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Gli uomini si precipitarono a eseguire gli ordini. Dopo qualche minuto, il capitano, l’ufficiale e le due reclute avevano abbandonato la camera stagna lasciando l’aereo senza sorveglianza.

Contemporaneamente, dalla cabina di controllo pressurizzata sbucò Hector. Era all’erta, ma sorrideva soddisfatto.

Dovrebbero trovare la causa dell’interruzione di corrente in un paio di minuti disse tra sé. E non appena si accenderanno le luci principali, io taglierò la corda.

Percorse tutta la camera stagna in punta di piedi, sistemando le pompe dell’aria inerti e il dispositivo di controllo del portello. Poi s’infilò nel minuscolo aereo-traghetto, ne sigillò l’apertura ed osservò il quadro di comando. Non dovrebbe essere troppo difficile… Così, a lume di naso!

Era stato facilissimo causare quel guaio. Gli era bastato discutere un po’ di tempo per convincere le guardie a permettergli di vagare da solo in certe parti dell’astronave. Aveva trascorso lunghe ore in sala d’osservazione, imparando a memoria la pianta dell’enorme vascello e riuscendo finalmente a individuare il proprio obiettivo… il Ministero dei Servizi Segreti, nel quale si trovava la duellomacchina.

Un’ora prima, aveva fatto una delle solite passeggiate dal suo alloggio alla sala comunicazioni. Le guardie, vedendolo seduto tranquillamente in mezzo a una dozzina di tecnici kerakiani, avevano allentato la sorveglianza. Lui aveva atteso un po’, quindi, senza dare nell’occhio, si era avvicinato alla scaletta che portava all’impianto di commutazione, sul ponte inferiore.

Li c’era mancato poco che mandasse a monte il suo piano, precipitando dal secondo gradino della scaletta. Per un bel po’ era rimasto a terra, lungo e disteso, immobile come se fosse morto. Finalmente si era arrischiato a dare un’occhiata su per la scala. Nessuno lo inseguiva. La sua scomparsa non era stata notata. Per alcuni minuti era al sicuro.

Aveva trovato in fretta quello che cercava: i conduttori provenienti dai gruppi elettrogeni principali e alle antenne di comunicazione. Preso uno degli elementi del circuito stampato da un apparecchio lì accanto, l’aveva usato per formare un ponte tra i serrafili dei conduttori di corrente e il circuito delle antenne. Secondo le leggi fisiche quello che stava tentando di fare era considerato impossibile, ma Hector, per un’esperienza precedente compiuta su un’altra nave spaziale, e il cui ricordo lo faceva ancora tremare, sapeva benissimo che avrebbe provocato quel contatto accidentale.

C’erano voluti circa quindici secondi perché i gruppi elettrogeni pompassero tutta la loro energia nel corto circuito. Era stata una cosetta tranquilla: niente scintille, fumo, esplosioni. Le luci e i motori della nave si erano spenti tutti simultaneamente. Certo era entrato in funzione l’impianto d’emergenza, ma quella debole illuminazione di fortuna e la confusione creata dall’equipaggio stupefatto e furente, avevano permesso a Hector di seguire abbastanza facilmente il percorso deciso in precedenza, che lo aveva portato alla camera stagna principale.

Ora se ne stava seduto nell’aereo del capitano, aspettando che l’energia tornasse. Le luci principali vibrarono leggermente, poi si accesero in pieno. Le pompe della camera stagna si svegliarono ronzando, il portello esterno si aprì. Hector premette l’acceleratore e il veicolo scivolò fuori dalla camera stagna, allontanandosi dall’astronave orbitante.

Il comandante kerakiano impiegò almeno dieci minuti per mettere insieme il mosaico delle informazioni: il contatto nell’impianto di commutazione, la scomparsa di Hector e la partenza non autorizzata del suo aereo personale.

— È scappato — mormorò, furente. — Scappato proprio quando stavamo per riconsegnarlo ai suoi!

— Cosa facciamo, signore? Se le pattuglie planetarie individuano il veicolo, il tenente Hector non sarà in grado di farsi identificare in modo soddisfacente, e quelli lo uccideranno!

A una prospettiva simile, gli occhi del capitano si illuminarono. Ma poi l’ufficiale tornò a più miti consigli. — No — disse — se quello crepa, tutta la Guardia Spaziale si riverserà su Kerak. — Rifletté un po’ e disse ai suoi ufficiali: — Ordinate a chi è addetto alle comunicazioni di trasmettere un piano di volo alla pattuglia planetaria. Dite che il mio aereo personale e una scialuppa stanno portando un contingente di uomini e ufficiali al Ministero dei Servizi Segreti. E fate preparare subito una delle scialuppe per la partenza immediata. Scegliete gli uomini migliori. Siamo in un bel pasticcio!

8

Odal camminava su e giù senza sosta, nella sua camera priva di finestre. Girava intorno alla poltrona, passava davanti alla porta sorvegliata e arrivava fino alla camera da letto, per poi tornarsene indietro e cominciare da capo.

Cercava di servirsi della sua mente come un computer imparziale per soppesare, valutare e calcolare un centinaio di fattori diversi. Ma tutti erano differenti, imponderabili. E da ciascuno di essi poteva dipendere la durata della sua vita.

Kanus, Kor, Romis, Hector, Geri…

Se me ne tornassi a Kerak, Kanus mi riserverebbe gli onori di un tempo? Io posseggo la chiave del teletrasferimento. Un modo nuovo e travolgente per invadere e conquistare una nazione. Oppure Kanus ha scovato qualche altro talento psichico? Mi considererebbe un traditore, una spia? O, peggio di tutto, un fallito?

Kor. Poteva riferirgli tutto quello che sapeva sul complotto capeggiato da Romis per uccidere il Duce, ma non era gran che. Lui, probabilmente, sapeva già quello e altro.

E Romis? È sempre deciso a rovesciare il Duce? Ha bisogno ancora di un assassino?

E il tenente della Guardia Spaziale, quell’idiota fischiettante? Comunque, è un teletrasferitore e, probabilmente, ha i miei stessi talenti. Io farei buona impressione a Leoh e a Spencer, salvandolo. Sarebbe rischioso, ma se lo faccio… farà buona impressione anche alla ragazza.

La ragazza. Geri Dulaq. Sì, Geri. Ha tutte le ragioni per odiarmi e, tuttavia, c’è qualcosa di diverso dall’odio nei suoi occhi. Paura? Rabbia? Dicono che l’odio sia molto affine all’amore

Lo schermo si illuminò, strappando Odal dalle sue fantasticherie. Il maggiore batté le mani e la parete sembrò dissolversi, rivelando la forma corpulenta di Leoh, seduto alla sua scrivania nell’edificio della duellomacchina. Questa era parzialmente visibile attraverso la porta socchiusa alle spalle del professore.

— Ho pensato che fosse il caso di avvertirvi — disse questi, senza tanti preliminari, la faccia rugosa contratta per la preoccupazione. — A quanto pare, Hector è fuggito dalle mani di Romis. Abbiamo ricevuto un messaggio da uno degli amici del ministro, che si trovava all’ambasciata di Kerak. Comunica che il tenente è scomparso.

Odal rimase immobile al centro della stanza. — Scomparso? Cosa significa?

Stringendosi nelle spalle, il professore replicò: — Secondo le nostre informazioni, Hector era tenuto prigioniero a bordo di una nave spaziale orbitante. È riuscito, chissà come, a fuggire con un aereo-traghetto. Probabilmente sta dirigendosi verso la duellomacchina di Kerak, la stessa da cui voi siete scappato. Non sappiamo altro.

— Quella macchina si trova al Ministero dei Servizi Segreti di Kor — disse Odal con calma. Ma la sua mente ripeteva frenetica: Kor, Hector, Romis, Geri! Poi soggiunse, a voce alta: — Va a buttarsi dritto in bocca al lupo.

— Voi siete l’unico che possa aiutarlo — dichiarò Leoh.

Geri… L’espressione della sua faccia… La sua voce: Non sapete neppure cosa sia l’onore.