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«Quali altre?» domandò l’Imperatore. «Che cos’è questa storia assurda?»

La vecchia si raddrizzò e lasciò ricadere il braccio. «Ho detto troppo, ma rimane pur sempre il fatto che questa bambina dev’essere distrutta. Da molto tempo sapevamo come fare per impedirle di nascere, ma una di noi ci ha tradito.»

«Tu farnetichi, vecchia» disse Alia. «Non sai come sia accaduto, e tuttavia continui a blaterare come una pazza cieca.» Alia chiuse gli occhi, inspirò profondamente e trattenne il respiro.

La vecchia Reverenda Madre gemette e barcollò.

Alia aprì gli occhi: «È così che è accaduto» disse. «Un incidente cosmico… e tu vi hai recitato la tua parte».

La Reverenda Madre alzò ambedue le mani, come per respingere la bambina.

«Che cosa sta accadendo, qui?» domandò l’Imperatore. «Bambina, puoi veramente proiettare il tuo pensiero nella mente di un altro?»

«Non è affatto così» ribatté Alia. «Se io non sono nata come te, non posso pensare come te.»

«Uccidetela» mormorò la vecchia, e si afferrò allo schienale del trono per sostenersi. «Uccidetela!» I suoi occhi profondamente infossati fissavano Alia con odio.

«Silenzio!» ordinò l’Imperatore. Studiò Alia: «Bambina, puoi comunicare con tuo fratello?»

«Mio fratello sa che io sono qui» rispose Alia.

«Puoi dirgli di arrendersi in cambio della tua vita?»

Alia gli sorrise con serena innocenza: «Non lo farò» disse.

Il Barone avanzò incespicando: «Maestà… io non so nulla di…»

«Barone» lo rimbeccò l’Imperatore, «interrompetemi un’altra volta e vi toglierò per sempre la possibilità di interrompere.» I suoi occhi non lasciarono il piccolo viso di Alia, studiandolo attraverso le palpebre socchiuse: «Non vuoi, eh? Puoi leggermi nella mente quello che farò se non mi obbedirai?»

«Ho già detto che non posso leggere il pensiero» replicò lei. «Ma non c’è bisogno di telepatia per leggere le tue intenzioni.»

L’Imperatore si accigliò: «Bambina, la tua causa è senza speranza. Basta che io chiami a raccolta le mie forze per ridurre questo pianeta a un…»

«Non è così semplice» disse Alia. Accennò ai due uomini della Gilda: «Chiedilo a loro».

«Non è saggio opporsi ai miei desideri» dichiarò l’Imperatore. «Tu non puoi rifiutarmi niente.»

«Mio fratello sta per arrivare» disse Alia. «Anche un Imperatore deve tremare davanti a Muad’Dib, perché la sua forza è quella del buon diritto e il cielo gli sorride.»

L’Imperatore balzò in piedi: «Questo scherzo è durato abbastanza. Prenderò tuo fratello e questo pianeta, e li ridurrò in…»

La stanza oscillò e tremò intorno a loro, con un sordo boato. Poi una cascata di sabbia si rovesciò dietro al trono, nel punto in cui l’immensa tenda di metallo si saldava alla nave Imperiale. La pressione dell’aria aumentò bruscamente. Un brivido attraversò la pelle dei presenti: uno scudo di enormi dimensioni veniva attivato.

«Te l’avevo detto» disse Alia. «Mio fratello sta arrivando.»

L’Imperatore era immobile davanti al trono, la mano destra premuta contro l’orecchio, ascoltando una microricevente. Il Barone scivolò dietro ad Alia, mentre i Sardaukar si appostavano alle uscite.

«Ritorneremo subito nello spazio, per riorganizzarci» annunciò l’Imperatore. «Barone, tutte le mie scuse. Questi pazzi ci attaccano con la protezione della tempesta. Essi sapranno, allora, cosa significa sfidare l’ira Imperiale.» Indicò Alia: «Gettatela nella tempesta».

A queste parole, Alia balzò indietro, fingendosi terrorizzata: «Lascia che la tempesta prenda quello che può!» E si gettò tra le braccia del Barone.

«L’ho presa, Maestà!» gridò il Barone. «Ora la spedirò al… Aaaahh!» La scaraventò al suolo, stringendosi il braccio sinistro.

«Mi dispiace, nonno» disse Alia. «Hai fatto la conoscenza del gom jabbar degli Atreides.» Si alzò in piedi, aprì le mani e lasciò cadere un ago gocciolante.

Il Barone si rovesciò all’indietro. Gli occhi gli si sbarrarono mentre fissava la traccia rossa che era comparsa sul suo palmo sinistro. «Tu… tu…» Rotolò sul fianco tra i suoi sospensori: una massa enorme di carne floscia a pochi centimetri dal pavimento, la testa penzolante e la bocca spalancata.

«Questa gente è pazza!» ringhiò l’Imperatore. «Svelti! Tutti a bordo della nave. Purificheremo questo pianeta da ogni…»

Qualcosa lampeggiò alla sua sinistra. Una palla di fuoco zampillò dalla parete e crepitò sul pavimento di metallo. Un acre odore d’isolante bruciato entrò a fiotti nel selamlik.

«Lo scudo!» urlò uno degli ufficiali Sardaukar. «Lo scudo esterno è caduto! Hanno…»

Le sue parole furono soffocate da un ruggito metallico, mentre la parete della nave dietro all’Imperatore vacillò e fremette.

«Hanno fatto saltar via la prora della nostra nave!» urlò qualcuno.

La polvere ribolliva nella stanza. Alia scomparve nel vortice e corse verso la porta d’ingresso.

L’Imperatore si voltò di scatto e ordinò ai suoi di dirigersi verso un’uscita di emergenza che si aprì di scatto sulla parete della nave, dietro al trono. Un rapido segnale con la mano a un ufficiale dei Sardaukar, attraverso la polvere. «Ci arroccheremo qui!» ordinò.

Un altro schianto scosse la tendopoli. Le doppie porte si spalancarono di schianto sul lato opposto della stanza, lasciando entrare un torrente di sabbia e innumerevoli urla. Per un attimo una minuscola figura nera si disegnò contro la luce: Alia che si precipitava a procurarsi un coltello e, come si confaceva al suo addestramento Fremen, a uccidere gli Harkonnen e i Sardaukar feriti. I Sardaukar della Casa Imperiale si dispiegarono allora nella bruma giallastra, formando un arco di cerchio per proteggere la ritirata dell’Imperatore.

«Salvate voi stesso, Signore!» gridò un ufficiale. «Entrate nella nave!»

Ma l’Imperatore era solo, immobile accanto al trono; la sua mano indicava le porte del selamlik. La parete era stata squarciata per quaranta metri, e le porte si aprivano sulla sabbia sconvolta dalla tempesta. Da una distanza infinita una nuvola di polvere incombeva sul mondo. Campi di elettricità statica crepitavano tra le nubi e i lampi degli scudi cortocircuitati s’innalzavano da ogni parte. La pianura brulicava di figure che si battevano: Sardaukar e uomini avvolti nei mantelli che continuavano a balzar fuori dal cuore turbinante della tempesta.

Tutto questo faceva da cornice a quello che l’Imperatore indicava con la mano.

Dalla nuvola di sabbia uscì una schiera compatta di forme risplendenti, curve gigantesche s’innalzarono su zanne di cristallo che divennero le bocche spalancate dei vermi delle sabbie: una massiccia parete di vermi, ognuno con un plotone di Fremen che lo spronava all’attacco. Piombarono su di loro fischiando, stridendo, schiacciando la mischia furiosa sulla pianura, in uno sventolio di mantelli neri nella tempesta.

Puntavano direttamente sulla tendopoli dell’Imperatore e i Sardaukar della Casa Reale, per la prima volta nella loro storia, fissarono pietrificati un massacro che le loro menti avevano difficoltà ad accettare.

Ma le figure che balzavano giù dalle schiene dei vermi erano uomini, e il balenare delle lame nella sinistra luce giallastra era qualcosa che i Sardaukar erano stati addestrati ad affrontare. Si gettarono nella mischia. E sulla pianura di Arrakeen fu un unico, gigantesco corpo a corpo, mentre un gruppo scelto di guardie Sardaukar spingeva l’Imperatore all’interno della nave, sigillando la porta dietro di lui e preparandosi a morire sul posto.

Scosso dal relativo silenzio all’interno della nave, l’Imperatore fissò i volti pallidi e terrorizzati del suo seguito. Sua figlia appariva stremata, il volto paonazzo. La Veridica, immobile, il cappuccio calato sul viso, era un’indistinta ombra nera. Infine, i due che cercava: gli uomini della Gilda. La loro uniforme grigia, senza ornamenti, sembrava intonarsi perfettamente alla calma che ostentavano, nonostante il gioco delle intense emozioni intorno a loro.