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Paul liberò la mano sinistra: il suo gesto fu reso più facile dal sangue che continuava a gocciolare dalla ferita. Poi vibrò un violento colpo sotto la mascella di Feyd-Rautha: la punta del cryss si aprì un cammino fino al cervello. Feyd-Rautha sussultò e si afflosciò al suolo, trattenuto ancora sul fianco dall’ago piantato a terra.

Respirando a fondo per ritrovare la calma, Paul scivolò su un lato e si raddrizzò. Restò in piedi accanto al corpo, impugnando ancora il coltello, e alzò gli occhi con deliberata lentezza verso l’Imperatore.

«Maestà» disse Paul. «Le vostre forze si sono ridotte di un’altra unità. La smetteremo adesso di tergiversare? Discuteremo di ciò che va fatto? Parleremo del mio matrimonio con vostra figlia e del trono che spetta agli Atreides?

L’Imperatore si voltò e fissò il Conte Fenring. Il Conte incontrò il suo sguardo: un lampo, tra i suoi occhi grigi e gli occhi verdi dell’altro. Ogni parola era inutile, si conoscevano da tanto tempo che gli occhi parlavano per loro.

Uccidilo per me, diceva l’Imperatore. Questo Atreides è giovane e forte, sì… ma è anche stanco, e non riuscirebbe comunque a tenerti testa. Sfidalo… tu sai come. Uccidilo.

Lentamente Fenring scosse la testa. I suoi occhi fissarono Paul.

«Presto!» ruggì l’Imperatore.

Il Conte fissò Paul, come Lady Margot gli aveva insegnato, nella Via Bene Gesserit, consapevole del mistero e della grandezza nascosti in questo giovane Atreides.

Potrei ucciderlo, pensò Fenring, e sapeva che questo era vero.

Qualcosa nelle segrete profondità della sua mente trattenne il Conte. Ebbe una visione rapida e inadeguata della sua superiorità su Paul, per mezzo del lato segreto della sua persona, delle sue motivazioni furtive al punto che nessuno le poteva penetrare.

E Paul, grazie al nodo ribollente del tempo, riuscì in parte a capirlo, e finalmente si spiegò perché non avesse mai visto Fenring nella trama degli infiniti futuri rivelati dalla sua prescienza. Fenring era uno di Coloro che Sarebbero Potuti Essere, uno Kwisatz Haderach potenziale che un’unica, impercettibile macchia nello schema genetico aveva respinto; un eunuco dai talenti furtivi, segreti. Provò allora una profonda compassione per il Conte Fenring, il primo, vero sentimento di fraternità che avesse mai conosciuto.

Fenring si accorse della sua emozione, la capì e disse: «Maestà, mi rifiuto».

Il furore travolse Shaddam IV. Si fece largo tra il suo seguito e calò un manrovescio sul viso di Fenring.

Fenring diventò paonazzo. Alzò gli occhi, fissò l’Imperatore e disse, con calma deliberata: «Siamo stati amici, Maestà. Quello che io faccio, ora, voi lo dovete soltanto alla nostra amicizia. Dimenticherò il vostro gesto».

Paul si schiarì la gola: «Stavamo parlando del trono, Maestà».

L’Imperatore si girò di scatto, lo sguardo fiammeggiante d’odio: «Io sono sul trono!» abbaiò.

«Voi ne avrete un altro su Salusa Secundus» disse Paul.

«Ho deposto le armi e sono venuto qui sulla tua parola d’onore!» gridò l’Imperatore. «Tu osi minacciarmi…»

«Voi siete al sicuro in mia presenza» dichiarò Paul. «Un Atreides l’ha garantito. Muad’Dib, tuttavia, vi condanna al vostro pianeta prigione. Ma non abbiate timore, Maestà: userò tutti i poteri di cui dispongo perché il vostro mondo sia meno rude. Lo trasformerò in un pianeta giardino pieno di cose belle.»

L’Imperatore colse il significato nascosto delle parole di Paul, e replicò con voce stridula: «Ora capisco i tuoi veri motivi».

«Proprio così» confermò Paul.

«E Arrakis?» chiese l’Imperatore. «Un altro pianeta giardino pieno di cose belle?»

«I Fremen hanno la parola di Muad’Dib» disse Paul. «Sotto il cielo di questo mondo l’acqua scorrerà liberamente, e vi saranno oasi verdeggianti piene di delizie. Ma dobbiamo pensare anche alla spezia. Così vi sarà sempre il deserto su Arrakis… e venti selvaggi, e prove per indurire l’uomo. Noi Fremen abbiamo un detto: Dio creò Arrakis per temprare il fedele. Non si può andare contro la parola di Dio.»

La Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam aveva colto il significato nascosto nelle parole di Paul. Aveva intravisto il jihad, e disse: «Non puoi scatenare questa gente sull’universo!»

«Rimpiangerete i modi gentili dei Sardaukar!» ribatté Paul.

«Non puoi…»

«Tu sei una Veridica» disse Paul. «Valuta dunque le tue parole.» Fissò la Principessa Reale, e poi l’Imperatore. «Meglio sbrigarsi, Maestà.»

L’Imperatore, impietrito, guardò sua figlia. Lei gli accarezzò il braccio e lo ammansi: «Sono stata educata per questo, Padre.»

Lui respirò profondamente.

«Non potete impedirlo» mormorò la Reverenda Madre.

L’Imperatore si raddrizzò, ritrovando una parvenza di dignità: «Chi negozierà per te, Congiunto?»

Paul si voltò, vide sua madre, gli occhi quasi completamente chiusi per la stanchezza, accanto a Chani, tra i Fedaykin. Si avvicinò e si fermò davanti a Chani.

«So le tue ragioni» disse Chani. «Se dev’essere così… Usul.»

Paul, nell’udire le lagrime nascoste nella sua voce, le sfiorò la guancia. «La mia Sihaya non avrà nulla da temere, mai» bisbigliò. Lasciò ricadere il braccio e guardò la madre: «Negozierai per me, Madre, con Chani al tuo fianco. Lei è saggia e ha occhi acuti. E si dice, giustamente, che nessuno sia più duro, in affari, di un Fremen. Lei guarderà attraverso gli occhi del suo amore per me, pensando alle necessità dei figli che verranno. Ascoltala».

Jessica, indovinando il freddo calcolo che si nascondeva dietro le parole del figlio, rabbrividì. «Quali sono le tue istruzioni?» domandò.

«Esigo, in dote, la totalità degli interessi dell’Imperatore nella CHOAM.»

«La totalità?» Jessica rimase senza parole.

«Dev’essere interamente spogliato. Voglio una contea e un direttorato nella CHOAM per Gurney Halleck, e, sempre per lui, il feudo di Caladan. Vi dovranno esser titoli e poteri per tutti i sopravvissuti fra gli Atreides, fino al più umile dei soldati.»

«E per i Fremen?» domandò Jessica.

«I Fremen sono affar mio» dichiarò Paul. «Quello che riceveranno, sarà dato da Muad’Dib. E, per prima cosa, Stilgar sarà Governatore di Arrakis. Ma per questo c’è tempo.»

«E per me?» chiese Jessica.

«C’è qualcosa che tu desideri?»

«Forse Caladan» disse lei, guardando Gurney. «Ma non ne sono sicura. Io sono diventata troppo simile ai Fremen… Sono una Reverenda Madre. Ho bisogno di un periodo di pace e tranquillità, per riflettere.»

«Questo l’avrai» replicò Paul. «E qualsiasi altra cosa che Gurney ed io possiamo darti.»

Jessica annuì, e all’improvviso si sentì vecchia e stanca. Guardò Chani: «E per la concubina reale?»

«Nessun titolo per me» disse Chani. «Niente. Ti supplico.»

Paul incontrò il suo sguardo, e la rivide all’improvviso col piccolo Leto tra le braccia: il figlio che aveva incontrato la morte in tutta questa violenza. «Ti giuro» bisbigliò, «che non avrai bisogno di alcun titolo. Quella donna laggiù sarà mia moglie, e tu soltanto una concubina, poiché questo è un affare politico, e noi dobbiamo concludere la pace e allearci alle Grandi Case del Landsraad. Le formalità vanno rispettate. Tuttavia, quella principessa avrà da me solo il nome. Nessun figlio, nessuna carezza, uno sguardo, un solo istante di desiderio.»

«Così tu dici adesso» mormorò Chani, e guardò la bionda principessa sull’altro lato della sala.

«Conosci così poco mio figlio?» bisbigliò Jessica. «Guarda quella principessa, laggiù, così altera e sicura di sé. Dicono che nutra velleità letterarie. Speriamo che esse possano riempire la sua esistenza, perché avrà ben poco altrimenti.» Un’amara risata le sfuggì. «Pensaci, Chani: quella principessa avrà il nome, e tuttavia sarà meno di una concubina… non avrà mai un momento di tenerezza dall’uomo cui sarà unita. Mentre noi, Chani, noi che portiamo il nome di concubine… la storia ci chiamerà spose.»