Sta usando bene la Voce, pensò Jessica, ma non basta con questa gente. È assai ben protetta dal controllo verbale. Deve aggredirli con la logica.
«Veniamo a questo, dunque» disse Paul. Prese il cilindro e dispiegò il messaggio. «Questo è stato strappato a un corriere Harkonnen. La sua autenticità è provata oltre ogni dubbio. È indirizzato a Rabban. Esso dice che ogni sua nuova richiesta di truppe è respinta, che la sua produzione di spezia è inferiore alla quota, che deve estrarre molta più spezia, su Arrakis, con la gente che ha.»
Stilgar avanzò al fianco di Paul.
«Quanti fra voi capiscono il significato di questo messaggio?» domandò Paul. «Stilgar l’ha capito subito.»
«Sono tagliati fuori!» urlò qualcuno.
Paul infilò nella sciarpa il cilindro col messaggio. Sfilò dal collo una corda di filo shiga intrecciato, ne tolse un anello e lo mostrò alla folla: «Questo era il sigillo ducale di mio padre» disse. «Ho giurato di non portarlo mai più, fino al giorno in cui non fossi stato pronto a condurre le mie truppe dovunque, su Arrakis, reclamando il pianeta come mio legittimo feudo!» S’infilò l’anello al dito e strinse il pugno.
Il silenzio divenne ancora più profondo.
«Chi governa, qui?» chiese Paul. Alzò il pugno. «Io! Io governo su ogni centimetro quadrato di Arrakis! Questo è il mio feudo ducale, che l’Imperatore lo voglia o no! Lui lo ha dato a mio padre, e a me spetta di diritto da mio padre!»
Si alzò sulla punta dei piedi, studiando la folla, cogliendone le emozioni.
Quasi, si disse.
«Vi sono uomini, qui, che occuperanno posizioni importanti su Arrakis quando reclamerò i diritti imperiali che mi appartengono» dichiarò. «Stilgar è uno di questi uomini. Non voglio corromperlo! E non per gratitudine, anche se io sono uno fra i molti, qui presenti, che gli devono la vita. No! Ma perché Stilgar è saggio e forte. Perché governa i suoi uomini con intelligenza e non solo secondo le usanze. Mi credete davvero così stupido? Credete che io sia disposto a tagliarmi il braccio destro e a lasciarlo sanguinante sul pavimento di questa caverna soltanto per darvi spettacolo?»
Paul fulminò la folla con lo sguardo: «Chi osa dire che io non sono il legittimo governante di Arrakis? Devo forse provarlo privando ogni tribù dell’erg del suo capo?»
Accanto a Paul, Stilgar lo fissò, perplesso.
«Come potrei privarmi di una parte della nostra forza nel momento in cui ne abbiamo più bisogno?» continuò Paul. «Io sono il vostro capo e vi dico che dobbiamo smetterla di uccidere i nostri uomini migliori. Dobbiamo uccidere invece i nostri veri nemici, gli Harkonnen!»
Fulmineamente, Stilgar brandì il suo cryss e lo puntò sulla folla. «Lunga vita al Duca Paul Muad’Dib!» gridò.
Un ruggito assordante riempì la caverna, rimbalzando tra le pareti di roccia. Tutti applaudivano e cantavano: «Ya hya chouhada! Muad’Dib! Muad’Dib! Muad’Dib! Ya hya chouhada!»
«Lunga vita ai soldati di Muad’Dib!» tradusse Jessica tra sé. La lunga scena preparata da lei, Paul e Stilgar aveva funzionato perfettamente.
Il tumulto si spense lentamente.
Quando fu ritornato il silenzio Paul fronteggiò Stilgar e gli disse: «Inginocchiati, Stilgar».
Stilgar s’inginocchiò sulla roccia.
«Dammi il tuo cryss» ordinò Paul.
Stilgar obbedì.
Questo non è come avevamo previsto, pensò Jessica.
«Ripeti con me, Stilgar» disse Paul, e richiamò alla memoria le parole dell’investitura, come le aveva udite da suo padre: «Io, Stilgar, prendo questo coltello dalle mani del mio Duca».
«Io, Stilgar, prendo questo coltello dalle mani del mio Duca» ripeté Stilgar, accettando la lama scintillante del cryss.
«Pianterò questa lama dove il mio Duca comanderà» disse Paul. Stilgar ripeté le parole, con solenne lentezza.
Ricordando l’origine del rito, Jessica ricacciò le lagrime e scosse la testa. So le ragioni di tutto questo, pensò. Non dovrei commuovermi così.
«Dedico questa lama alla causa del mio Duca e alla morte dei suoi nemici, fin quando il nostro sangue scorrerà» disse Paul.
E Stilgar ripeté ogni parola.
«Bacia la lama» gli ordinò Paul.
Stilgar obbedì, alla maniera dei Fremen, abbracciando anche il braccio destro di Paul, quello che brandiva il coltello in battaglia. A un cenno di Paul infilò il coltello nel fodero e si alzò.
Un mormorio di stupore corse tra la folla e Jessica udì le parole: «La Profezia… una Bene Gesserit indicherà la strada e una Reverenda Madre la vedrà…» E, più lontano, una voce aggiunse: «Ce l’ha mostrata attraverso suo figlio!»
«Stilgar è il capo di questa tribù» dichiarò Paul. «Che nessuno s’inganni. Stilgar comanda con la mia voce. Quello che Stilgar vi dirà sarà come se io l’avessi detto.»
Abile, pensò Jessica. Il capo della tribù non può perdere la faccia davanti a quelli che devono obbedirgli.
Paul disse ancora, a bassa voce: «Stilgar, voglio delle staffette nel deserto, questa notte, e che si mandino dei cielago per convocare una Riunione del Consiglio. Quando avrai fatto questo, prendi Chatt, Korba, Otheym e due altri luogotenenti di tua scelta. Portali nelle mie stanze: dobbiamo preparare il piano di battaglia. Dobbiamo avere in pugno una vittoria da mostrare al Consiglio dei Capi quando essi arriveranno».
Paul fece un gesto a sua madre, invitandola ad accompagnarlo. Poi lasciò la sporgenza rocciosa e attraversò la folla, dirigendosi verso il corridoio centrale e l’appartamento che gli era stato preparato. Mentre Paul si spingeva attraverso la folla, molte mani si protesero a toccarlo e alcune voci l’invocarono.
«Il mio coltello obbedirà agli ordini di Stilgar, Paul Muad’Dib! Facci combattere, Paul Muad’Dib! Che il sangue degli Harkonnen bagni il nostro mondo!»
Jessica percepiva chiaramente che il desiderio di battersi di questa gente saliva a livelli frenetici. Non erano mai stati così pronti. Li scaglieremo oltre le cime più alte.
Nella stanza più interna, Paul invitò sua madre a sedersi. «Aspetta qui.» E scivolò sotto la tenda, nel corridoio.
Jessica restò sola nella stanza silenziosa. Non si udiva neppure il debole ronzio delle pompe a vento che facevano circolare l’aria nel sietch.
Porterà qui Gurney, pensò. E si meravigliò per lo strano miscuglio d’emozioni che l’invadeva. Gurney e la sua musica evocavano tanti momenti felici di Caladan, prima della loro partenza per Arrakis. Ma Caladan… era come se fosse appartenuto a un’altra persona. Erano passati tre anni, ormai, e Jessica era diventata un’altra persona. L’idea di rivedere Gurney l’obbligava a riflettere su tutti quei cambiamenti.
Il servizio da caffè di Paul, di argento e jasmium, ereditato da Jamis, era appoggiato su un tavolo basso alla sua destra. Lo fissò, pensando a quante mani avevano toccato quel metallo. La stessa Chani aveva servito Paul in quell’ultimo mese.
Che cosa può fare questa donna del deserto per Paul, oltre a servirgli il caffè? si chiese Jessica. Non gli porta alcun potere, nessuna famiglia. Paul ha soltanto un’unica, grande possibilità: allearsi con una delle Grandi Case, forse con la famiglia imperiale. Vi sono principesse da marito, dopotutto, e ciascuna di esse è una Bene Gesserit.
Jessica s’immaginò mentre lasciava i rigori di Arrakis per la sicurezza e il potere che spettavano alla madre di un consorte reale. Fissò le pesanti tende che nascondevano le pareti rocciose di quella cella, pensando a com’era giunta fin lì, cavalcando una schiera di vermi, ai palanchini e alle piattaforme stracariche di quant’era necessario all’imminente campagna.