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Il Cancelliere Kanus, Duce Supremo dei Mondi Kerak, se ne stava affacciato al parapetto del suo balcone ammirando il precipizio che scendeva a strapiombo ai suoi piedi e le montagne accidentate che aveva davanti.
— Ecco le forze che forgiano le azioni degli uomini! — disse rivolto al gruppetto di ufficiali e consiglieri. — I venti che ululano, le montagne possenti, il cielo aperto e la potenza oscura delle nubi.
I presenti annuirono, con un mormorio di approvazione.
— Proprio come le montagne si elevano sulla meschinità delle pianure sottostanti, così noi ci eleveremo sopra il destino comune degli uomini — continuò Kanus. — Questi, come terrorizzati dalla forza della tempesta, tremeranno e si piegheranno alla nostra volontà.
— Distruggeremo il passato — disse uno dei ministri.
— E vendicheremo il ricordo della disfatta — aggiunse Kanus, voltandosi a guardare i suoi seguaci. Kanus era il più piccolo dei presenti: basso, mingherlino, dal colorito malaticcio. L’uniforme militare sgargiante, così grande, troppo carica di trecce d’oro e di medaglie, stonava maledettamente indosso a lui. Ma Kanus aveva uno sguardo acuto e penetrante e una voce possente che attirava l’attenzione.
Superato il gruppetto, si fermò davanti a un giovanotto alto, biondo e snello che portava un’uniforme militare azzurra. — E voi, maggiore Odal, sarete uno degli strumenti principali nei primi passi della conquista!
— Desidero soltanto servire il mio Duce e i miei Mondi — replicò l’altro, inchinandosi rigidamente.
— E lo farete. L’avete già fatto — disse Kanus, raggiante. — Già gli Acquatainiani si dibattono disperatamente, come un serpente a cui abbiano tagliato la testa. Senza Dulaq non hanno più un cervello che li diriga. In quanto alla parte che avrete voi in questo trionfo… — Fece schioccare le dita e uno dei consiglieri gli si avvicinò, porgendo un cofanetto d’ebano. — Vi offro questo pegno della stima dei Mondi Kerak e della mia alta considerazione.
Porse il cofano ad Odal che lo aprì e ne tolse una spilla tempestata di pietre preziose.
— La Stella di Kerak — annunciò Kanus. — Questa è la prima volta che viene conferita per meriti non acquisiti sul campo di battaglia. Ma la cosiddetta civilissima duellomacchina dei nostri avversari è diventata il nostro campo di battaglia, no?
Odal sorrise. — Sì, signore, proprio così. Grazie infinite. Questo è il momento più bello della mia vita.
— Per adesso, maggiore. Per adesso. Ve ne saranno altri, in seguito, ancora più sublimi. Entrate. Abbiamo molti piani da discutere. Altri duelli, altri trionfi.
Entrarono tutti nello studio enorme e fastoso di Kanus. Il Duce attraversò la stanza riccamente arredata e sedette alla sua scrivania sopraelevata, mentre gli altri si sistemavano sulle seggiole e sui divani dislocati qua e là. Odal rimase in piedi vicino alla soglia.
Kanus fece scorrere le dita sul quadro di comando situato sul piano della scrivania e una mappa stellare tridimensionale apparve sulla parete. Al centro si vedevano le dodici stelle dei Mondi Kerak, su un lato stava l’Ammasso di Acquatainia, ricco e possente, la forza politica ed economica più imponente in quel settore della galassia. E ancora più in là si scorgeva il lembo estremo della Federazione Terrestre. Per metterla tutta intera sulla mappa, sarebbe stato indispensabile rimpicciolire Acquatainia e rendere microscopico Kerak.
Col dito puntato verso l’enorme carta geografica, Kanus cominciò una delle sue inevitabili arringhe parlando di obiettivi politici e militari. I Mondi Kerak erano già unificati sotto il suo dominio e l’avrebbero seguito dovunque. Le alleanze politiche costruite dalla diplomazia acquatainiana dopo l’ultima guerra cominciavano già a tentennare, ora che Dulaq era scomparso dalla scena. Kerak, invece, cominciava a riarmarsi. Un’azione politica presso la Lega di Szarno avrebbe portato quelle industrie belliche allo stesso livello delle industrie di Kerak. Poi sarebbe stata la volta di un’alleanza diplomatica con il Dominio di Etra, che stava tra l’Ammasso di Acquatainia e la Federazione Terrestre. Isolati così gli Acquatainiani, si sarebbe passati alla conquista militare di Acquatainia.
— Una mossa improvvisa, una rapida, decisiva serie di attacchi, e gli Acquatainiani crolleranno come un castello di carta: anche se la Guardia Spaziale volesse entrare in azione, la vittoria sarebbe già nostra prima che riuscisse a intervenire. E, con le risorse di Acquatainia a nostra disposizione, potremo sfidare qualsiasi potenza galattica. Perfino la Federazione Terrestre!
I presenti annuivano sorridendo.
Forse hanno già sentito molte volte questa storia pensò Odal. Per lui era diverso: quella era la prima volta che ne aveva il privilegio. Se chiudeva gli occhi o guardava soltanto la mappa stellare il piano sembrava bizzarro, esagerato, perfino impossibile. Ma se fissava Kanus, lasciando che quello sguardo scuro, quasi ipnotico, gli si appuntasse sopra, allora anche le fantasie più deliranti del Duce sembravano non solo eccitanti, ma inevitabili.
Odal appoggiò una spalla alla parete rivestita di pannelli e guardò gli altri uomini presenti nella stanza.
C’era il grasso vice-cancelliere Greber che lottava disperatamente per rimanere sveglio, a causa del vino bevuto durante e dopo il pranzo. Invece Modal, che sedeva accanto al collega sul divano, aveva lo sguardo attento; evidentemente stava pensando al vantaggio che ne sarebbe venuto a lui, ministro dell’Industria, quando il programma di riarmo fosse stato in pieno svolgimento.
In disparte, sopra un altro divano, stava seduto Kor, capo del Ministero dei Servizi Segreti, diretto superiore di Odal. Kor parlava pochissimo, ma quando lo faceva riempiva di terrore i disgraziati a cui parlava. Era un individuo di una crudeltà inimmaginabile.
Il maresciallo Lugal, decisamente annoiato quando Kanus parlava di politica, cambiava improvvisamente espressione non appena venivano affrontati argomenti militari. Il maresciallo aveva un unico scopo nella vita: vendicare la disfatta umiliante subita dal suo esercito nella guerra contro Acquatainia. Ma non si rendeva conto, e Odal lo sapeva, che non appena avesse riorganizzato e riequipaggiato le armate, Kanus l’avrebbe mandato in pensione per mettere al suo posto uomini più giovani. Uomini fedeli non soltanto all’esercito o ai Mondi Kerak, ma al Duce stesso.
E, attento a ogni sillaba, a ogni gesto del Duce, c’era il piccolo Tinth. Nobile di origine, allevato con un’educazione artistica, studioso di filosofia, aveva rinunciato alla sua eredità per unirsi alle forze di Kanus. Sua ricompensa era stato il Ministero dell’Educazione, e molti erano gli insegnanti che soffrivano sotto di lui.
Infine Romis, ministro degli Affari Esteri, diplomatico di carriera, era uno dei pochi che erano al governo prima dell’avvento di Kanus e che aveva resistito fino a quel momento. Era evidente che detestava il Cancelliere, ma era utile ai Mondi Kerak. Il corpo diplomatico non era mai sceso a compromessi riguardo al trattato commerciale di Safad, e non avrebbe ottenuto nulla senza il lavoro di Odal con la duellomacchina. Era solo questione di tempo: il maggiore era convinto che prima o poi Romis avrebbe ucciso Kanus, o viceversa.
Il resto dell’uditorio era fatto di politicanti da quattro soldi, di facinorosi trasformati in guardie del corpo e di pochi altri parassiti che erano col Duce fino dai tempi in cui lui teneva i suoi discorsi politici nelle cantine e percorreva i vicoli secondari per non incappare nella polizia. Da allora, Manus aveva fatto molta strada. Dall’oscurità di origini ignote era giunto all’abbagliante altezza di Cancelliere dello Stato.
Denaro, potere, gloria, vendetta, patriottismo… Ciascun uomo presente in quella stanza aveva le sue buone ragioni per seguire il Cancelliere.