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— Sì. Be’, ehm, si tratta…

— Di Geri? È un bel po’ che vi vedo insieme. Forse, se potesse venire… Dopo tutto era una delle condizioni che hanno determinato il vostro primo balzo, no?

— Non verrà di certo — disse Hector, desolato.

— Eh? Perché?

— Perché voleva che uccidessi Odal e io mi sono rifiutato. Così ce l’ha con me e non vuole parlarmi neanche al telefono.

— Cosa? Ma che storia è questa? Raccontate con ordine, figliolo!

Così il tenente spiegò tutta la faccenda.

Leoh si appoggiò contro lo schienale della sua poltrona, le mani intrecciate sulla pancia. — Ehmm… — disse. — È una cosa possibile, considerata la mentalità degli acquatainiani. Però da lei mi aspettavo qualcosa di meglio.

— Non vuole neanche parlarmi — ripeté Hector.

— Voi, però, vi siete comportato bene. Perlomeno, in modo conforme agli insegnamenti che vi hanno impartito alla Guardia Spaziale. La vendetta è un motivo sordido, e solo l’autodifesa può giustificare l’uccisione di un uomo.

— Provate a dirlo a lei!

— No, ragazzo mio — dichiarò il professore, alzandosi dalla poltrona. — Dovete dirglielo voi, e senza mezzi termini.

— Ma se si rifiuta di vedermi!

— Sciocchezze. Se l’amate, riuscirete a raggiungerla. Spiegatele il motivo per cui avete agito così. Se lei vi ama, vi accetterà per quello che siete e sarà orgogliosa di voi.

— E se non mi ama? — domandò il tenente con aria dubbiosa.

— Be’, conoscendo il temperamento degli acquatainiani, direi che potrebbe tirarvi dietro qualcosa.

Hector continuò a starsene appollaiato sull’orlo del tavolo, fissando il pavimento.

Leoh gli batté su una spalla. — Sentite, figliolo. Quello che avete fatto richiede coraggio, un coraggio autentico. Sarebbe stato facile ammazzare Odal e guadagnarsi la stima di lei. Anzi, la stima di tutti, per essere sinceri. Invece vi siete comportato nel modo che vi sembrava più giusto. Ora, se avete avuto il coraggio di far questo, a maggior ragione avrete quello di affrontare una ragazza disarmata.

Hector lo guardò, rabbuiato. — Ma supponiamo, supponiamo che non mi abbia mai amato. Supponiamo che si stesse semplicemente… Be’, servendo di me… perché uccidessi Odal.

Allora è meglio che vi liberiate di lei pensò Leoh. Ma, naturalmente, non poté dirlo ad Hector. — Non credo affatto che questo sia il caso — disse invece, piano. Poi soggiunse, tra sé: Per lo meno lo spero.

Sprofondato in un sonno pesante, Odal non sentì la porta che si apriva. Il sergente entrò nella cella spoglia e priva di finestre, e gli fece lampeggiare la torcia elettrica davanti agli occhi. Odal si mosse e distolse la faccia dalla luce. L’altro lo afferrò per le spalle e lo scosse rudemente.

Il maggiore si svegliò di soprassalto, spazzò via con un pugno la mano della guardia dalla sua spalla e prese l’uomo per il collo. Il sergente mollò la lampada e lottò per liberarsi dalla stretta del prigioniero, che lo soffocava. Per un minuto o due, rimasero avvinti in una rabbia silenziosa, nella luce spettrale della torcia elettrica cauta sul pavimento. Odal steso sulla cuccetta, il sergente che scivolava, lentamente, in ginocchio.

Poi Odal lasciò andare la presa. L’altro cadde in avanti, tossendo. Il maggiore tirò fuori le gambe dal letto e si alzò in piedi.

— Un’altra volta che dovrete svegliarmi, fatelo con più cortesia — disse. — Io non sono un delinquente comune e non intendo essere trattato come tale da uno come voi. E anche se la porta è chiusa dall’esterno, bussate prima di entrare. Chiaro?

Il sergente si alzò, massaggiandosi la gola, con un misto di rabbia e paura nello sguardo.

— Io eseguo gli ordini. Nessuno mi ha detto di trattarvi in modo speciale.

— Be’, ve lo dico io — disse Odal, secco. — E, fino a quando conserverò il mio grado, vi rivolgerete a me chiamandomi signore.

— Sì, signore — mormorò l’altro, cupo.

Odal si rilassò un poco, aprì i pugni.

— Siete richiesto alla duellomacchina, signore.

— Nel bel mezzo della notte? Per ordine di chi?

La guardia strinse le spalle. — Non me l’hanno detto, signore. Odal sorrise. — Benissimo. Uscite, mentre indosso l’uniforme. — E accennò agli indumenti sformati, ammucchiati in fondo alla branda.

Un solo meditec aspettava davanti alla duellomacchina, che torreggiava minacciosa nella penombra. Odal riconobbe nell’uomo uno degli inquisitori che aveva dovuto affrontare durante le ultime settimane. Senza parlare, il meditec gli fece cenno di entrare in una cabina. Il sergente si ritirò sulla porta che dava in una grande sala, mentre venivano sistemati i neurocontatti sul torace e sulla testa del maggiore. Poi il meditec uscì dal cubicolo, e chiuse la porta con decisione.

Per qualche istante non accadde nulla. Infine Odal sentì una voce risuonargli nella mente.

Il maggiore Odal?

Naturalmente rispose lui, fra sé.

Già, naturalmente.

C’era qualcosa di strano, qualcosa che non funzionava. Voi, voi non siete…

Io non sono la persona che vi ha messo dentro la duellomacchina. Esatto. La voce sembrava compiaciuta e preoccupata al tempo stesso. Quell’uomo è ai comandi della macchina, mentre io sono mezzo pianeta più in là, ma lui ha con sé un minuscolo ricetrasmettitore, e io sto comunicando con voi per mezzo di questo. Non è un mezzo di comunicazione ortodosso, ma probabilmente non potrà essere intercettato da Kor e dai suoi aguzzini.

Io vi conosco disse il maggiore. Vi ho già incontrato.

Infatti.

Romis! Voi siete il ministro Romis.

Sì.

E cosa volete da me?

Soltanto oggi ho saputo in quale situazione vi trovate. E sono rimasto molto scosso nel sentire che un coraggioso soldato di Kerak è stato trattato in questo modo.

Odal sentiva le parole formarsi nella sua mente, ma sapeva che quella era soltanto una vernice lucente che nascondeva un significato più profondo. Non rispose nulla, e aspettò che il ministro continuasse.

Vi maltrattano?

Il maggiore sorrise senza allegria. Non più di una cavia da laboratorio. Non credo sia peggio di sentirsi aprire il ventre senza anestesia.

La mente di Romis arretrò. Poi tornò all’attacco e disse: Forse ho la possibilità di aiutarvi.

Odal perse la pazienza. Non vi siete certo messo in contatto con me nel bel mezzo della notte e usando un procedimento tanto complicato, solo per chiedermi come sto! Qualcosa vi preoccupa molto, e credete che io possa aiutarvi.

Riuscite davvero a leggere nei miei pensieri?

Non come si legge una registrazione, ma so intuire le cose. E la duellomacchina amplifica questo dono.

Romis esitò un istante, poi domandò: Riuscite a intuire quello che ho in mente?

Ora fu Odal ad esitare. Era un trabocchetto? Guardò le pareti dello stretto cubicolo, e la porta che sapeva chiusa dall’esterno. Che cos’altro possono farmi? Uccidermi? pensò. Sento nei vostri pensieri un odio profondo per Kanus rispose finalmente. Un odio eguagliato soltanto dalla vostra paura per lui. Se fosse in vostro potere, voi lo…

Io… che cosa?