«Ecco una cosa che non avresti dovuto vedere» dichiarò Paul.
«Circolano molte voci» disse Gurney. «Ma è impossibile crederlo senza averlo visto.» Scosse la testa. «La creatura che tutti temono, su Arrakis, voi la usate come un animale da sella!
«Hai sentito mio padre parlare del potere del deserto» replicò Paul. «Eccolo. La superficie del pianeta è nostra. Non esistono tempeste, o animali, che possano fermarci.»
Fermarci, pensò Gurney. Vuol dire i Fremen. Si considera uno di loro. Considerò ancora gli occhi azzurri di Paul. Sapeva che anche i suoi occhi avevano una sfumatura di questo colore, ma i contrabbandieri potevano ottenere alimenti da altri pianeti, e c’era una sottile implicazione di casta, fra loro, in base all’intensità dell’azzurro. Quando un uomo diventava troppo simile agli indigeni, si diceva che aveva preso «un colpo di spezia». C’era sempre un certo disprezzo in questa espressione.
«Un tempo non avremmo mai cavalcato un creatore alla luce del giorno e a queste latitudini» disse Paul. «Ma Rabban non dispone più di un numero sufficiente di ornitotteri per sorvegliare anche la più piccola distesa di sabbia.» Fissò Gurney: «I tuoi velivoli ci hanno colto di sorpresa».
Ci hanno colto… Ci hanno…
Gurney scosse la testa, per scacciare quei pensieri: «Non si può certo paragonare alla nostra sorpresa».
«Che cosa si dice di Rabban nei villaggi?» chiese Paul.
«Dicono che hanno fortificato i villaggi del graben a un punto tale che voi non riuscirete più a far nulla contro di loro. Sono convinti che vi dissanguerete in inutili attacchi, mentre loro se ne staranno tranquilli, dietro le linee di difesa.
«In altre parole» disse Paul, «sono immobilizzati.»
«Mentre voi potete andare dove volete» replicò Gurney.
«È una tattica che ho imparato da te» fece Paul. «Hanno perduto l’iniziativa, e questo vuoi dire che hanno perduto la guerra.»
Gurney ebbe un sorriso di complicità.
«Il nemico si trova esattamente dove io desidero che sia» concluse Paul. Fissò Gurney: «Ebbene, Gurney, vuoi arruolarti con me per la fine di questa guerra?»
«Arruolarmi?» Gurney lo fissò. «Mio Signore, non ho mai lasciato il tuo servizio. Sei tutto quello che mi resta… E pensare che io ti credevo morto! Ero solo, e sono sopravvissuto come potevo, in attesa d’immolare la mia vita per l’unica causa valida… la morte di Rabban!»
Paul tacque, imbarazzato.
Un profilo femminile scivolò tra le rocce, sopra di loro. I suoi occhi, dietro la maschera, guizzavano da Paul al suo compagno. Si fermò davanti a Paul. Gurney notò il suo atteggiamento possessivo, il modo in cui lo fronteggiava.
«Chani» disse Paul, «questo è Gurney Halleck. Mi hai sentito parlare di lui.»
«Sì, ho sentito parlare di lui» replicò Chani. Lanciò una rapida occhiata a Halleck, poi fissò nuovamente Paul.
«Dove sono andati gli uomini sul creatore?»
«L’hanno cavalcato solo per distrarlo e darci il tempo di salvare le macchine.»
«Bene, allora…» Paul s’interruppe e annusò l’aria.
«Il vento si avvicina» disse Chani.
Una voce li chiamò dalla cresta rocciosa che incombeva su di loro: «Ehi, laggiù!… Il vento!»
Gurney vide che i Fremen si muovevano più in fretta. I loro gesti erano frenetici, adesso. L’avvicinarsi del vento creava in essi il timore che neppure il verme aveva suscitato. La mietitrice risalì pesantemente l’arido pendio sabbioso, aprendosi una strada tra le rocce… e i macigni furono rimessi a posto dietro la macchina con tanta precisione che i suoi occhi non scorsero più traccia del passaggio.
«Ne avete molti di nascondigli di questo tipo?» domandò.
«Molti… Moltissimi, anzi.» Paul guardò Chani: «Trovami Korba. Digli che Gurney mi ha avvertito che ci sono uomini, fra questi contrabbandieri, di cui non ci si può fidare».
Chani fissò ancora Gurney, poi Paul, annuì e si allontanò tra le rocce, agile come una gazzella.
«È la tua donna?» chiese Gurney.
«La madre del mio primogenito» disse Paul. «C’è un altro Leto fra gli Atreides.»
Gurney accettò la notizia limitandosi a stralunare gli occhi.
Paul osservò con occhio critico l’attività dei suoi uomini. Il cielo, verso sud, aveva acquistato una tinta ocra e le prime raffiche di vento li investirono in un turbinio di polvere.
«Stringi bene la tuta» disse Paul, e si aggiustò la maschera e il cappuccio. Gurney obbedì. Paul riprese, e la sua voce risuonò soffocata dai filtri: «Quali sono gli uomini di cui non ti fidi, Gurney?»
«Vi sono alcune nuove reclute» spiegò Gurney. «Alcuni stranieri…» Esitò, stupito che questo termine gli fosse venuto così facilmente: Stranieri…
«Sì?»
«Non assomigliano ai cacciatori di fortuna che si uniscono a noi» disse Gurney. «Sono diversi, più duri.»
«Spie degli Harkonnen?» chiese Paul.
«Credo, mio Signore, che non abbiano niente a che vedere con gli Harkonnen. Io sospetto che siano al servizio dell’Imperatore. Salusa Secundus ha lasciato la sua impronta su di loro.»
Paul gli lanciò un’occhiata tagliente: «Sardaukar?»
Gurney scrollò le spalle: «È possìbile, ma lo nasconderebbero assai bene, in questo caso».
Paul annuì. Gurney aveva riacquistato subito le sue abitudini di leale difensore degli Atreides, ma con qualche sottile differenza… Arrakis aveva cambiato anche lui.
Due Fremen incappucciati emersero da una spaccatura della roccia e si arrampicarono verso di loro. Uno dei due trasportava un grosso fagotto nero sopra la spalla.
«Dove sono i miei uomini, adesso?» s’informò Gurney.
«Al sicuro fra le rocce, sotto di noi» disse Paul. «Abbiamo una caverna, quaggiù, la Caverna degli Uccelli. Decideremo il loro destino dopo la tempesta.»
«Muad’Dib!» chiamò una voce.
Paul si voltò al grido e vide una sentinella al rimboccatura della grotta. Fece un gesto in risposta.
Gurney lo fissò, stupito. «Sei Muad’Dib?» domandò. «Il turbine delle sabbie?»
«È il mio nome Fremen» spiegò Paul.
Gurney evitò il suo sguardo, colto da un cupo presentimento. Metà dei suoi uomini giacevano morti sulla sabbia, l’altra metà era prigioniera. Non gl’importava delle nuove reclute, ma fra gli altri c’era brava gente: amici, uomini nei cui confronti sentiva una certa responsabilità. «Decideremo il loro destino dopo la tempesta», questo aveva detto Paul. Anzi, Muad’Dib. E Gurney ricordò le storie che si raccontavano di Muad’Dib, il Lisan al-Gaib… come avesse spellato un ufficiale degli Harkonnen per farne pelle di tamburo, e come amasse circondarsi dei commandos della morte, i Fedaykin, che si precipitavano nella lotta alzando inni alla morte.
Lui.
I due Fremen che risalivano la roccia balzarono in silenzio su uno spuntone davanti a Paul e s’immobilizzarono. Quello dal volto scuro disse: «Tutto a posto, Muad’Dib. Meglio andar sotto, adesso».
«D’accordo.»
Gurney valutò la voce dell’uomo, comando e preghiera insieme. Era Stilgar: un’altra figura leggendaria tra i Fremen.
Paul fissò il fagotto nero sulla spalla dell’altro: «Korba, che cosa c’è là dentro?»
Stilgar rispose: «Era nel trattore. Ha le iniziali del tuo amico qui presente, e contiene un baliset. Ti ho sentito parlare tante volte della bravura di Gurney Halleck al baliset…»
Gurney lo studiò, vide la barba nera che spuntava dal bordo della maschera, gli occhi di falco, il naso aguzzo.
«Hai un compagno che pensa, mio Signore» disse Gurney. «Grazie, Stilgar.»
Stilgar accennò al Fremen chiamato Korba di passare il fagotto a Gurney e replicò: «Ringrazia il tuo Signore, il Duca. Il suo favore ti ha guadagnato l’ammissione fra noi».