collegato a tutti gli studi. Così abbiamo sentito quel putiferio, con voi e Odal che urlavate come matti e tutto il resto. Ha superato la voce degli annunciatori, nel bel mezzo della nostra proiezione. Dovevate vedere le facce! E mi hanno detto che avete rovinato almeno altri sei sketch che venivano girati proprio in quel momento.
— Davvero? — si scusò Hector, con un fil di voce. — Io … Insomma, non volevo proprio… Be’, mi spiace davvero.
— Calmatevi, ragazzo mio — disse il professore, agitando paternamente una mano. — La vostra lotta con Odal, ovvero la colonna sonora dell’incontro, è stata trasmessa in ogni casa del pianeta. Tutti gli abitanti di Acquatainia sanno, adesso, che io sono un bestione, e che Kerak è molto più pericoloso di quello che sembra.
— Non siete un bestione — disse il tenente.
— Sì, sono stato uno sciocco — insisté il professore. — Peggio ancora, sono stato un babbeo a lasciare che le mie facoltà di giudizio venissero ottenebrate dai fumi della gloria. Ma tutto è finito, ormai. Io sono un uomo di scienza, la politica non fa per me e, soprattutto, non sono adatto agli spettacoli televisivi! Adesso mi occuperò del vostro balzo nella duellomacchina. Se quello è stato un caso di teletrasferimento, significa che la macchina è in grado di amplificare quella capacità, proprio come ha amplificato le possibilità telepatiche di Odal. Ebbene, immettendo una quantità sufficiente di energia…
L’auto si fermò dolcemente sotto la tettoia, davanti alla casa di Geri. Leoh rimase nel veicolo, mentre Hector accompagnava la ragazza alla porta. Nell’ombra, non riuscì a vedere bene le loro facce. Davanti alla porta si fermarono.
— Uhm… Geri, non ho potuto ucciderlo. Non così. Sarei stato felice di poterti accontentare, ma se tu vuoi un assassino… Credo di non fare davvero al caso tuo!
Lei non rispose. Una leggera brezza portò l’odore di foglie bagnate.
Hector si tormentò l’orlo della manica con le dita.
— Buona notte — disse infine.
— Addio, Hector — rispose Geri, freddamente.
Leoh stava guardando di proposito da un’altra parte quando Hector tornò. Il professore gli diede un’occhiata mentre si infilava frettolosamente nell’auto e si abbandonava sul sedile.
— Perché quella faccia, ragazzo mio? Cosa c’è?
Il tenente alzò le spalle. — È una storia lunga — disse.
— Oh, capisco. Bene. Per tornare al problema dei teletrasferimenti, potremmo aumentare la forza della macchina.
Terza parte
1
È davvero il colmo dell’ironia pensò Odal, che usino la duellomacchina per torturarmi! Perché quella, indipendentemente da come la chiamassero, era tortura bella e buona.
Se ne stava seduto nell’angusto abitacolo, lo sguardo fisso alle pareti anonime, allo schermo vuoto, in attesa che cominciassero.
Il prezzo dell’insuccesso era davvero troppo pesante. Kanus aveva fatto di Odal la gloria di Kerak mentre tutto andava a gonfie vele, quando lui uccideva i nemici del Paese.
Adesso stava uccidendo lui. Non gli venivano provocati danni fisici. Non era neppure in arresto, dal punto di vista tecnico. Era stato semplicemente assegnato agli esperimenti nel quartier generale di Kor, il Ministero dei Servizi Segreti. E ora si trovava in quell’enorme castello di pietra, antico e triste, in cima a una collina, vero labirinto di sofferenze e di terrore all’interno, a causa della sete crescente di vittime di Kor.
Nella duellomacchina, l’illusione del dolore non era meno terribile che nella realtà. Odal si permise un sorriso ironico. Gli uomini che lui aveva ucciso erano morti prima nella loro fantasia e poi anche il loro cuore aveva cessato di battere.
Allora, siete pronto? disse, nella sua mente, una voce che arrivava attraverso i circuiti della macchina e i neurocontatti che gli stringevano la fronte e la nuca.
Oggi sonderemo un po’ più in profondità, nel tentativo di trovare la fonte dei vostri talenti extrasensoriali. Vi consiglio di rilassarvi e di collaborare.
Il giorno prima erano stati in tre a lavorare su di lui, dall’altra parte della macchina. Oggi erano in molti. Sei? Otto? Forse dodici.
Odal sentiva pensieri estranei e personalità sconosciute dentro la sua mente. Le mani gli si torcevano incontrollabilmente e il corpo cominciava a dolergli e a sussultare.
Stavano impadronendosi dei suoi centri nervosi, sconquassandoglieli. I muscoli si contraevano spasmodicamente, i nervi tiravano per il dolore, la temperatura corporea saliva, le orecchie ronzavano e, davanti ai suoi occhi, si sprigionavano fiamme rosse e stelle di una luce insopportabile. Ora i torturatori si spingevano più in fondo, scavando, smantellando inibizioni autoprotettive durate tutta una vita, protendendosi con una sonda incandescente nel centro stesso della sua personalità.