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Quante volte l’uomo in collera nega furiosamente quello che la sua coscienza gli dice?

dalla «Raccolta dei detti di Muad’Dib», della Principessa Irulan

Dalla folla riunita nella grotta delle assemblee s’irradiava quell’atmosfera muta e fremente che Jessica aveva sentito il giorno in cui Paul aveva ucciso Jamis. Piccoli gruppi si formavano e s’innalzava un brusio nervoso.

Mentre usciva dall’appartamento di Paul, Jessica nascose il cilindro messaggio sotto la veste. Era perfettamente riposata dopo il lungo viaggio dal sud, ma era irritata con Paul perché non aveva ancora autorizzato l’impiego degli ornitotteri catturati.

«Non abbiamo ancora il completo controllo dell’aria» aveva detto Paul. «E non dobbiamo dipendere da un carburante che non sia di questo mondo. Il carburante e i velivoli devono essere conservati per il giorno della grande rivincita!»

Paul era in piedi, sull’orlo della sporgenza, con un gruppo di giovani. La pallida luce dei globi dava alla scena un tocco d’irrealtà. Era come un dipinto, ma con una terza dimensione: gli odori della caverna, i mormorii, il rumore dei piedi strascicati.

Jessica studiò suo figlio, chiedendosi perché non le avesse ancora rivelato la sorpresa… Gurney Halleck. Il pensiero di Gurney la turbava, ricordandole un passato diverso e felice, giorni di amore e di bellezza col padre di Paul.

Stilgar aspettava con un piccolo gruppo dei suoi sull’altro lato della sporgenza. Era silenzioso, pieno di una dignità ineluttabile.

Non dobbiamo perdere quest’uomo, pensò Jessica. Il piano di Paul deve funzionare. Qualsiasi altra soluzione sarebbe una terribile tragedia.

Avanzò, sfiorando Stilgar ma senza degnarlo di uno sguardo, e un cammino si aprì tra la folla fino a Paul. Il più completo silenzio l’accompagnò.

Lei sapeva il significato di quel silenzio, l’emozione e le domande inespresse di quella gente. Lei era la Reverenda Madre.

I giovani si allontanarono da Paul mentre lei si avvicinava, e, per un attimo, questa deferenza con cui lo trattavano la sgomentò. «Tutti coloro che sono inferiori a te bramano la tua posizione»: era un assioma Bene Gesserit. Ma non lesse alcun desiderio su quei volti. Li dominava piuttosto quel fermento religioso che ribolliva intorno a Paul e alla sua guida. Ricordò un altro assioma: «I profeti hanno l’abitudine di morire di morte violenta».

Paul la fissò.

«È l’ora» disse Jessica, e gli porse il cilindro col messaggio.

Uno dei compagni di Paul, il più ardito, fulminò Stilgar con un’occhiata, ed esclamò: «Lo sfiderai Muad’Dib? Ora è il momento, non c’è dubbio. Ti giudicheranno un codardo se non…»

«Chi osa chiamarmi un codardo?» domandò Paul. La sua mano era volata all’impugnatura del cryss.

Un silenzio di tomba piombò sul gruppo, avvolgendo poi l’intera folla.

«C’è del lavoro da fare» disse Paul, mentre l’uomo si scostava da lui. Paul si voltò, si fece strada tra la gente fino alla sporgenza rocciosa, vi saltò sopra e affrontò la folla.

«Sfidalo!» gridò una voce.

Mormorii e bisbiglii accompagnarono il grido.

Paul aspettò che ritornasse il silenzio. Vi furono ancora colpi di tosse, un lieve ondeggiare qua e là. Quando la quiete fu completa, Paul alzò la testa e parlò con voce squillante.

«Siete stanchi di aspettare» disse.

Nuovamente, aspettò che l’esplosione d’invocazioni e di urla si calmasse.

Sono veramente stanchi di aspettare, pensò. Brandì il cilindro, pensando al messaggio che conteneva. Sua madre gliel’aveva mostrato, spiegandogli che era stato strappato a un corriere degli Harkonnen.

Il messaggio era esplicito: Rabban veniva abbandonato a se stesso, su Arrakis! Non avrebbe più ricevuto né aiuto né rinforzi!

Ancora una volta, Paul parlò con voce squillante: «Voi pensate che sia tempo che io sfidi Stilgar e gli strappi il comando?» Prima che potessero rispondere, si scagliò furiosamente su di loro: «Credete che il Lisan al-Gaib sia così stupido?»

Un silenzio attonito calò sulla caverna.

Accetta la sua veste religiosa, si disse Jessica. Non deve farlo!

«È l’usanza!» gridò qualcuno.

Paul replicò seccamente, spiando le loro reazioni emotive: «Le usanze cambiano».

Una voce piena di collera s’innalzò dal fondo della caverna: «Siamo noi che diciamo quello che bisogna cambiare!»

Vi furono grida di approvazione, qua e là.

«Come volete» disse Paul.

Stava usando la Voce. Jessica percepì le sottili intonazioni che gli aveva insegnato.

«Tocca a voi decidere» continuò Paul. «Ma prima dovete ascoltarmi.»

Stilgar si sporse sul dirupo roccioso. «Anche questa è l’usanza» disse, impassibile. «Qualsiasi Fremen ha il diritto di essere udito dal Consiglio. Paul Muad’Dib è un Fremen.»

«La cosa più importante è il bene della tribù, non è vero?» chiese Paul.

Conservando la sua calma piena di dignità, Stilgar replicò: «Questo è il fine di ogni nostra decisione».

«Benissimo. Allora, chi comanda questi uomini, questa tribù? E chi governa tutti gli uomini e tutte le tribù attraverso gli istruttori che abbiamo addestrato all’arte magica del combattimento?»

Paul attese, osservando le innumerevoli teste. Non vi fu risposta.

«È Stilgar, dunque, che comanda tutto? Lui stesso lo nega. Sono io, allora? Perfino Stilgar agisce secondo la mia volontà a volte, e i saggi, e i saggi tra i saggi mi ascoltano e mi onorano nel consiglio.»

Un silenzio pieno di tensione regnava tra la folla.

«Mia madre comanda, allora?» Paul indicò Jessica, avvolta nelle vesti nere cerimoniali. «Stilgar e tutti gli altri capi le chiedono consiglio per ogni decisione importante. Voi lo sapete. Ma una Reverenda Madre marcia, forse, attraverso il deserto e guida le razzie contro gli Harkonnen?»

Paul vide le fronti aggrottate, le espressioni pensierose, ma udì ancora serpeggiare mormorii incolleriti.

È un modo molto pericoloso di affrontarli, pensò Jessica, ma si ricordò del cilindro e di quello che il messaggio implicava. E vide a che cosa mirava Pauclass="underline" andare fino in fondo alla loro incertezza, e quando l’avesse sradicata, tutto il resto sarebbe seguito.

«Nessun uomo riconosce un capo senza una sfida e una lotta, non è così?» domandò Paul.

«È l’usanza!» gridò una voce.

«Qual è il nostro scopo?» replicò Paul. «Abbattere Rabban, la bestia degli Harkonnen, e fare di questo pianeta un mondo in cui vivere con le nostre famiglie nella felicità e nell’abbondanza d’acqua. È questo il nostro scopo?»

«I compiti più duri esigono dure usanze!» urlò qualcuno.

«Spezzate forse i vostri coltelli prima della battaglia?» gridò Paul. «Io vi dico questo come un fatto, non come una vanteria o una sfida: non c’è un solo uomo, qui presente, compreso Stilgar, che possa vincermi in un corpo a corpo. Lo stesso Stilgar l’ammette. Lui lo sa e anche voi lo sapete.»

Ancora una volta mormoni di collera s’innalzarono dalla folla.

«Molti di voi si sono battuti con me in palestra» disse Paul. «Sapete che non è un’oziosa vanteria: lo dico perché è un fatto noto a tutti, e sarei un pazzo se non lo riconoscessi io stesso. Io ho incominciato ad allenarmi in questo modo molto prima di voi, e quelli che mi hanno insegnato sono molto più duri di chiunque voi abbiate mai affrontato. Come credete, dunque, che io abbia potuto vincere Jamis a un’età alla quale i vostri figli giocano ancora?»