Paul ignorò la domanda. Gurney si avvicinava seguito da due Fremen che scortavano un prigioniero Sardaukar.
«Eccone uno, mio Signore» disse Gurney. Con un gesto, ordinò ai Fremen di tenere il prigioniero a cinque passi da Paul.
Gli occhi del Sardaukar, notò Paul, avevano un’espressione vitrea, sconvolta. Un livido bluastro gli attraversava il volto dalla radice del naso a un angolo della bocca. Era biondo e dai tratti delicati: caratteristiche che indicavano un alto rango tra i Sardaukar. E tuttavia non c’erano insegne sulla sua uniforme strappata, fuorché i bottoni d’oro con lo stemma imperiale e i galloni stracciati dei suoi calzoni.
«Penso che sia un ufficiale, mio Signore» disse Gurney.
Paul annuì. «Io sono il Duca Paul Atreides. Lo capisci, questo?»
Il Sardaukar lo fissò senza muoversi.
«Parla» riprese Paul, «o il tuo Imperatore potrebbe morire.»
L’uomo sbatté le palpebre e deglutì.
«Chi sono io?» domandò Paul.
«Voi siete il Duca Paul Atreides» disse l’uomo con voce rauca.
Paul ebbe l’impressione che si sottomettesse con troppa facilità, ma d’altra parte i Sardaukar non avevano mai dovuto affrontare una giornata come questa. Finora avevano conosciuto soltanto vittorie, e ciò, si disse Paul, era già una forma di debolezza. Scartò quel pensiero, ripromettendosi di riprenderlo in considerazione più tardi.
«Voglio che tu porti un messaggio all’Imperatore» riprese Paul. E pronunciò l’antica formula: «Io, il Duca di una Grande Casa, Congiunto dell’Imperatore, faccio solenne giuramento all’Intesa. Se l’Imperatore e i suoi deporranno le armi e verranno da me, garantirò le loro vite con la mia». Alzò la mano sinistra, perché il Sardaukar potesse vedere il sigillo ducale. «Lo giuro su questo.»
Il Sardaukar s’inumidì le labbra e guardò Gurney.
«Sì» disse Paul. «Chi, se non un Atreides, potrebbe garantirsi la fedeltà di Gurney Halleck?»
«Porterò il messaggio» dichiarò il Sardaukar.
«Accompagnalo al nostro posto più avanzato e lascialo andare» ordinò Paul.
«Sì, mio Signore.» Gurney fece un cenno alle guardie perché lo scortassero e lo condusse fuori.
Paul si voltò verso Stilgar.
«Chani e tua madre sono arrivate» disse Stilgar. «Chani ha chiesto di restar sola col suo dolore. La Reverenda Madre ha voluto recarsi per un attimo nella camera strana. Non so perché.»
«Mia madre è malata di nostalgia per quel mondo che probabilmente non vedrà mai più» spiegò Paul. «Un pianeta dove l’acqua cade dal cielo e le piante crescono così fitte che è impossibile camminare tra loro.»
«L’acqua dal cielo…» mormorò Stilgar.
In quell’istante Paul vide quello che Stilgar era diventato: non era più un naib, ma una creatura del Lisan al-Gaib, un ricettacolo di stupore e obbedienza. Questo in realtà lo diminuiva e Paul sentì in lui il primo soffio del vento fantasma del jihad.
Ho visto un amico cambiarsi in un adoratore, pensò.
Provò all’improvviso un’impressione di profonda solitudine. Esplorò la sala con lo sguardo e vide a qual punto l’atteggiamento delle guardie si era modificato in sua presenza. Si erano aggiustate le vesti e stavano come in parata, in una sorta di competizione nella speranza di attirare l’attenzione di Muad’Dib.
Muad’Dib, da cui nasce ogni benedizione, pensò, e fu il pensiero più amaro della sua vita. Sono convinti che m’impadronirò del trono. Ma non sanno che lo faccio soltanto per impedire il jihad.
Stilgar si schiarì la gola: «Anche Rabban è morto».
Paul annuì.
Le guardie alla sua destra si scostarono all’improvviso e scattarono sull’attenti facendo ala a Jessica. Era vestita del suo aba nero e avanzava leggera come se ancora scivolasse sulla sabbia, ma Paul osservò che qualcosa sembrava essere ritornato in lei, qualcosa dei giorni in cui era vissuta qui… la concubina di un duca regnante. Un po’ della sua antica baldanza.
Jessica si fermò davanti a Paul, lo guardò. Vide che era stanco e che lo nascondeva, ma non provò alcuna compassione per lui. Era come incapace di provare qualsiasi emozione per suo figlio.
Jessica era entrata nella Grande Sala chiedendosi come mai questo luogo si rifiutasse di riacquistare il calore di un tempo, nei suoi ricordi. Questa sala le era estranea, come se non vi fosse mai stata, come se non l’avesse mai attraversata al braccio del suo amato Leto. Come se non avesse mai affrontato Duncan Idaho ubriaco, mai, mai, mai…
Dovrebbe esistere una parola chiave direttamente opposta all’adab, la memoria ossessiva, pensò. Una parola per i ricordi che si rinnegano.
«Dov’è Alia?» domandò.
«Fuori» rispose Paul. «Intenta a quello che ogni bravo bambino Fremen dovrebbe fare in questi momenti. Sta uccidendo ogni nemico ferito, marcando i corpi per le squadre di recupero dell’acqua.»
«Paul!»
«Fa questo per bontà, non capisci? Perché mai ci è così difficile afferrare questa unione nascosta tra bontà e crudeltà?»
Jessica fissò duramente suo figlio, sconvolta dal profondo cambiamento che sentiva in lui. È la morte di suo figlio che ha fatto questo? si chiese. E disse: «Gli uomini raccontano storie su di te. Dicono che tu hai tutti i poteri della leggenda: che niente può esserti nascosto, che vedi quello che nessun altro può vedere».
«Una Bene Gesserit che mi fa domande a proposito di una leggenda?» ribatté Paul.
«Ho la mia responsabilità in quello che tu sei» ammise Jessica. «Ma non sperare che io…»
«Ti piacerebbe vivere miliardi e miliardi di vite?» chiese Paul. «Che riserva di leggende! Pensa a tutte le esperienze, a tutta la saggezza che ne può derivare. Ma la saggezza attenua l’amore, non è vero? Essa dà una nuova forma all’odio… Come puoi sapere ciò che è spietato se non hai scandagliato nel profondo la crudeltà come la bontà? Dovresti aver paura di me, Madre. Io sono lo Kwisatz Haderach.»
Jessica aveva la gola secca: «Una volta hai negato di esserlo».
Paul scosse la testa. «Non posso più negarlo, ora.» Affrontò il suo sguardo: «L’Imperatore e i suoi stanno arrivando. Tra un istante saranno annunciati. Stammi vicina. Voglio vederli con estrema chiarezza. La mia futura sposa è tra essi».
«Paul! Non commettere lo stesso errore di tuo padre!»
«È una principessa» disse Paul. «Essa mi aprirà la via al trono, e questo è tutto. Un errore? Tu credi, poiché io sono quale tu mi hai fatto, che non possa provare il desiderio di vendetta?»
«Anche sugli innocenti?» domandò Jessica. E pensò: Non deve commettere i miei stessi sbagli.
«Non ci sono più innocenti» dichiarò Paul.
«Dillo a Chani» rispose Jessica, e indicò il corridoio che si apriva sul fondo della sala.
Chani entrò nella Grande Sala, attraversò lo schieramento dei Fremen come se non li vedesse. Aveva gettato il cappuccio sulla schiena e si era sfilata la maschera della tuta. Avanzò fragile, incerta, e si fermò accanto a Jessica.
Paul vide le lagrime sulle sue guance. Dà acqua ai morti, pensò. Sentì una fitta di dolore, come se soltanto la presenza di Chani l’avesse risvegliato.
«È morto, mio amato» disse Chani. «Nostro figlio è morto.»
Paul si alzò. Mantenne un controllo assoluto su se stesso. Tese una mano, accarezzò la guancia di Chani, l’umidità sulla sua pelle. «Nulla potrà sostituirlo» disse. «Ma vi saranno altri figli. Usul te lo promette.» Gentilmente, l’allontanò, poi fece un segno a Stilgar.