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Odal sentì una voce terrorizzata gridare: Stanno inseguendo me. Stanno cercando di impossessarsi di me. Nasconditi! Nasconditi!

Era la sua voce.

Malgrado la vastità del locale, Leoh pensò che l’ufficio del primo ministro, con le sue decorazioni blu e oro, con il peso di tradizioni sorpassate e di ricordi inutili più grevi dei drappeggi pesanti che ornavano ogni porta e ogni finestra, sapeva di rinchiuso.

La riunione era stata breve e per niente spettacolare. Martine aveva invitato Leoh per un colloquio confidenziale, escludendo di proposito Hector. Una dozzina di collaboratori, uomini politici e amministratori, si affollavano intorno alla scrivania dove stava seduto il primo ministro, mentre questi ringraziava ufficialmente il professore per aver scoperto il tentativo di Kanus di servirsi della duellomacchina come di un paravento per nascondere i loro preparativi bellici.

— È stato merito del tenente Hector, non mio — insisté Leoh.

Martine agitò una mano, impaziente. — Il tenente è soltanto il vostro segretario. Siete voi l’uomo di cui Kanus ha paura.

Dopo, una chiacchierata di dieci minuti, Martine fece un cenno a uno dei suoi collaboratori che andò alla porta e introdusse un gruppo di fotografi. Il primo ministro si alzò e girò intorno alla scrivania per mettersi accanto a Leoh, torreggiando orgogliosamente sopra il vecchio, mentre i fotografi scattavano le loro foto. Poi, quando i reporter se ne andarono, la riunione si sciolse e tutti cominciarono a dirigersi verso l’uscita.

— Professor Leoh.

Era quasi arrivato alla porta, quando Martine lo chiamò. Leoh si girò e vide il primo ministro seduto dietro l’alta scrivania. Ma, al posto del gelido distacco di prima, sulla faccia aveva un sorriso cordiale.

— Per favore, chiudete e restate con me per altri dieci minuti — disse il generale.

Stupito, Leoh l’accontentò. Mentre avvicinava una poltrona, osservò attentamente Martine sfiorare con una mano il pannello delle comunicazioni sistemato sulla scrivania e aprire un cassetto. Poi sentì lo scatto leggero di un interruttore.

— Ecco. Ora siamo certi di esser soli. Quell’interruttore isola completamente la stanza. Non può sentirci neanche il mio segretario privato, adesso.

Leoh inarcò le sopracciglia.

— Avete tutto il diritto di stupirvi, professore, e io dovrei scusarmi umilmente. Ma ho dovuto assicurarmi che il nostro colloquio rimanesse strettamente privato.

— Questo colloquio? Allora, la riunione appena terminata con le altre personalità e i giornalisti…

Martine ebbe un ampio sorriso. — Kanus non è il solo che sappia nascondersi dietro una cortina di fumo.

— Capisco. Cosa volete dirmi, allora?

— Prima di tutto, fate le mie scuse al tenente Hector. Non è stato invitato per ragioni che vi appariranno giare tra un attimo. Mi rendo conto che è riuscito a strappare la verità ad Odal anche se sono convinto che non sapesse quello che stava facendo in quel momento.

Leoh trattenne un sorriso. — Hector ha un suo modo speciale di fare le cose.

Martine annuì e continuò, con sobrietà maggiore: — Ecco perché ho voluto parlarvi in privato: sono stato uno sciocco caparbio. Me ne rendo conto, ora. Kanus non solo mi ha superato in acutezza di ingegno, ma si è infiltrato profondamente nel mio governo. Quando ho saputo che Lal Ponte è un agente di Kerak… — La faccia del primo ministro era terrea.

— Che cosa avete intenzione di fargli?

L’altro alzò le spalle. — Non posso fargli niente. Odal l’ha accusato, ma non sono emerse prove durante le indagini. Comunque, sono certo che se Kanus dovesse conquistare l’Ammasso d’Acquatainia, Ponte verrebbe nominato primo ministro del governo fantoccio.

Leoh non rispose.

— Ma Ponte non è poi un gran problema. Lo si può isolare. Posso sapere tutto quello che avviene nel suo ufficio, attraverso uomini fidati che sono al di sopra d’ogni sospetto. Se ne starà seduto da solo alla sua scrivania, fino a che il soffitto gli crollerà in testa.

— Ma questo non è l’unico problema.

— No. E la situazione militare che costituisce la minaccia più diretta. Voi e Spencer avevate ragione: Kerak sta preparandosi rapidamente per un attacco, e la nostra difesa è troppo indietro rispetto alla loro preparazione, per permetterci di restare tranquilli.

— Allora l’alleanza con la Federazione…

— No, questa è impossibile — disse Martine, scuotendo la testa desolato. — Qui la situazione politica è troppo instabile. Io sono stato eletto con una maggioranza minima… grazie a onte. E pensare che l’ha fatto per volontà di Kanus! Eravamo tutt’e due pedine, professore!

— Lo so.

— Comunque Dulaq, Massan e tutti i loro predecessori hanno sempre respinto un’alleanza con la Federazione. Se cercassi di stringerla ora, il mio gesto verrebbe interpretato come un’ammissione di debolezza. Ci sono forti correnti in favore di Kerak, in questa amministrazione, e molti sono ancora ciechi e caparbi, come prima lo ero io. Mi manderebbero a spasso in una settimana con un’altra votazione, se cercassi di stringere un’alleanza con i Terrestri.

— E allora, che cosa potete fare? — domandò Leoh.

— Io posso farci ben poco. Ma voi potete molto. Io non posso chiamare in aiuto la Guardia Spaziale, ma voi potete mettervi in contatto col vostro amico Sir Harold e suggerirgli di chiedermi il permesso di far attraversare l’Ammasso a una flotta della Guardia Spaziale. Con una scusa qualsiasi. Esercitazioni, esplorazioni, scambi culturali: un pretesto qualunque, insomma.

Leoh si agitò, a disagio, sulla poltrona. — Dunque volete che io dica ad Harold di pregare voi…

— Esattamente. — Martine annuì, con vivacità. — E deve trattarsi di una flotta piccola, piccolissima. Tutti, in Acquatainia, devono essere convinti che le navi terrestri non vengono mandate qui per difenderci da Kerak, ma Kanus deve capire con altrettanta chiarezza che non potrà attaccarci senza uccidere uomini della Guardia Spaziale, e quindi senza tirare in ballo la Federazione.

— Penso di comprendere — disse il professore, con una smorfia. — Einstein aveva ragione: la fisica nucleare è molto più semplice della politica.

Martore rise amaramente.

2

Kanus se ne stava seduto, riflettendo in silenzio, con una espressione scontenta sulla faccia magra e pallida. Quasi tutti i membri del Gabinetto erano con lui nello studio enorme. Alcuni guardavano il loro capo troneggiare dietro la scrivania sapientemente elevata, altri cercavano di evitarne lo sguardo infuriato.

Finalmente il Duce parlò. — Avevamo già in pugno l’Ammasso d’Acquatainia, e abbiamo lasciato che un vecchio rudere universitario e un semideficiente della Guardia Spaziale ce lo strappassero di mano! Kor, mi avevate detto che il piano era assolutamente sicuro!

Il ministro dei Servizi Segreti si mantenne calmo. Solo il luccichio di sudore sulla testa calva e tonda come una palla da biliardo rivelava l’agitazione interiore. — Infatti lo è stato davvero, fino a che…

— Fino a che? Fino a che? Io voglio l’Ammasso d’Acquatainia, non scuse!

— E l’avrete — promise il maresciallo Lugal. — Non appena l’esercito sarà stato equipaggiato e…

— Non appena! Fino a che! — gridò Kanus. — Avevamo un piano di conquista, ed è fallito. Dovrei farvi gettare tutti in pasto ai cani! E voi, Kor… Si trattava di un’idea vostra, del vostro piano! Siete stato voi a scovare quel tipo capace di leggere nelle menti, quell’Odal. Avrebbe dovuto essere lo strumento della mia volontà. E invece è un fallito! Tutti e due avete fatto fiasco! Due volte. Potete dirmi una sola ragione per cui io debba permettervi ancora di appestare l’aria con la vostra presenza?