L’ufficiale premette un bottone che aveva sulla cintura. Poco dopo un aeromobile a due posti arrivò silenziosamente, sorvolando l’estremità lontana della catena montuosa. Spencer salì a bordo faticosamente mentre l’ufficiale aspettava in silenzio. Quando il Comandante ebbe sistemato la sua mole nel sedile, il giovanotto girò in fretta intorno al veicolo e vi saltò dentro. Poi l’aeromobile si diresse velocemente verso la nave planetaria che li stava aspettando in un campo vicino.
— Non dimenticate di assegnare un ufficiale al professor Leoh — borbottò Spencer al suo aiutante.
Quella notte stessa, mentre la nave di Sir Harold effettuava il rendez-vous con l’astronave in attesa, il giovane ufficiale dettò l’ordine al corriere automatico che lo proiettò immediatamente al più vicino centro comunicazioni della Guardia Spaziale, su Marte.
L’ordine fu analizzato, catalogato automaticamente e trasmesso quindi al comandante del distaccamento della Guardia Spaziale più vicino all’Ammasso d’Acquatainia, sul sesto pianeta orbitante intorno alla stella Alfa Perseo. Qui l’ordine fu di nuovo analizzato automaticamente e avviato, attraverso il quartier generale di zona, agli archivi del personale.
Gli archivi automatizzati scelsero tre dossier, i cui dati corrispondevano ai requisiti richiesti dall’ordine.
Le tre microcartelle e l’ordine stesso apparvero poi simultaneamente sullo schermo inserito nella scrivania dell’ufficiale della Guardia Spaziale incaricato del reclutamento personale, su Alfa VI Perseo. L’ufficiale lesse l’ordine, esaminò i dossier e premette un pulsante che gli fornì un rapporto aggiornato sul curriculum e sulla situazione di ciascuno dei tre uomini in questione. Uno aveva diritto a una licenza, dopo un lungo periodo di servizio. L’altro era figlio di un amico personale del comandante locale e il terzo era arrivato da poche settimane, direttamente dall’Accademia della Guardia Spaziale.
L’ufficiale scelse il terzo uomo ed inserì il dossier e l’ordine di Sir Harold nell’apposita apparecchiatura automatica. Dopo di che se ne tornò al film di danze primitive che stava gustando prima che la pratica arrivasse sulla sua scrivania.
6
La stazione spaziale orbitante intorno al pianeta principale d’Acquatainia serviva anche per effettuare il trasferimento dei passeggeri dalle navi stellari a quelle planetarie, da luogo di villeggiatura, da stazione meteorologica, da laboratorio scientifico, da centro di comunicazioni, da osservatorio astronomico, da luogo di cura per le allergie e le affezioni cardiache, nonché da base militare. Era una città di notevoli dimensioni, con i suoi mercati, un governo autonomo e un sistema particolare di vita.
Il professor Leoh era appena sceso dalla rampa di sbarco della nave stellare proveniente da Szarno. Il viaggio era stato inutile, ma lui lo aveva fatto ugualmente sperando di poter trovare qualche guasto nella duellomacchina che era servita a uccidere un uomo. Mentre passava attraverso i rivelatori e gli apparecchi di controllo della dogana sentì un brivido lungo la schiena. Che tipo di dente erano, i Kerakiani, per uccidere deliberatamente un essere umano, per progettare la morte di chi apparteneva alla loro stessa specie? Erano peggio dei barbari: erano selvaggi.
Mentre usciva dalla dogana e prendeva la strada mobile che conduceva alle navi traghetto planetarie, provò un senso di infinita stanchezza. Il trambusto dei viaggiatori e dei turisti lo infastidiva, malgrado la plastica antisuono di cui era rivestito il corridoio della strada scorrevole. Decise quindi di rivolgersi all’ufficio comunicazioni, nel caso fossero arrivati messaggi. L’ufficiale che Sir Harold gli aveva promesso una settimana prima ormai doveva essere arrivato.
L’ufficio comunicazioni consisteva in una piccola cabina con la stampatrice dell’unità di uscita di un calcolatore, ed era affidato a una graziosa ragazza dai capelli neri. Automazione o no, pensò Leoh, nessuna macchina può sostituire il sorriso di una bella ragazza!
Un giovanotto magro, dalla faccia ossuta, se ne stava appoggiato al banco dell’ufficio informazioni e cercava di attaccare discorso con la ragazza. Aveva i capelli biondi e ricci, gli occhi azzurri e limpidi. Indossava pantaloni sportivi che non gli andavano certo a pennello e una tunica. Una piccola borsa da viaggio era posata sul pavimento, ai suoi piedi.
— Così, avevo pensato… ehm… che forse qualcuno sarebbe potuto venire a spasso con me per un poco — stava dicendo alla ragazza. — Io… ehm… non sono mai stato qui, su Acquatainia, voglio dire… prima d’ora…
— È il più bel pianeta della galassia — disse la ragazza. — Ha città bellissime.
— Già… ehm… insomma, pensavo che voi, forse… ehm…
Lei sorrise, gelida. — Io lascio raramente la stazione. Ci sono tante cose da dire e da fare, qui.
— Oh…
— Voi commettete uno sbaglio — interruppe Leoh. — Con la fortuna di avere un pianeta così bello, perché, in nome degli dèi e della logica umana, non scendete a godervelo? Immagino che non siate più andata a contemplare le bellezze naturali e le città di cui avete parlato, dal giorno in cui avete cominciato a lavorare alla stazione.
— Santo Cielo, avete ragione — disse lei, sorpresa.
— Vedete? Voi giovani siete tutti uguali. Non arrivate mai al di là del vostro naso. Dovreste tornare sul pianeta, signorina, e rivedere il sole. Perché non fare una visitina all’università e alla capitale? Spazio e verde in abbondanza, sole e una quantità di giovanotti a vostra disposizione.
— Può anche darsi. Chissà… — disse la ragazza, sorridendo.
— Domandate di me, quando verrete all’università. Sono il professor Leoh. Vi presenterò a qualche studente.
— Diamine, grazie, professore. Verrò il prossimo week-end.
— Bene. Dunque, niente messaggi per me? Nessuno mi sta aspettando?
La ragazza si girò e inserì alcune chiavi nel pannello di controllo del calcolatore. Una fila di luci lampeggiò brevemente per alcuni istanti.
— No, signore. Spiacente — disse, rivolta a Leoh.
— Bah. È strano. Comunque grazie, e arrivederci per il week-end.
Lei salutò con un sorriso, e il professore si voltò per uscire dalla cabina. Ma il giovanotto magro fece un passo verso di lui, inciampò nella borsa da viaggio e barcollò per alcuni metri prima di ritrovare l’equilibrio. Leoh si voltò e vide sulla faccia dello sconosciuto un’espressione buffa, mista di indecisione e curiosità.
— Posso esservi utile? — domandò, fermandosi al limite della strada mobile.
— Come… come avete fatto, signore?
— A fare che cosa?
— A convincere la ragazza a visitare l’università. Io le parlavo già da una mezz’ora, e quella neanche si era degnata di guardarmi!
— Be’, ragazzo mio — disse il professore, scoppiando a ridere — prima di tutto vi eravate troppo accalorato e questo lasciava capire che ci tenevate troppo. E poi, io ho un’età in cui ci si può permettere di essere paterni. La ragazza era in guardia contro di voi, non contro di me.
— Credo di capire.
— Sì. — Leoh indicò la strada scorrevole. — Suppongo che qui dovremo dividerci.
— Oh no, signore. Io vengo con voi. Ossia, voglio dire… siete il professor Leoh, vero?
— Sì. E voi siete… — Il professore esitò. Questo tipo sarà mica un ufficiale della Guardia Spaziale?
Il giovanotto si irrigidì, e, per una frazione di secondo, Leoh credette che volesse salutarlo militarmente. — Sottotenente Hector, signore. In missione speciale, dall’incrociatore SW4-J188, base di Alfa VI Perseo.