Alza la testa, non macchiarmi il pavimento.
— È difficile parlare in queste condizioni!
Geri dovette ridere, sebbene controvoglia. — Be’, è colpa tua. Non si piomba nel giardino del prossimo come…
— Tu non volevi vedermi. E io avevo bisogno di parlarti.
— Che cosa devi dirmi?
Rizzando la testa, con uno scricchiolio penoso delle vertebre cervicali, Hector disse: — Be’, al diavolo! Geri, io ti amo! Ma non ho intenzione per questo di diventare un assassino prezzolato. E se tu mi amassi davvero, non lo vorresti neanche tu. Uno mica deve trasformarsi in una scimmia ammaestrata per far piacere alla sua ragazza! Io non sono…
I lineamenti di lei si irrigidirono. — Veramente ti avevo chiesto di fare una cosa che avrei fatto io stessa, se mi fosse stato possibile.
— Tu avresti ucciso Odal?
— Sì.
— Perché ha ucciso tuo padre?
— Esattamente.
Hector si tolse il fazzoletto dal naso. — Ma Odal non ha fatto che eseguire degli ordini. È stato Kanus a ordinare che tuo padre venisse assassinato.
— E allora ammazzerei anche Kanus se ne avessi l’occasione — sbottò lei, rabbiosa.
— Uccideresti chiunque avesse contribuito a far morire tuo padre?
— Ma certo!
— Anche i soldati, quelli che aiutarono Odal durante il duello?
— Certo!
— Tutti quelli che ebbero a che fare con Odal? Proprio tutti? Anche l’equipaggio della nave che lo portò qui?
— Sì! Tutti!
Hector allungò lentamente un braccio e le pose una mano su una spalla. — Allora dovresti uccidere anche me, perché l’ho lasciato andare. L’ho aiutato a sfuggirti di mano.
Lei aprì la bocca per rispondere, poi gli occhi le si riempirono di lacrime. Appoggiò la testa sulla spalla del tenente e scoppiò in pianto.
Lui le passò un braccio intorno alla vita. — Basta, Geri. Basta. Lo so che è terribile. Ma non puoi pretendere che io diventi un assassino come lui. Voglio dire che non è questo il modo di…
— Lo so, Hector — replicò Geri singhiozzando. — Lo so.
Rimasero per un momento abbracciati. Poi lei guardò in su, e lui la baciò.
— Mi sei mancato — disse la ragazza, piano.
Lui sorrise beato. — Io… Be’, anch’io ho sentito molto la tua mancanza.
Risero insieme, poi Geri tirò fuori un altro fazzoletto e gli tamponò il naso.
— Mi spiace per i fiori.
— Non fa nulla. Si… — Tacque bruscamente, guardando stupita verso la porta.
Girandosi, Hector vide un robot grande all’incirca come una gabbia da imballaggio, che suonava con aria solenne davanti alla porta aperta. L’unico foto-occhio sembrò illuminarsi alla vista del tenente.
— Voi siete il tenente Hector H. Hector, della Guardia Spaziale, pilota del veicolo parcheggiato nell’aiuola? — domandò tintinnando.
Hector annuì senza parlare. — Sono state fatte denunce contro di voi, signore: violazione delle norme di sicurezza di volo relative alla circolazione, mancata ricezione di appelli radio, schemi di volo non autorizzati, inosservanza del regolamento sulla quota minima in zona residenziale, atterraggio in area non autorizzata, violazione di domicilio, vie di fatto. Nel vostro interesse, astenetevi dal fare qualsiasi dichiarazione prima di aver consultato il vostro legale. Siete pregato di seguirmi, o sarà sporta ulteriore denuncia per resistenza alla forza pubblica. Grazie.
Il tenente impallidì, e le sue spalle si fecero spioventi.
Geri riuscì con fatica a reprimere un sorriso divertito. — Va’ pure, Hector. Mi metto subito in contatto con un avvocato. Se ti schiaffano dentro, verrò a trovarti. Sarà molto romantico.
5
Odal se ne stava nell’oscurità della duellomacchina, rimuginando tetramente. Continuare a far da cavia a Kor voleva dire sopportare la tortura di incessanti sondaggi del cervello e, infine, affrontare una morte terribilmente spiacevole. Unirsi a Romis significava compiere un tentativo per assassinare il Duce, tentativo che, riuscito o no, sarebbe costato la vita al traditore per via della guardia di Kanus. D’altra parte, rifiutare la proposta che gli era stata fatta da Romis significava la morte, e una morte immediata.
Tutti i salmi finivano in gloria. Odal rimase lì seduto a esaminare le alternative con freddo distacco, come se tutto stesse capitando a qualcun altro. Era quasi divertente vedere come gli avvenimenti si accavallassero con tanta prepotenza contro un uomo senza difesa.
Nella sua mente risuonò, imperiosa, la voce di Romis.
Non posso più continuare in questo collegamento senza rischiare di essere scoperto. Che cosa avete deciso?
Di starmene in vita il più a lungo possibile pensò Odal, sperando che quel pensiero non giungesse fino a Romis. Poi disse: Vengo con voi.
Lo fate di vostra spontanea volontà?
Davanti alla mente di Odal balenò il ricordo della guardia armata che lo stava aspettando fuori dalla porta. Di mia spontanea volontà rispose. Naturalmente.
Benissimo, allora. Restate dove siete e comportatevi come se niente fosse successo. Nei prossimi giorni, al massimo tra una settimana, sarete libero dalle mani di Kor.
Solo quando fu certo che il collegamento era stato interrotto, che il ministro e l’uomo ai comandi della macchina non potevano più udirlo, Odal si permise di pensare: Anche se raggirassi Romis e gli altri congiurata, diventerei di nuovo un eroe di Kerak!
Hector entrò, contento come una Pasqua, nella cabina della duellomacchina al braccio di Geri. Anche lei sorrideva.
— Be’, ora che siamo di nuovo riuniti e che avete pagato tutte le vostre multe, spero proprio che siate pronto spiritualmente a rimettervi al lavoro — disse Leoh.
— Basta guardarmi — rispose il tenente.
Cominciarono per gradi. Quel primo giorno Hector si limitò a trasferirsi da una cabina della macchina all’altra, ripetendo l’esperimento una dozzina di volte. Ogni volta il professore misurava il tempo impiegato per il trasferimento e il consumo di energia. Erano necessari, in media, quattro psicosecondi per compiere il balzo. E, secondo il calcolatore che Leoh aveva sistemato sui pannelli di comando, il consumo di energia era suppergiù uguale a quello dei motori di un astronave che spingessero una massa uguale al peso di Hector.
— Capite che significa? — domandò il vecchio ai due collaboratori.
Hector era di nuovo appollaiato sul banco di manovra, mentre Geri era seduta su una sedia accanto a quella di Leoh. Tamburellando pensoso, con le dita sul pannello di comando, il tenente rispose: — Be’, significa che possiamo spostare le cose con la stessa efficienza di un’astronave.
— Non proprio — corresse Leoh. — Possiamo trasportare materiale o gente con la stessa efficienza con cui un veicolo spaziale trasporta il suo carico, ma non è necessario sollevare anche lo scafo e i motori. La nostra nave, ossia la duellomacchina, può restare a terra. Solo il carico viene trasportato.
— E si può anche viaggiare alla velocità di un’astronave? — domandò Geri.
— Anche più in fretta, se questi esperimenti valgono — rispose il professore.
— Dunque, io viaggerei nel subspazio come un vascello spaziale? — chiese Hector. — O c’è un’altra risposta?
— Probabilmente ci sono arrivato — disse Leoh — ma si tratta solo di un’ipotesi. Non abbiamo idea di come la cosa funzioni, delle velocità che potete raggiungere, delle distanze che potete percorrere, sui limiti del fenomeno. C’è una montagna di lavoro da fare.