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«Muad’Dib» disse Stilgar.

«L’Imperatore e la sua gente stanno arrivando dalla nave. Io resterò qui. Riunisci tutti i prigionieri al centro della sala, a una distanza di dieci metri da me, a meno che io non ordini altrimenti.»

«Ai tuoi ordini, Muad’Dib.»

Mentre Stilgar si voltava per obbedire, Paul udì i mormorii sbalorditi tra i Fremen: «Avete visto? Lo sapeva! Nessuno glielo ha detto, ma lo sapeva!»

Ora, infatti, si udivano chiaramente i Sardaukar dell’Imperatore avvicinarsi cantando a bocca chiusa una marcia, per tenere alti gli spiriti. Poi vi fu un mormorio di voci all’entrata e Gurney Halleck passò tra le guardie, attraversò la Sala per conferire con Stilgar, e infine si avvicinò a Paul, con uno strano sguardo negli occhi.

Perderò anche Gurney, così? si chiese Paul. Lo perderò come ho perduto Stilgar?… Perderò un amico in cambio di un adoratore?

«Non hanno armi a proiettile» disse Gurney. «L’ho controllato io stesso.» Si guardò intorno nella sala, osservando i preparativi ordinati da Paul. «Feyd-Rautha Harkonnen è con loro. Devo isolarlo?»

«Lascialo.»

«Ci sono anche alcuni uomini della Gilda che chiedono privilegi speciali e minacciano un embargo contro Arrakis. Ho detto che ti avrei trasmesso il messaggio.»

«Che minaccino, dunque.»

«Paul!» Jessica lanciò un’esclamazione soffocata. «Stai parlando della Gilda!»

«Tra poco strapperò loro gli artigli» disse Paul.

E pensò allora alla Gilda, a questa potenza che si era specializzata da così lungo tempo, fino a diventare un parassita incapace di esistere indipendentemente da questa vita di cui si nutriva. Non avevano mai osato impugnare la spada… e non l’avrebbero impugnata mai più. I navigatori della Gilda dipendevano esclusivamente dagli speciali poteri del melange. Quando la Gilda si era accorta dell’errore insito in questa specializzazione, avrebbe dovuto impadronirsi di Arrakis. Avrebbe potuto farlo, vivere i suoi giorni di gloria e morire. Invece, aveva deciso di vivere alla giornata, sperando che l’infinito oceano del cosmo da lei percorso avrebbe prodotto un nuovo ospite non appena il vecchio fosse morto.

I navigatori della Gilda, con la loro limitata prescienza, avevano compiuto una scelta fatale: si erano impegnati nel cammino più facile, limpido, chiaro, che conduce sempre alla stagnazione.

Che guardino pure da vicino il nuovo ospite, pensò Paul.

«C’è anche una Reverenda Madre del Bene Gesserit che dice di essere un’amica di tua madre» aggiunse Gurney.

«Mia madre non ha amiche tra le Bene Gesserit.»

Ancora una volta Gurney esaminò la Grande Sala, poi si piegò e bisbigliò all’orecchio di Pauclass="underline" «Thufir Hawat è con loro, mio Signore. Non ho avuto la possibilità di vederlo da solo, ma mi ha spiegato coi nostri vecchi segnali in codice che ha lavorato per gli Harkonnen credendo che tu fossi morto. Dice che deve restare con loro».

«Tu hai lasciato Thufir con quei…»

«È lui che l’ha voluto, e ho pensato che fosse meglio così. Se… se qualcosa non andasse per il suo verso, possiamo controllarlo. E se non fosse così, è sempre meglio avere un orecchio dall’altra parte.»

Paul si ricordò allora di alcuni brevi lampi di prescienza su questo preciso istante, e di una linea tempo in cui Thufir Hawat aveva un ago avvelenato che l’Imperatore gli aveva ordinato di usare su «quel Duca ribelle».

Le guardie all’ingresso principale scattarono formando un breve corridoio di lance. Si udì un fruscio confuso di vesti; la sabbia portata dal vento all’interno della Residenza scricchiolò sotto numerosi piedi.

L’Imperatore Padiscià Shaddam IV comparve alla testa della sua gente. Non aveva più l’elmetto Burseg, e i suoi capelli rossi erano scompigliati. La manica sinistra della sua uniforme era strappata lungo tutta la cucitura interna. Era senza cintura e senz’armi, ma con la sua sola personalità sembrava creare uno scudo intorno a sé.

Una lancia Fremen si abbassò davanti a lui, arrestandolo alla distanza indicata da Paul. Gli altri si accalcarono alle sue spalle, una mescolanza di volti confusi e di stoffe multicolori.

Paul alzò gli occhi sul gruppo. Vide alcune donne che cercavano di dissimulare le lagrime e i lacché, venuti su Arrakis a godersi da un posto di prima fila la nuova vittoria dei Sardaukar, muti per la sconfitta. Vide gli occhi da uccello, scintillanti, della Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam che lo fissavano con odio da sotto il cappuccio nero, e accanto a lei, sottile e furtivo, Feyd-Rautha Harkonnen.

Ecco un volto che il tempo mi ha rivelato, pensò.

Poi, dietro Feyd-Rautha, il suo sguardo fu attirato da un movimento, e vide un volto sottile, da donnola, che non aveva mai incontrato prima, non nel tempo e neppure fuori di esso. Tuttavia, sentì che avrebbe dovuto conoscerlo, e questa sensazione lo fece rabbrividire di paura.

Perché dovrei temere quell’uomo?

Si curvò verso sua madre e le bisbigliò: «Quell’uomo alla sinistra della Reverenda Madre, quello dallo sguardo cattivo… chi è?»

Jessica guardò, riconoscendo un viso del dossier del suo Duca. «Il Conte Fenring» disse. «Colui che ci ha preceduti su Arrakis. Un eunuco genetico… un Assassino.»

Il commesso viaggiatore dell’Impero, pensò Paul, e provò come uno choc nel più profondo della sua coscienza, perché aveva visto l’Imperatore un numero incalcolabile di volte nei suoi possibili futuri, ma non aveva mai incontrato il Conte Fenring.

Paul si ricordò allora di aver visto il proprio cadavere in una quantità incalcolabile di nodi temporali, ma di non avere assistito neppure una volta alla propria morte.

Quest’uomo mi è sempre stato nascosto perché è colui che mi ucciderà? si chiese Paul.

Provò una fitta di apprensione. Distolse allora l’attenzione da Fenring, osservando i Sardaukar, i loro volti amari e disperati. Paul colse qua e là, fra di essi, uno sguardo vigile e attento. Gli ufficiali esaminavano la sala, vagliando le sue difese, e ancora complottavano e facevano piani nel tentativo disperato di trasformare la sconfitta in vittoria.

Infine, l’attenzione di Paul fu attratta da una donna alta e bionda, dagli occhi verdi, una bellezza nobile e altera. Il suo viso, dal classico profilo, non aveva alcuna traccia di lagrime. Paul la riconobbe all’istante: la Principessa Reale Bene Gesserit, un volto che gli era apparso infinite volte nelle sue visioni attraverso il tempo: Irulan.

La chiave del trono, pensò.

Poi, colse un altro movimento tra la folla imperiale, un volto, una figura ne emersero: Thufir Hawat, le antiche sembianze solcate da cicatrici, le labbra scure e macchiate, le spalle curve, il corpo fragile per l’età.

«È Thufir Hawat» disse Paul. «Lascialo venire avanti, Gurney.»

«Mio Signore!» esclamò Gurney.

«Lascialo venire avanti» ripeté Paul.

Gurney annuì.

Hawat avanzò esitando. Una lancia Fremen si alzò e ricadde dietro di lui. I suoi occhi acquosi scrutarono Paul, vagliando, esplorando.

Paul fece un passo avanti, e avvertì la tensione, l’attesa dell’Imperatore e dei suoi.

Lo sguardo di Hawat passò oltre Paul, e il vecchio disse: «Lady Jessica, ho appreso solo oggi come vi abbia mal giudicata. Non merito perdono».

Paul attese, ma sua madre restò silenziosa.

«Thufir, vecchio amico» disse Paul. «Come puoi vedere, la mia schiena non è rivolta a nessuna porta.»

«L’universo è pieno di porte» fece Hawat.

«Sono figlio di mio padre?» chiese Paul.

«Più simile a tuo nonno» replicò Hawat con voce rauca. «Hai il suo sguardo e il suo modo di fare.»

«E tuttavia, sono figlio di mio padre» disse Paul. «Perché io ti dico, Thufir, che per ripagare i tuoi anni al servizio della mia famiglia tu, ora, puoi chiedermi qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa, Thufir. È la mia vita che vuoi? È tua.»