Il ministro si precipitò verso la cabina di Hector, furibondo. — Se si è riavuto ed è fuggito, io…
Tutt’e due le porte si spalancarono simultaneamente. Da una uscì Hector, lo sguardo chiaro, il busto eretto. Alto, snello e biondo, la faccia stranamente calma, quasi sorridente. Il tenente lanciò un’occhiata verso l’altra cabina.
Là stava Odal. Alto, biondo e snello come Hector, con un’espressione quasi identica sulla faccia: un’espressione consapevole, una soddisfazione che nessuno mai sarebbe riuscito a corrompere.
— Voi! — gridò Kor. — Siete tornato!
Per un istante rimasero tutti pietrificati: Hector e Odal alle estremità opposte della duellomacchina, Kor a metà strada tra loro, i quattro meditec ai quadri di comando e un paio di guardie armate appena dietro a Kor. Il pallido sole azzurrognolo di Kerak gettava la sua fredda luce mattutina attraverso l’unica finestra.
— Vi dichiaro in arresto! — disse il ministro ad Odal. — In quanto a voi, tenente, non è ancora finita.
— Invece, sì — disse Hector senza scomporsi, dirigendosi lentamente e con decisione verso il ministro dei Servizi Segreti.
Kor aggrottò i sopraccigli. Poi vide che anche Odal avanzava verso di lui, e fece un passo indietro, gridando alle due guardie: — Fermateli!
Troppo tardi. Come una macchina perfettamente sincronizzata, Odal e Hector si lanciarono sui due uomini e li fecero crollare, svenuti, prima che Kor potesse dire una parola. Raccogliendo la pistola di una guardia, Odal la puntò contro il ministro. Hector recuperò l’altra arma e tenne a bada i meditec, terrorizzati.
— Tutti nelle celle dei prigionieri! — ordinò il maggiore.
— Pagherete con la vita! — gridò Kor.
Odal gli piantò la pistola tra le costole. — Tutti si crepa prima o poi. Ci tenete a morire adesso?
Il ministro impallidì. Tremando, uscì dalla sala e si diresse verso le celle.
Là c’era una guardia di servizio che riconobbe in Odal un seguace di Romis e aiutò il maggiore e il tenente a rinchiudere il gruppetto in cella. Poi i tre uomini si affrettarono verso lo studio di Kor.
— Prendete voi questa pistola — disse Odal alla guardia, mentre si precipitavano su per una scala di pietra. — E se incontriamo qualcuno, dite che ci state accompagnando dal ministro per essere interrogati.
L’uomo annuì. Hector nascose la sua arma sotto la tuta.
— Abbiamo solo pochi minuti prima che qualcuno scopra Kor nella cella — disse il maggiore. — Dobbiamo raggiungere Romis e uscire di qui.
Li fermarono due volte nei corridoi, ma li lasciarono sempre passare. L’ufficio di Kor era vuoto: a quell’ora mattutina i suoi collaboratori non erano ancora arrivati.
La guardia accese il comunicatore sulla scrivania di Kor, mentre le dita gli tremavano leggermente al pensiero di trafficare con gli apparecchi personali del ministro.
Romis, ancora mezzo addormentato, comparve sullo schermo. Riconobbe Odal e spalancò gli occhi, stupefatto.
— Cosa???
Hector fece un passo avanti. — Sono fuggito dalla vostra nave — spiegò in fretta — ma Kor mi ha acciuffato mentre cercavo di uscire dalla duellomacchina. Odal è tornato da Acquatainia. Abbiamo messo temporaneamente sotto chiave il ministro. Se avete intenzione di agire contro Kanus, questa è la mattina giusta. Abbiamo solo pochi minuti a disposizione.
Romis sbatté gli occhi. — Ma… avete rinchiuso Kor? Siete al Ministero dei Servizi Segreti?
— Sì — disse Odal. — Se avete soldati di cui potete fidarvi, portateli qui subito. Libereremo tutti i prigionieri che ci sarà possibile, ma avremo bisogno di un buon numero di armi e soldati per presidiare questo edificio contro l’esercito privato di Kor. Se riusciamo a tener duro qui e ad arrivare a Kanus, credo che la maggior parte dell’esercito passerà dalla vostra parte. Forse potremo vincere senza spargimento di sangue. Ma dobbiamo agire rapidamente!
10
Seduto sul letto, gli occhi fissi sulle due teste bionde apparse sopra lo schermo presso il capezzale, Romis lottava per mettere ordine tra i suoi pensieri.
— Benissimo. Mando subito tutte le unità su cui posso contare a presidiare il Ministero dei Servizi Segreti. Forse voi potete mettervi in contatto con qualcuno che conoscete nell’esercito, maggiore Odal.
— Sì — disse lui. — Molti ufficiali sono qui, in arresto.
Romis annuì. — Chiamerò il maresciallo Lugal. Credo che verrà con noi.
— Ma bisogna arrivare a Kanus prima che lui faccia scattare il grosso dell’esercito — disse Hector.
— Sì, sì, naturalmente. Kanus si trova nel suo rifugio di montagna. Non è ancora l’alba, là. Probabilmente dorme.
— C’è una duellomacchina, lassù? — domandò Odal.
— Non lo so. Può darsi. Si dice che recentemente ne abbia installato una per uso personale.
— Va bene — disse Hector. — Forse possiamo teletrasferirci.
— Prima bisogna liberare i prigionieri al Ministero e assicurarsi che l’edificio sia ben difeso — precisò Odal.
— Giusto — convenne Hector.
— C’è molto da fare — disse il maggiore al ministro degli Esteri. — E non si può perdere un secondo.
— Sì — convenne Romis.
L’immagine tridimensionale scomparve, lasciando lo schermo grigio e morto. Romis scosse la testa, come per scacciarne un sogno.
Potrebbe essere una trappola pensò, una manovra insidiosa di Kor. Ma il tenente era lì, e quello mica collaborava con Kor! Oppure non era il tenente? Non poteva essere un sosia?
— Trabocchetto o no — disse forte Romis — un’occasione come questa non ci capita più… se è autentica.
Istantaneamente prese una decisione; tre telefonate, e in tre minuti la cosa era fatta. O avrebbe liberato Kerak da un mostro, oppure avrebbe mandato a morte parecchie centinaia di brave persone, compreso se stesso.
Balzò dal letto, si vestì rapidamente e ordinò un aeromobile. Poi aprì il tiretto del tavolino da notte e prese una piccola pistola.
Il maggiordomo si affacciò alla porta. — Il veicolo è pronto, signore. Desiderate un pilota?
— No — rispose lui, infilandosi l’arma nella cintura. — Andrò da solo. Se non vi chiamerò per mezzogiorno, aprite la nicchia che sta dietro il mio letto, leggete le istruzioni che contiene e cercate di mettervi in salvo insieme con gli altri. Addio.
Prima che il maggiordomo, attonito, potesse aprir bocca, Romis gli passò davanti a passi lunghi e si precipitò verso l’aeromobile.
Kanus fu svegliato bruscamente da un servitore terrorizzato.
— Cosa succede? — grugnì il Duce, mettendosi lentamente a sedere sull’immenso letto circolare. Il sole aveva. appena sfiorato i picchi lontani coperti di neve, visibili attraverso l’enorme finestra della camera.
— Una… una chiamata del ministro dei Servizi Segreti, signore!
— Non startene lì come un tonto, passamela!
Il servo toccò un quadrante istoriato vicino alla porta, e subito una sezione della parete sembrò dissolversi nell’immagine granulosa e confusa di Kor. Il ministro era seduto sopra una dura panca, in una cella di pietra malamente illuminata.
— Cosa succede? — domandò Kanus. — Perché mi avete svegliato?
— È accaduto, mio Duce — disse Kor quietamente, pacato. — I traditori sono passati all’azione. Sono qui, rinchiuso in una delle celle…
— Cosa? — gridò Kanus, rizzandosi di scatto.
L’altro sorrise. — Quei pazzi credono di poter vincere, catturando me e presidiando il Ministero dei Servizi Segreti. Però hanno dimenticato alcuni particolari: per esempio, il suo comunicatore tascabile, con cui ho intercettato le loro chiamate. Romis sta recandosi al vostro palazzo, con l’intento di uccidervi.