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Steso su una cuccetta ricavata nella paratia esterna e ricurva della cabina, vi era il corpo inerte del tenente Hector. Accanto, sedevano un meditec e una guardia addetti alla duellomacchina. Si alzarono e si misero sull’attenti.

— Nessuno degli uomini di Kor sa di lui? — domandò Romis con voce pacata, ma ferma.

— Nossignore — rispose il meditec. — Tutti gli inquisitori sono svenuti per la violenza dell’energia, quando Odal e il tenente hanno effettuato il trasferimento. Abbiamo potuto condurre qui il tenente senza che nessuno ci scoprisse.

— Speriamo — disse Romis. — Come sta, ora?

— Dorme come un angioletto, signore — rispose il meditec. — Abbiamo pensato che fosse opportuno drogarlo.

Il ministro annuì.

— Dietro mio ordine gli hanno somministrato parecchie dosi di siero della verità — disse il capitano. — L’abbiamo interrogato. Sarebbe stato sciocco sprecare un’occasione del genere.

— Giusto — disse Romis. — E che cosa avete appreso?

Il capitano si rabbuiò. — Assolutamente nulla. O non sa niente, cosa difficile a credersi, oppure… — continuò posando lo sguardo sul meditec — riesce a controllare l’effetto del farmaco.

Romis si rivolse ancora al meditec. — Siete certo che Kor non si è accorto della vostra fuga?

— Sissignore. Abbiamo seguito la strada normale, servendoci soltanto di uomini che sappiamo fedeli alla causa.

— Bene. Speriamo che nessuno dei nostri amici leali decida di cambiare bandiera.

— Come spiegherete la scomparsa di Odal? — domandò il capitano. — Al Duce la comunicheranno stamattina, no?

— Esatto. E io non dirò una parola. Kor crede che Odal, con questo meditec e la guardia, siano fuggiti attraverso la duellomacchina. Lasciamoglielo credere, così nessun sospetto cadrà su di noi.

— Benissimo — esclamò il capitano.

Qualcuno bussò alla porta. Il capitano l’aprì, e l’uomo che stava fuori gli porse un messaggio scritto. Il capitano lo lesse, poi lo passò a Romis, dicendo: — Il vostro collegamento tri-di è pronto.

Romis appallottolò il foglio con una mano. — È meglio che mi affretti, allora, prima che qualcuno riesca a intercettarlo. Ecco — disse porgendo la pallottola di carta al meditec — distruggetelo voi, personalmente.

Poi si diresse verso un’altra cabina che serviva da sala comunicazioni. Quando entrò col capitano, il tecnico delle comunicazioni si alzò, salutò ed uscì.

Romis sedette davanti allo schermo e premette un pulsante sul pannello che gli stava di fianco. Subito comparve sul video l’immagine corpulenta di Sir Harold Spencer, seduto a una scrivania di metallo, a bordo della sua nave spaziale.

La faccia del Comandante in capo era tesa. — Ministro Romis, stavo appunto per chiamarvi io, quando è arrivata la vostra comunicazione.

— Dall’espressione della vostra faccia — rispose Romis sorridendo — direi che voi siete già al corrente del motivo della mia chiamata.

Sir Harold non ricambiò il sorriso. — Siete un diplomatico in gamba, signore. Io sono soltanto un soldato. Veniamo al sodo.

— Ma certo. Un maggiore dell’esercito kerakiano è scomparso, e ho buone ragioni per credere che sia in Acquatainia.

— E un tenente della Guardia Spaziale — sbuffò Spencer — è scomparso, e abbiamo buone ragioni per credere che si trovi in Kerak.

— I vostri sospetti non sono infondati — rispose Romis freddamente. — E i miei?

Il Comandante della Guardia Spaziale si passò una mano sulla mascella, prima di rispondere. — Avete usato le parole io e miei, invece del solito plurale diplomatico. Questo significa, forse, che non state parlando per conto del governo di Kerak?

Romis guardò il capitano, che stava vicino alla porta, fuori portata delle telecamere. Questi aggrottò la fronte e, con un gesto, fece capire che il tempo volava.

— Si dà il caso — disse Romis a Sir Harold — che io non stia parlando a nome del governo, in questo momento. Se tenete in custodia il maggiore kerakiano, potrete apprendere da lui i particolari sulla mia posizione.

— Capisco — disse Spencer. — E dovrei dedurne che voi, e non Kanus con tutta la sua cricca, vi prendete cura del tenente Hector?

L’altro annuì.

— E volete scambiarlo col maggiore Odal?

— No, niente affatto. Il maggiore è più sicuro dove si trova, per ora. Non desideriamo affatto che adesso torni a Kerak. In seguito, forse. Tuttavia vogliamo assicurarvi che al tenente non verrà torto un capello, qualsiasi cosa accada qui a Kerak.

Spencer rimase in silenzio per parecchi secondi. Finalmente disse: — Se ho ben capito, presto ci sarà uno sconvolgimento nel governo di Kerak e voi terrete in ostaggio il tenente Hector per assicurarvi che la Guardia Spaziale non interferisca. Esatto?

— Siete stato piuttosto brutale — rispose il ministro — ma, in sostanza, le cose stanno così.

— Benissimo — disse l’altro — fate pure come credete. Però vi avverto: se per un motivo qualsiasi dovesse accadere qualcosa al tenente, vi troverete addosso tutta la Guardia Spaziale, con la stessa rapidità con cui le nostre navi possono raggiungere i vostri mondi. Non aspetterò l’autorizzazione del Consiglio Terrestre, né altre formalità. Vi schiaccerò tutti, uno per uno. Chiaro?

— Chiarissimo — rispose l’altro, congestionato. — Chiarissimo.

Leoh dovette percorrere in tutta la sua lunghezza il corridoio del Ministero della Giustizia fino a un ascensore che portava a un sotterraneo profondissimo, superare oltre quattro posti di blocco sorvegliati da una dozzina di uomini armati e sostare in una anticamera, dove due guardie sedevano vicino ad un dispositivo d’esplorazione tridimensionale. Finalmente, dopo essere stato fermato, fotografato, interrogato e invitato a mostrare la sua carta d’identificazione speciale, fu introdotto negli alloggi di Odal.

Era un appartamento confortevole, ricavato in un sotterraneo e costruito, in origine, per servire da rifugio al ministro di Grazia e Giustizia durante la guerra contro Kerak.

— Non si può dire che non vi sorveglino — disse il vecchio a Odal, entrando nella stanza.

Il maggiore kerakiano, che se ne stava coricato su una poltrona di velluto ascoltando un brano musicale, spense il registratore e si alzò, mentre la porta esterna si richiudeva con uno scatto alle spalle dello scienziato.

— Dicono che devo essere protetto — rispose — sia dalla plebe di Acquatainia, sia dall’ambasciata di Kerak.

— Vi trattano bene? — s’informò Leoh sedendosi su una sdraio vicino alla poltrona.

— Abbastanza. Ho musica, tri-di, cibo e liquori. — La voce di Odal aveva una sfumatura ironica. — Mi lasciano perfino vedere il sole una volta al giorno, quando faccio la passeggiata nel cortile della prigione.

Mentre Odal tornava a sedersi nella sua poltrona, Leoh lo guardò attentamente. Sembrava indifferente a tutto. Niente più sorrisi gelidi e maniere altezzose. La sua faccia era piena di rughe scavate dal dolore, ma non soltanto da quello. Forse dalla disillusione. Per lui il mondo non era più l’arena dei trionfi personali. Ora è assillato anche lui dalla nostra preoccupazione maggiore: quella di sopravvivere pensò lo scienziato.

Poi disse: — Sir Harold Spencer si è messo in contatto col vostro ministro degli Esteri, Romis.

Odal non fece una piega.

— Harold mi ha pregato di chiedervi da che parte state. La situazione è piuttosto confusa.

— Mi sembra semplicissima, invece. Voi avete me, Romis ha Hector.

— Già, ma cosa significa tutto questo? Kanus ha intenzione di attaccare Acquatainia? Romis vuole forse rovesciare Kanus? Harold fa il possibile per evitare una guerra, ma se dovesse capitare qualcosa a Hector, lui si tufferebbe a capofitto con tutte le navi spaziali che potesse racimolare. Da che parte state, voi?