Nei giorni seguenti, Hector spostò oggetti inanimati, rimanendo seduto nella duellomacchina. Sollevò pesi senza toccarli, e trasportò perfino Geri da una cabina all’altra. Ma poteva effettuare trasferimenti solo nell’interno dell’apparecchio.
— Possiamo instaurare un sistema di trasporto interstellare — disse Leoh alla fine della settimana, stanco ma felice. — Però dovrebbe esserci una duellomacchina, all’altra estremità.
Il dolore era insopportabile. Odal gridava disperato nella sua mente: una dozzina di lance infuocate lo trapassavano. Il corpo sussultava spasmodicamente, braccia e gambe si torcevano senza possibilità di controllo, le viscere si contraevano e aggrovigliavano, il cuore martellava con un ritmo impressionante. Non poteva né parlare, né udire ma solo sentire il gusto del sangue in bocca.
Romis! Dov’è Romis? Perché non viene? Avrebbe detto qualsiasi cosa ai suoi inquisitori, pur di farli smettere. Ma quelli non gli facevano alcuna domanda. Non si interessavano ai suoi ricordi o alle sue confessioni.
Salta!
Trasferisciti nell’altra cabina. Tu sei un telepate ben allenato, e devi avere capacità di teletrasferimento latenti.
Non diminuiremo questa pressione fino a quando non ti sarai trasferito nella cabina accanto. Anzi, la pressione aumenterà se non farai quello che ti ordiniamo.
SALTA!
Seduto nella duellomacchina di Acquatainia, Hector si concentrava nel suo lavoro. Nella cabina accanto c’erano un fascio di carte, nastri e documenti che lui doveva provare a trasportare sull’altro emisfero del pianeta. Questo sarebbe stato il primo balzo a lunga distanza.
Non era facile concentrarsi. Geri lo stava aspettando, là fuori, perché Leoh lo aveva tenuto occupato tutto il giorno. Il pensiero di Odal gli attraversò la mente: Chissà cosa starà facendo ora? Lavorerà anche lui al teletrasferimento?
Provò una specie di fremito, come una scossa elettrica.
— Buffo — mormorò. Perplesso, levò i neurocontatti dalla testa e dal corpo, si alzò e aprì la porta.
I tecnici che stavano al banco di manovra rimasero a bocca aperta. Ci vollero ben cinque secondi perché Hector si accorgesse che indossavano uniformi kerakiane.
Un paio di guardie, pure allibite, non appena riconobbero sulla tuta di Hector l’emblema della Guardia Spaziale, impugnarono le armi.
Lui ebbe appena il tempo di esclamare: — Oh!… — che quelle lo abbatterono.
Ad Acquatainia, intanto, Leoh scuoteva la testa, osservando scoraggiato il fascio di documenti che Hector avrebbe dovuto teletrasferire.
— Niente — esclamò. — Non ha proprio funzionato.
Ma le sue tristi riflessioni furono interrotte da uno strillo di Geri. Alzò gli occhi e la vide stringersi contro il banco di manovra, gridando istericamente, incapace di controllarsi. Inquadrata sulla porta dell’altra cabina, era apparsa la figura alta e magra di Odal.
— Ma è fantastico — disse Sir Harold Spencer.
Leoh annuì, gravemente. Il vecchio scienziato era seduto alla sua scrivania, nello studio retrostante la duellomacchina. E, a giudicare dall’aspetto austero della cabina rivestita di metallo che faceva da sfondo alla sua immagine tridimensionale, Spencer doveva trovarsi su una nave saziale.
— È balzato davvero da Kerak ad Acquatainia? — Il Comandante aveva l’aria di non riuscire a crederci.
— In meno di un secondo — ripeté Leoh. — Quattrocento cinquanta anni-luce in meno di un secondo!
Spencer si rabbuiò. — Ma vi rendete conto di quello che avete fatto, Albert? Del significato militare di questo teletrasferimento? È certo anche Kanus ne è al corrente.
— Sì. E trattiene Hector in qualche angolo imprecisato di Kerak. Dobbiamo tirarlo fuori, se è ancora vivo.
— Lo so — replicò Spencer, lo sguardo fiammeggiante. — E cosa ne è dell’assassino kerakiano? Suppongo che gli acquatainiani l’abbiano impacchettato accuratamente.
— Non sanno ancora con esattezza che cosa farne — rispose il professore. — Dal punto di vista formale, non esistono accuse di omicidio contro di lui. Comunque, l’ultima cosa che vogliono è rimandarlo a Kerak.
— Perché è partito? Perché è tornato ad Acquatainia?
— Non so. Odal si rifiuta di rilasciare dichiarazioni. Si è limitato a chiedere asilo politico ad Acquatainia. Qui la maggior parte della gente è convinta che sia un altro trucco.
Spencer tamburellò con le dita sul ginocchio, pensoso. — Dunque, Odal è prigioniero in Acquatainia, ed Hector se ne sta in galera, o peggio, in Kerak. E io ho una flotta di ricognitori diretta verso la frontiera acquataino-kerakiana, per una missione che ora appare del tutto disperata. Kanus non ha più bisogno di lottare per entrare in Acquatainia: può piombare nel bel mezzo dell’Ammasso, dovunque ci siano duellomacchine.
— Si potrebbe chiuderle, oppure circondarle di soldati — propose Leoh.
— Non si può impedire a Kanus di costruire duellomacchine dentro gli edifici delle ambasciate o dei consolati di Kerak nell’Ammasso, o nella Federazione Terrestre. Soltanto con la guerra si potrebbe impedirglielo — disse Spencer, preoccupato.
— E la guerra è proprio quello che cerchiamo di evitare.
— Bisogna riuscirci a tutti i costi — tuonò l’altro — se vogliamo mantenere intatta la Federazione.
Ora Leoh cominciava a sentirsi preoccupato come il Comandante.
— Ed Hector? Che ne sarà di lui? Mica possiamo abbandonarlo! Kanus potrebbe ucciderlo.
— Lo so. Mi metterò in contatto con Romis, il ministro degli Esteri. Tra tutti quelli che circondano Kanus, sembra l’unico capace di dire la verità.
— E cosa farete, se rifiuteranno di consegnarvi Hector?
— Probabilmente offriranno di scambiarlo con Odal.
— Ma Odal non vuole tornare. E gli acquatainiani non vorranno cederlo. Se questi si tengono Odal, e Kanus si tiene Hector, la Federazione sarà obbligata a…
— … a minacciare Kerak di un intervento armato se non restituisce il tenente. Dio mio! Questo tenente potrebbe far scoppiare la guerra che cerchiamo con tutte le forze di evitare!
Spencer aveva l’aria terrorizzata quanto Leoh.
6
Il ministro Romis partì all’alba dalla sua villa di campagna, per la solita cavalcata mattutina. Seguì il sentiero solo fino a quando era visibile dalla villa, dove poteva esserci qualche spia di Kor, poi spronò la sua cavalcatura, addentrandosi nei boschi fitti. Salì per un pendio, e giunse a una piccola radura in cima a un poggio.
Al centro della radura aspettava un piccolo aereo-traghetto e, a fianco del portello, c’erano due guardie armate. Romis smontò in silenzio ed entrò nell’aereo, da cui uscì subito un uomo vestito in modo identico al suo, e suppergiù della sua medesima altezza e corporatura, che balzò sul cavallo e riprese la cavalcata.
Pochi momenti dopo, il veicolo azionava i motori ai quali era stato applicato un silenziatore, e usciva all’atmosfera di Kerak. Romis entrò nella cabina di comando e sedette accanto al pilota.
— È un’impresa rischiosa — disse questi. — Potrebbero individuarci da terra.
— La stazione di controllo più vicina è presidiata da amici — disse Romis, stancamente. — Per lo meno, erano tali l’ultima volta che ho parlato con loro. Bisogna pur correre qualche rischio in un’impresa del genere, e quello maggiore, a quanto sembra, è di vedere gli amici trasformarsi in nemici.
Il pilota annuì. Dodici minuti dopo il decollo, l’aereo-traghetto effettuava il rendez-vous con una nave spaziale orbitante, che portava l’emblema della flotta spaziale di Kerak. Un capitano alla faccia angolosa venne incontro a Romis nella camera stagna principale e lo guidò giù per uno stretto corridoio, fino a una piccola cabina sorvegliata. Entrarono.