Romis pensava, non è uno sciocco. Non avrà bisogno di me fino a che tutti i suoi piani non saranno maturi, fino a quando non sarà giunto il momento di uccidere il Duce. Quello mi lascia qui fino a quel preciso momento e poi mi offre in cambio del tenente della Guardia Spaziale! Così Spencer mi rimanderà a Kerak troppo tardi perché io possa tradire il ministro degli Esteri!
Tutt’intorno al cortile c’erano alberi robusti, pungenti, e, al centro, sorgeva una pianta stupenda, enorme, con rigide foglie dorate che tintinnavano come campanelli ogni volta che la brezza le faceva ondeggiare. Quando Odal si rialzò, rosso e accaldato, dopo una serie di piegamenti, vide Geri seduta sulla panca che c’era sotto quell’albero.
Il maggiore si asciugò la fronte con un asciugamano, che poi si gettò su una spalla, e le si avvicinò lentamente. Non si era mai accorto di quanto fosse bella. La sua faccia sembrava calma, ma lui intuiva uno sforzo enorme per controllarsi.
— Buon giorno — le disse. Lei annuì, ma non rispose. Né un sorriso, né una ruga di preoccupazione. Lui accennò alla panca, e quando la ragazza annuì di nuovo, si sedette.
— Siete la seconda persona che viene a trovarmi — disse il kerakiano.
— Lo so — replicò Geri. — Il professor Leoh mi ha detto del colloquio e del vostro rifiuto di aiutare Hector.
— Avevo immaginato che foste venuta per questo — disse Odal, con un sorriso ironico.
Lei lo guardò voltandosi di scatto. — Non potete lasciarlo a Kerak! Se Kanus…
— Hector è con Romis. È abbastanza sicuro.
— Ma per quanto tempo ancora?
— Per quanto può esserlo ciascuno di noi.
— No — disse Geri — è prigioniero e corre un serio pericolo.
— Lo amate davvero?
— Sì — rispose lei, negli un luccichio di lacrime negli occhi.
Scrollando la testa con incredulità, Odal domandò: — Ma come fate ad amare quel borioso dalla lingua biforcuta…
— È più forte di voi! — sbottò lei, indignata. — E più coraggioso. Non vuole uccidere nessuno, neanche voi. Vi ha lasciato vivere, mentre tutti su questo pianeta, me compresa, vi avrebbero ammazzato volentieri.
Odal indietreggiò, involontariamente.
— Gli dovete la vita — disse la ragazza.
— E ora vorreste che io rinunciassi alla mia, per salvare lui!
— Naturalmente. È l’unica cosa decente da fare. Ed è quello che farebbe lui al vostro posto.
— Ne dubito.
— Chiaro! Non sapete cosa sia l’onore.
Lui la guardò, con più attenzione questa volta, cercando di sondare le emozioni vibranti nell’espressione e nella voce della ragazza.
— Mi odiate? — domandò.
Geri fu sul punto di pronunciare un sì, poi esitò.
— Dovrei farlo, ne avrei tutte le ragioni. Io… io non lo so. Voglio odiarvi!
Si alzò di scatto dalla panca e se ne andò in fretta, a testa bassa, verso l’uscita più vicina. Odal la guardò per un attimo, poi la seguì. Ma le guardie gli impedirono di avvicinarsi alla porta. Geri scomparve alla sua vista, senza neppure voltarsi indietro.
— Vigliacchi! — imprecò Romis. — Donnette senza spina dorsale e con le gambe molli!
Camminava su e giù per lo studio tappezzato di scaffali pieni di libri, nella sua villa, vomitando parole fredde e taglienti come lame di coltello. Seduto accanto al camino, un bicchiere decorato in mano, stava il capitano della nave spaziale dove Hector era tenuto prigioniero.
— Complottano per mesi e mesi — borbottò il ministro, più a se stesso che al suo interlocutore — discutono per giornate intere su ogni minimo particolare, strisciano intorno come serpenti, cercando di assicurarsi che il loro piano sia assolutamente sicuro. E poi, appena spunta il pericolo, che cosa fanno?
Il capitano portò il bicchiere alle labbra.
— Fanno marcia indietro! — tuonò il ministro. — Mettono la loro piccola vita corrotta al di sopra del bene dei Mondi Kerak. Permettono a quel mostro di continuare a vivere, temendo di essere uccisi.
— Ma cosa vi aspettavate da loro? — disse il capitano. — Non potete obbligarli a essere coraggiosi. I capi dell’esercito, forse sì. Ma quelli sono stati tutti arrestati. Famiglie intere. Gli uomini politici che vi sono amici hanno una fifa blu di Kor. È già molto che non vi abbia ancora arrestato.
— Non lo farà — disse Romis, con un sorriso strano. — Almeno fino a che non scoprirà dove si trova Odal. Teme il ritorno del maggiore. Sa che quell’assassino è ben preparato.
— Spencer non vi renderà Odal finché voi non gli consegnerete Hector. E una volta che quello se ne sarà andato, potete essere certo che Spencer volteggerà sopra di noi come un avvoltoio.
— E allora, che cosa devo fare? Uccidere Kanus con le mie mani?
— Non potete.
— E perché no? Credete che mi manchi…
— Vecchio amico, non perdete di vista il vostro obiettivo! Kanus è un mostro, d’accordo, ma circondato da altri mostri minori. Se cercaste di ucciderlo, ammazzerebbero voi.
— E con questo?
— Chi prenderebbe in mano il governo? Uno dei tirapiedi di Kanus, senza dubbio. Vi andrebbe di vedere Greber al potere? O Kor?
Romis rabbrividì. — Certo che no.
— E allora, toglietevi dalla testa l’idea di uccidere personalmente Kanus. Sarebbe un suicidio.
— Ma bisogna fermare Kanus! Sono certo che è deciso ad attaccare Acquatainia prima della fine del mese. — Romis si avvicinò al camino acceso e fissò la fiamma. — Ritengo che si debba chiedere la restituzione di Odal, anche se questo significa liberare il tenente e rischiare un’invasione da parte di Spencer.
— Ne siete certo?
— Cos’altro possiamo fare? Se riuscissimo a compiere l’attentato abbastanza in fretta, potremmo tenere Spencer lontano da Kerak. Ma se esiteremo ancora, ci troveremo in guerra con Acquatainia.
— Possiamo battere gli acquatainiani.
— Lo so — rispose il ministro. — Ma Kanus diventerebbe tanto popolare che non oseremmo più toccarlo. E quel pazzo attaccherà i terrestri. E tutto ci crollerà addosso!
— Ehmm.
Romis si voltò e affrontò lo sguardo del capitano. — Dobbiamo rendere Hector e riprenderci Odal. Subito.
— Bene. Per essere sincero, il tenente è stato un bel disastro sulla mia nave. Sta sconvolgendo tutto.
— E come fa un uomo solo a sconvolgere una nave?
Il capitano scolò rapidamente il suo bicchiere. — Voi non sapete chi sia quest’unico uomo — rispose, senza altri commenti.
Avvicinandosi alla nave spaziale nel suo aereo-traghetto personale, il capitano intuì che qualcosa non andava.
Non si vedeva niente di strano, ma la nave non gli sembrava normale. E la sua preoccupazione aumentò quando l’aereo entrò in una delle gigantesche camere stagne. Le luci di emergenza erano accese, ma erano debolissime. Il portello fu richiuso da due mozzi in scafandro spaziale, e ci vollero quindici minuti buoni per portare la camera stagna alla pressione normale, con l’aiuto di pompe ausiliarie.
— Cosa diavolo è successo? — tuonò il capitano a un giovane ufficiale tremante, uscendo dall’aereo.
— È… si tratta dell’energia, signore. Un’interruzione.
— Un’interruzione?
L’ufficiale inghiottì nervosamente. — Signorsì — rispose. — All’improvviso, in tutta la nave. Non c’è più neanche un briciolo di energia.
Il capitano rimase per un attimo in silenzio, poi sbottò: — Spalancate il boccaporto e fatemi salire sul ponte!