«Quanto, ancora, prima che la tempesta raggiunga il Muro Scudo?» chiese Paul.
Stilgar si voltò e consultò uno dei Fedaykin nella depressione. Poi disse: «Arriverà molto presto, Muad’Dib. Molto più presto di quanto ci aspettassimo. L’ho detto, è una grande tempesta… forse anche più grande di quanto la desideravi».
«È la mia tempesta» fece Paul. E vide l’espressione di rispettoso timore che si disegnò sui volti dei Fedaykin silenziosi. «Anche se scuotesse l’intero pianeta, non sarebbe troppo per me. Colpirà in pieno il Muro Scudo?»
«Quasi. Ma non farà alcuna differenza.»
Un corriere uscì dal foro che conduceva giù nel bacino, e annunciò: «I Sardaukar e le pattuglie degli Harkonnen si stanno ritirando, Muad’Dib».
«Pensano che la tempesta rovescerà troppa sabbia nel bacino, cancellando ogni visibilità» disse Stilgar. «Pensano che anche noi saremo paralizzati.»
«Di’ ai nostri cannonieri di prender bene la mira prima che la tempesta oscuri il cielo» ordinò Paul. «Devono fracassare il muso di ciascuna di quelle navi non appena la tempesta avrà distrutto gli scudi.»
Si avvicinò fino alla parete rocciosa, alzò un angolo della copertura mimetizzante e scrutò il cielo. Già si vedeva la sabbia trascinata dal vento che si contorceva formando lunghe code di cavallo contro l’oscurità incombente. Paul rimise a posto la copertura e disse: «Che i nostri uomini comincino a scendere, Stil».
«Non vieni con noi?» domandò Stilgar.
«Mi fermo ancora un poco con i Fedaykin» disse Paul.
Stilgar alzò le spalle, con un gesto d’intesa verso Gurney, avanzò verso il foro nella roccia e scomparve nel buio.
«Gurney» disse Paul. «Lascio nelle tue mani il pulsante che farà saltare il Muro Scudo. Conto su di te.»
«Lo farò.»
Paul chiamò con un gesto uno dei suoi luogotenenti Fedaykin. «Otheym, togli le tue pattuglie dalla zona dell’esplosione. Devono essere lontane prima che la tempesta ci travolga.»
Otheym s’inchinò e seguì Stilgar.
Gurney si avvicinò nel crepaccio e parlò all’uomo del telescopio: «Sorveglia attentamente la parete sud. Sarà completamente indifesa finché non la faremo saltare».
«Invia un cielago con un segnale a tempo» ordinò Paul.
«Alcuni veicoli di superficie si dirigono verso la parete sud» disse l’uomo al telescopio. «Usano armi a proiettile. Sparano qualche colpo di prova. I nostri usano scudi individuali, come tu hai ordinato. I veicoli si arrestano…»
Nell’improvviso silenzio, Paul udì demoni del vento che urlavano nel cielo… il fronte della tempesta. La sabbia cominciava a infilarsi nella cavità, turbinando, dai buchi della copertura mimetica. Poi, un colpo di vento strappò il tessuto e lo trascinò via con sé.
Paul ordinò ai Fedaykin di ripararsi e si avvicinò agli uomini delle trasmittenti, accanto alla bocca del tunnel. Gurney lo seguì. Paul si piegò sopra gli operatori.
«La tempesta, Muad’Dib» disse uno degli uomini. «La Madre di tutte le Tempeste.»
Paul guardò il cielo sempre più buio e ordinò: «Gurney, fai ritirare gli osservatori dalla parte sud». Dovette urlare l’ordine due volte, per vincere il crescente frastuono della tempesta.
Gurney si allontanò.
Paul si allacciò il filtro al viso, stringendo il cappuccio della tuta distillante.
Gurney ritornò.
Paul gli sfiorò la spalla, indicandogli il pulsante per l’esplosione nell’imboccatura del tunnel, oltre gli operatori radio. Gurney entrò nel cunicolo, si fermò con la mano sul pulsante, e fissò Paul.
«Nessun messaggio» disse l’operatore. «Soltanto scariche.»
Paul annuì, gli occhi puntati sul quadrante graduato in tempo standard. Poi guardò nuovamente Gurney, alzò una mano, un’ultima occhiata al quadrante… La lancetta iniziò il giro finale. Paul allora abbassò la mano gridando: «Fuoco!»
Gurney premette il pulsante.
Sembrò trascorrere un intero secondo, prima che il terreno cominciasse a incresparsi e a tremare. Il boato crebbe e sovrastò il ruggito della tempesta.
L’osservatore Fedaykin comparve accanto a Paul, il telescopio stretto sotto il braccio: «La breccia è aperta, Muad’Dib!» urlò. «La tempesta è sopra di loro e i nostri artiglieri hanno già aperto il fuoco!»
Paul ebbe la visione della tempesta che spazzava il bacino, mentre la muraglia carica di elettricità statica distruggeva al suo passaggio tutti gli scudi dei nemici.
«La tempesta!» gridò qualcuno. «Dobbiamo ripararci, Muad’Dib!»
Paul si riscosse dai suoi pensieri e sentì le innumerevoli punture della sabbia sulle guance. Il dado è tratto! pensò. Mise un braccio sulle spalle dell’operatore radio e disse: «Lascia gli apparecchi! Ne abbiamo altri nel tunnel». Si sentì strappar via dai Fedaykin, i quali lo premevano da ogni lato per proteggerlo. Fu spinto in avanti nelle profondità del tunnel. Il silenzio calò all’improvviso su di loro. Girarono un angolo e si trovarono in una piccola stanza illuminata dai globi. Un nuovo cunicolo si apriva più avanti.
Un operatore radio era in ascolto a un altro apparecchio.
«Troppi disturbi» esclamò.
Un vortice di sabbia riempì l’aria intorno a loro.
«Sigillate la galleria!» gridò Paul. L’ordine fu eseguito e ritornò il silenzio. «La strada verso il bacino è ancora aperta?»
Uno dei Fedaykin si allontanò per qualche secondo, ritornò e disse: «L’esplosione ha provocato una piccola frana, ma gli ingegneri dicono che la via è sempre libera. La stanno ripulendo con le lame laser».
«Che usino le mani!» gridò Paul. «Ci sono ancora degli scudi in funzione, laggiù!»
«Fanno attenzione, Muad’Dib» disse l’uomo. Tuttavia si precipitò a trasmettere l’ordine.
Comparvero gli altri operatori radio, portando con sé l’equipaggiamento esterno.
«Avevo detto a quegli uomini di lasciar perdere gli apparecchi!» esclamò Paul.
«Ai Fremen non piace abbandonare il materiale» replicò uno dei Fedaykin.
«Gli uomini sono più importanti del materiale, adesso» dichiarò Paul. «Tra poco avremo più apparecchi di quanti ne potremmo mai usare… o non ne avremo bisogno mai più.»
Gurney Halleck si avvicinò. «Ho sentito dire che la via è aperta. Siamo molto vicini alla superficie, mio Signore. Se gli Harkonnen rispondono al nostro attacco…»
«Non sono in grado di rispondere» disse Paul. «In questo momento si accorgono che non hanno più scudi e che non possono più lasciare Arrakis.»
«Il nuovo posto di comando è pronto, mio Signore.»
«Non hanno ancora bisogno di me al posto di comando» replicò Paul. «Il piano si svolge alla perfezione anche senza la mia presenza. Dobbiamo aspettare che…»
«Ricevo un segnale, Muad’Dib» l’interruppe l’operatore radio. Scosse la testa, schiacciò la cuffia contro le orecchie. «Troppe scariche!» Poi cominciò a scrivere su un taccuino davanti a lui, continuando a scuotere la testa, aspettando, scrivendo… aspettando.
Paul scivolò al suo fianco. Uno dei Fedaykin fu pronto a scostarsi per lasciargli il posto. Paul si curvò sull’operatore e lesse quello che l’uomo aveva scritto:
«Invasione… al Sietch Tabr… prigionieri… Alia… famiglie di… sono morti… essi… figlio di Muad’Dib».
Nuovamente l’operatore scosse la testa.
Paul alzò gli occhi. Gurney lo fissava.
«Il messaggio non è completo» disse. «Le scariche. Tu non puoi sapere…»
«Mio figlio è morto» disse Paul. E seppe che era la verità nel preciso istante in cui pronunciava queste parole. «Mio figlio è morto… e Alia è prigioniera… in ostaggio.» Si sentì vuoto: un guscio senza emozioni. Tutto quello che toccava era morte e dolore. Era come una malattia, che poteva spargersi in tutto l’universo.