«Cessate il combattimento!» urlò Gurney. Respirò profondamente, mise le mani a imbuto intorno alla bocca: «Qui Gurney Halleck! Cessate di combattere!»
Lentamente le figure aggrovigliate nella lotta si separarono. Numerosi occhi perplessi si alzarono verso di lui.
«Questi sono amici!» gridò ancora.
«Amici?» gli rispose una voce. «Metà dei nostri uomini sono stati assassinati!»
«È stato un errore» disse Gurney. «Non peggioratelo.»
Si voltò nuovamente verso Paul e fissò gli occhi del giovane, azzurri sull’azzurro.
Un sorriso sfiorò il volto di Paul, ma c’era una durezza nella sua espressione che ricordò a Gurney il Vecchio Duca, il nonno. Poi vide il corpo nervoso e asciutto di Paul, la pelle coriacea, gli occhi sfuggenti, vigili, che non erano mai stati degli Atreides.
«Dicevano che eri morto» ripeté ancora.
«Mi è sembrato la miglior protezione lasciarlo credere» disse Paul.
Gurney si rese conto che quella sarebbe stata l’unica giustificazione che Paul gli avrebbe fornito, dopo averlo abbandonato alla sua sorte, facendogli credere che il Giovane Duca… che il suo amico fosse morto. Si chiese allora se fosse rimasto qualcosa del ragazzo che lui aveva conosciuto e addestrato nell’arte del combattimento.
Paul fece un passo verso Gurney e sentì gli occhi che gli prudevano.
«Gurney…»
E furono l’uno nelle braccia dell’altro, battendosi reciprocamente le mani sulle spalle, provando il contatto confortante dei propri muscoli.
«Dannato ragazzo! Dannato ragazzo!» continuava a balbettare Gurney.
E Pauclass="underline" «Gurney, vecchio Gurney!»
Poi si separarono, si squadrarono. Gurney respirò profondamente. «Così tu sei la causa della nuova abilità dei Fremen in battaglia! Avrei dovuto immaginarlo. Fanno cose che soltanto io potrei fare. Se soltanto avessi capito…» Scosse la testa. «Se tu avessi mandato un messaggio, ragazzo… Niente mi avrebbe fermato! Sarei venuto di corsa, e…»
Un’occhiata di Paul lo fermò, uno sguardo duro, calcolatore.
Gurney sospirò. «Sicuro. Qualcuno si sarebbe chiesto perché Gurney Halleck se n’era andato così in fretta. E alcuni avrebbero fatto qualcosa di più che porsi semplici domande. Avrebbero dato la caccia alle risposte.»
Paul annuì e guardò i Fremen in attesa. Vi erano apprezzamento e curiosità negli occhi dei Fedaykin.
Fissò nuovamente Gurney. L’aver ritrovato il suo vecchio maestro d’armi lo riempiva di gioia. Era come un felice presagio, l’annuncio di un avvenire propizio.
Con Gurney al suo fianco…
Paul guardò oltre i Fedaykin e le rocce, studiò l’equipaggiamento dei contrabbandieri.
«Da che parte stanno i tuoi uomini, Gurney?»
«Sono dei contrabbandieri. Vanno dove il profitto li chiama.»
«La nostra impresa garantisce ben pochi profitti» disse Paul, e colse l’impercettibile gesto che Gurney gli aveva fatto con la mano destra. Nel vecchio codice manuale che un tempo usavano tra loro, questo significava che tra i contrabbandieri c’erano alcuni uomini da cui bisognava guardarsi.
Portò la mano alla bocca per indicare che aveva capito e alzò lo sguardo verso i Fremen che erano rimasti di guardia tra le rocce. Vide Stilgar. Il ricordo del suo problema ancora in sospeso raffreddò in parte la sua gioia.
«Stilgar» disse Paul. «Questo è Gurney Halleck. Ti ho parlato tante volte di lui. Il maestro d’armi di mio padre. È lui che mi ha insegnato a combattere. È un vecchio amico. Ci si può fidare di lui per qualsiasi impresa.»
«Capisco» fece Stilgar. «Tu sei il suo Duca.»
Paul fissò il volto cupo, e si chiese per quale ragione Stilgar avesse detto proprio questo. Il suo Duca. C’era stata una lieve, curiosa inflessione nella sua voce, come se volesse dire un’altra cosa. E questo non era da lui, perché Stilgar era un capo Fremen, e diceva sempre quello che pensava.
Il mio Duca! pensò Gurney. Guardò Paul come se lo vedesse per la prima volta. Sì, Leto è morto e Paul è il Duca.
Nella sua mente, lo schema della guerra dei Fremen su Arrakis acquistò una nuova forma. Il mio Duca! Qualcosa di morto, nelle profondità della sua coscienza, riprese a vivere, a pulsare. A stento udì la voce di Paul, il quale ordinò che i contrabbandieri fossero disarmati in attesa d’interrogarli.
Ritornò bruscamente alla realtà quando sentì i suoi uomini protestare. Scosse la testa e si voltò. «Siete sordi?» gridò. «Questo è il Duca legittimo di Arrakis. Fate come vi ha ordinato!»
Borbottando, i contrabbandieri si rassegnarono.
Paul si avvicinò a Gurney e mormorò: «Non mi sarei mai aspettato che tu cadessi in questa trappola, Gurney».
«Sono stato giustamente punito. Scommetto che quella macchia laggiù, la spezia, non è più profonda di un granello di sabbia. Un’esca per attirarci.
«Hai vinto la scommessa» replicò Paul. Guardò i contrabbandieri che consegnavano le armi. «Vi sono altri uomini di mio padre nel tuo equipaggio?»
«Nessuno. Siamo troppo dispersi. Qualcuno è tra i liberi commercianti, ma la maggior parte ha speso tutti i suoi beni per andarsene da questo pianeta.»
«Ma tu sei rimasto.»
«Io sono rimasto.»
«Perché Rabban è qui.»
«Pensavo che non mi restasse nient’altro fuorché la vendetta» disse Gurney.
Un urlo, curiosamente troncato, risuonò in cima alla cresta rocciosa. Gurney alzò gli occhi e vide un Fremen che agitava un fazzoletto.
«Arriva un creatore» disse Paul. Seguito da Gurney, salì su uno sperone roccioso e guardò verso sudovest. L’onda di sabbia spostata dal verme era visibile a metà strada tra le rocce e l’orizzonte, una traccia coronata di polvere che tagliava direttamente il deserto verso di loro.
«È molto grosso» disse Paul.
Uno strepito si alzò dalla mietitrice alle loro spalle. L’enorme macchina si stava girando sui cingoli come un gigantesco insetto, muovendosi pesantemente verso le rocce.
«Peccato che non sia stato possibile salvare l’ala!» disse ancora Paul.
Gurney lo fissò, e guardò nuovamente il mucchio di rottami fumanti, nel deserto, dove l’ala e gli ornitotteri si erano schiantati, colpiti dai razzi dei Fremen. Provò un improvviso dolore per gli uomini morti laggiù… i suoi uomini, e disse: «Tuo padre si sarebbe rammaricato soprattutto per gli uomini che non era riuscito a salvare».
Paul lo fissò duramente, poi abbassò lo sguardo. Replicò, infine: «Erano tuoi amici, Gurney. Ti capisco. Per noi, tuttavia, erano degli intrusi. Potevano vedere cose proibite».
«Capisco fin troppo bene» disse Gurney. «Ora sono proprio curioso di vederle queste cose proibite.»
Paul alzò gli occhi e riconobbe quel sogghigno da vecchio lupo che conosceva così bene, e l’increspatura della liana indelebilis sulla mascella di Halleck.
Gurney accennò col capo al deserto sotto di loro. I Fremen continuavano ad affaccendarsi e nessuno sembrava preoccuparsi per l’avvicinarsi del verme.
Un rullio risuonò tra le dune, al di là della trappola di spezia; un sordo pulsare che Gurney sentì risalire dalla base della roccia, attraverso i piedi. I Fremen si dispersero sulla sabbia, lungo il segno del verme.
E il verme era ormai vicino, come un gigantesco pesce delle sabbie, aprendo la superficie del deserto con la sua cresta; i suoi anelli lucidi e ondeggianti tracciavano un solco tra una nube di polvere.
Dalla sua posizione privilegiata Gurney poté assistere alla cattura: il balzo ardito del primo uncinatore, la brusca rotazione della creatura, e poi tutti gli uomini che si lanciavano all’assalto della mobile collina scagliosa.