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Odal fu lì lì per sorridere. — Veramente, è quello che mi domando anch’io. Finora non sono riuscito a rispondere.

— Noi dobbiamo saperlo.

— Ah, sì? — disse il maggiore, protendendosi leggermente. E perché, poi? Io, qui, sono prigioniero. Non posso andare da nessuna parte.

— Non è indispensabile che lo restiate. Sono certo che Harold e il primo ministro Martine acconsentirebbero a liberarvi, se voi garantiste di aiutarci.

— Aiutarvi? E come?

— Prima di tutto — continuò il professore — recuperando Hector.

— Ritornare a Kerak? Ma sarebbe rischioso.

— Preferireste starvene qui al sicuro come prigioniero?

— Perché no.

Leoh si dimenò sulla sedia, a disagio. — Ho l’impressione che Romis potrebbe servirsi di voi, nel suo tentativo di rovesciare Kanus.

— Può anche darsi. Ma solo quando sarà pronto a colpirlo direttamente. Fino a quel momento, sarà felicissimo che io resti qui. Quando ne avrà bisogno, mi chiamerà. Che poi io ci vada o mi rifiuti di collaborare, è un’altra questione.

All’improvviso Leoh si trovò senza parole. Era chiaro che il maggiore non aveva intenzione di aiutare nessuno, tranne se stesso.

— Vi prego di ripensare a quello che vi ho detto — dichiarò alzandosi. — Sono in gioco molte vite, e voi potreste contribuire a salvarle.

— Perdendo la mia — disse Odal, alzandosi pure lui, correttamente.

Leoh si strinse nelle spalle. — Devo riconoscere che sarebbe possibilissimo.

— Voi considerate la vita di Hector più importante della mia. Io no.

— E va bene, è inutile discutere. Ma ricordate che sono in gioco miliardi di vite acquatainiane e kerakiane.

Leoh si diresse alla porta. Odal rimase in piedi davanti alla poltrona.

— Professore — chiamò d’un tratto. — Chi è quella ragazza, quella che si è tanto spaventata quando sono arrivato nella vostra duellomacchina?

Leoh si voltò. — Geri Dulaq — disse. — La figlia del defunto primo ministro.

— Oh… capisco. — Per un attimo, la faccia inespressiva di Odal sembrò mostrare qualcosa: disappunto, rincrescimento?

— Mi odia, vero? — domandò.

— Direi proprio di sì — rispose il professore. — E perché non dovrebbe?

7

Hector si grattò pensosamente la testa e disse: — Questo mi mette… Be’, in una posizione buffa.

Il capitano kerakiano annuì. — Tutti ci troviamo in una situazione estremamente delicata.

— Be’, supponiamo che, voglio dire… Come faccio a sapere se dite la verità?

Il viso forte e pieno di cicatrici del capitano si indurì, rabbiosamente, per un attimo. I due si trovavano sul ponte della nave spaziale orbitante, dove era stato portato Hector. Oltre la ringhiera protettiva, sul livello sottostante, c’era la sala controllo dell’enorme vascello. Il capitano dominò la sua rabbia e rispose con disinvoltura.

— Un ufficiale di Kerak non mente mai. In nessuna circostanza. Il mio superiore, chiamiamolo così, ha parlato col Comandante della Guardia Spaziale, come vi ho detto. E si sono messi d’accordo perché restiate qui in attesa di ordini. Sono disposto a lasciarvi circolare liberamente sulla nave, eccezion fatta per la sala controllo, il gruppo elettrogeno e le camere stagne. Credo di essere più che generoso.

Hector tamburellò con le dita sul tavolo dov’era distesa una mappa. — A quanto pare, non ho via di scelta. Sono un ibrido tra il prigioniero e il turista da scambio culturale…

Il capitano sorrise meccanicamente, cercando di ignorare quel dito che tamburellava in modo esasperante.

— … E resterò con voi — continuò il tenente — fino a quando non avrete fatto fuori Kanus.

— NON DITE UNA COSA SIMILE! — Per poco l’ufficiale kerakiano non balzò addosso a Hector, per tappargli la bocca con la mano.

— Oh! Non ne sa niente, l’equipaggio?

Il capitano si stropicciò la fronte con mano tremante. — Come… chi… cosa vi ha fatto pensare che avessimo in mente un’idea simile?

Hector aggrottò le sopracciglia, perplesso. — A dire il vero, non lo so. Piccolezze. Sapete, qualche parole pronunciata dalle mie guardie. E poi, se così non fosse, Kanus mi avrebbe già strappato il cervello, ormai. Invece, no. Sono trattato quasi come un ospite. Dunque, voi non lavorate per Kanus. Eppure portate le insegne di Kerak. Allora dovete essere…

— Basta, per favore! Non è il caso di entrare in ulteriori dettagli.

— Va bene. — Il tenente si alzò. — Posso passeggiare per la nave?

— Sì, con le eccezioni che vi ho detto. — Anche il capitano si alzò. — Oh, sì, c’è un’altra zona proibita: la sala dei computer. Mi hanno detto che ci siete stato, oggi.

Hector annuì. — La guardia mi ha lasciato entrare. Mi sgranchivo le gambe dopo colazione. La guardia insisteva perché facessi esercizio, voglio dire.

— Sciocchezze! Avete discusso di metodi di calcolo con uno dei nostri programmatori più giovani.

— Infatti, sono sempre riuscito bene in matematica, sapete…

— Vi prego! Non so che cosa diavolo gli abbiate detto, ma cercando di inserire i vostri cosiddetti miglioramenti nel programma del calcolatore, il tecnico ha fatto saltare tre circuiti logici e causato un arresto del computer durato parecchie ore.

— Oh, che buffo!

— Buffo? — sbottò il capitano.

— Volevo dire strano.

— Sono d’accordo con voi. Non avvicinatevi mai più ai calcolatori.

— D’accordo. Il capitano siete voi — disse Hector, con un’alzata di spalle.

Il giovane girò sui tacchi e si allontanò, lasciando l’altro furibondo. Non aveva salutato, non aveva aspettato che l’ufficiale superiore lo congedasse. Se ne era semplicemente andato, come un civile! E adesso fischiettava! A bordo della nave! Il capitano si abbandonò sulla seggiola. Quello del computer sarebbe stato il primo di una lunga serie di incidenti, ne era certo. Romis dovrebbe sbrigarsi pensò. È solo questione di temp:. quel diavolo di un tenente ci farà impazzire tutti quanti!

Il ponte era collegato a una serie di stazioni tecniche: la sezione per la navigazione, in quel momento ferma, essendo la nave parcheggiata in orbita, la sala comunicazioni, sorvegliatissima e, più interessante di tutte, la sala d’osservazione.

Qui Hector trovò una cabina di misura discreta, piena di schermi televisivi che sorvegliavano quasi ogni angolo all’interno della nave, e che guardavano anche all’esterno in varie direzioni. Siccome il vascello orbitava intorno al pianeta principale di Kerak, la maggior parte dei dispositivi di esplorazione esterni erano rivolti verso terra. Hector fece amicizia con gli uomini di turno. Malgrado avesse l’emblema della Guardia Spaziale sulla tuta, quelli sembravano accoglierlo più come un compagno di sventura oppresso dalla disciplina militare, che come un nemico potenziale.

— Quella laggiù è la capitale — disse uno di loro, seguendo con un dito.

Il tenente annuì, impressionato. — È là che si trova la duellomacchina?

— Volete dire quella del ministero dei Servizi Segreti? sull’altra faccia del pianeta. Ve la mostrerò quando ci passeremo sopra.

— Grazie — disse Hector. — Mi piacerebbe molto vederla.

Ogni mattina, Odal veniva accompagnato dal suo appartamento sotterraneo al cortile interno del palazzo di giustizia, per un’ora di sole e di movimento. Sotto lo sguardo indifferente delle guardie, girava innumerevoli volte intorno all’aiuola del cortile, oppure faceva piegamenti, flessioni e altri esercizi vari. Il tutto per rompere la monotonia quotidiana e impedire alle guardie di accorgersi di quanto fosse infelice e solo.