Ora si passò alle piante fornite di radici più lunghe. Prima di tutto le effimere (chenopodi, erba porco, amaranti), poi «scope» (equiseti), lupino, eucalipto (della varietà adattata alle regioni nordiche di Caladan), tamerici nani, pini marittimi; e poi le vere piante del deserto: «candelabri», saguaro e cactus. E dov’erano in grado di crescere, introdussero salvia, cipolla, erba piuma del Gobi, alfalfa, «bush», verbena della sabbia, primula, incenso, creosoto…
Poi rivolsero la loro attenzione all’indispensabile vita animale… creature che scavassero il sottosuolo, per aerarlo e renderlo soffice: volpe nana, topo canguro, lepre del deserto, terrapino delle sabbie… e predatori, per controllarne la proliferazione: falco, gufo nano, aquila del deserto; e insetti, per riempire le nicchie ecologiche che questi non potevano raggiungere: scorpioni, centopiedi, ragni, vespe… e pipistrelli che a loro volta li sorvegliassero.
Infine, la prova cruciale: la palma da datteri, il cotone, i meloni, il caffè, le piante medicinali: più di duecento tipi di piante commestibili da sperimentare e adattare.
«Quello che non capisce chi ignora l’ecologia» disse Kynes, «è che si tratta di un sistema. Un sistema! E un sistema ha una certa stabilità fluida che può essere distrutta dal più piccolo passo falso in una singola nicchia. Un sistema dev’essere ordinato, armonizzato da un estremo all’altro. Se qualcosa sbarra il suo corso, l’ordine crolla. Una persona non addestrata può non rendersi conto di un simile collasso finché non è troppo tardi. È per questo che la funzione più importante dell’ecologia è soprattutto capire le conseguenze.»
Erano forse riusciti a edificare un sistema?
Kynes e i suoi aspettavano e osservavano. I Fremen avevano capito perché Kynes avesse previsto cinquecento anni di pazienza.
Un primo rapporto arrivò dai palmeti.
Dove le piantagioni incontrano il deserto, il plancton della sabbia è avvelenato dall’azione combinata delle nuove forme di vita. Incompatibilità proteica. Si sta formando un’acqua velenosa che la vita di Arrakis non accetta. Una zona desolata circonda le piantagioni, e neppure gli shai-hulud vi si avventurano.
Kynes visitò personalmente le piantagioni: un viaggio di venti martellatori (in palanchino, come un ferito o una Reverenda Madre, perché Kynes non era un cavaliere delle sabbie). Esplorò la zona desolata (la cui puzza s’innalzava al cielo) e ne ritornò con un altro dono per Arrakis.
L’aggiunta di zolfo e azoto avrebbe potuto convenire la zona in un terreno particolarmente favorevole alle forme di vita terrestri. Le piantagioni, in tal modo, potevano avanzare a volontà!
«Questo abbrevierà l’attesa?» domandarono i Fremen.
Kynes ritornò alle sue formule planetari. I risultati delle trappole a vento erano già abbastanza sicuri. Si era concesso abbondanti margini di tempo, sapendo che era impossibile delimitare esattamente i problemi ecologici. Una certa quantità di piante doveva essere riservata all’ancoraggio delle dune, un’altra all’alimentazione degli uomini e degli animali, un’altra, infine, doveva imprigionare l’umidità nelle sue radici e indirizzare l’acqua nelle zone asciutte circostanti. A quell’epoca, le zone fredde del bled erano già state circoscritte e riportate sulle carte. Esse entravano ugualmente nelle formule. Perfino gli shai-hulud avevano il loro posto sui grafici. Essi non dovevano assolutamente essere distrutti, perché sarebbe venuta a mancare la ricchezza della spezia. Ma la gigantesca «fabbrica» che era il loro apparato digestivo (con la sua enorme concentrazione di aldeidi e di acidi) era una colossale fonte di ossigeno. Un venne di media grandezza (lungo circa 200 metri) scaricava nell’atmosfera una quantità di ossigeno pari a quella di dieci chilometri quadri di vegetazione.
Bisognava considerare il problema rappresentato dalla Gilda. Già la quantità di spezia offerta perché nessun satellite meteorologico (o qualsiasi altra forma di osservatorio) comparisse nel cielo di Arrakis aveva raggiunto proporzioni enormi.
Né si potevano ignorare i Fremen. I Fremen, con le loro trappole a vento e i loro terreni delimitati irregolarmente. I Fremen, con la loro cultura ecologica di fresca data e il loro sogno di trasformare vaste zone di Arrakis prima in praterie e poi in foreste.
Dai grafici emerse un risultato. Kynes lo rese noto. Il tre per cento. Se fossero riusciti a ottenere che il tre per cento delle piante verdi di Arrakis contribuisse alla formazione dei composti di carbonio, avrebbero realizzato un ciclo autosufticiente.
«Ma in quanto tempo?» domandarono i Fremen.
«Oh… Trecento e cinquant’anni» disse Kynes.
Così, era vero quello che Kynes l’Umma aveva detto all’inizio: nessuno di coloro che erano in vita, allora, e neppure i loro nipoti per otto generazioni, l’avrebbero visto. Ma sarebbe accaduto, un giorno.
Il lavoro continuò: costruire, piantare, scavare, addestrare i bambini.
E poi, Kynes l’Umma morì nel crollo del Bacino Plastico.
A quell’epoca suo figlio, Liet-Kynes, aveva diciannove anni: un vero Fremen e cavaliere delle sabbie, che aveva ucciso più di cento Harkonnen. Il contratto imperiale, che il vecchio aveva chiesto per suo figlio, gli fu trasmesso normalmente. La rigida strutture che regolava il faufreluches funzionava perfettamente anche su Arrakis. Il figlio era stato addestrato alla scuola del padre.
Da quel momento la via era ormai segnata e gli ecologi Fremen dovevano soltanto seguirla. A Liet-Kynes era sufficiente osservarli e non perdere di vista gli Harkonnen… Fino al giorno in cui il pianeta dovette subire un Eroe.
Appendice 2
La religione di Dune
Prima dell’arrivo di Muad’Dib, i Fremen di Arrakis praticavano una religione le cui radici, come ogni studioso può chiaramente vedere, affondavano nel Saari Maomettano. Molti hanno fatto notare, però, la varietà di elementi presi a prestito anche da altre religioni. L’esempio più noto è l’Inno dell’Acqua, copiato direttamente dal Manuale Liturgico Cattolico Orangista: l’invocazione della pioggia che non si è mai vista su Arrakis. Inoltre vi sono profondi punti di contatto fra il Kitab al-Ibar dei Fremen e gli insegnamenti della Bibbia, dell’Ilm e del Fiqh.
Qualsiasi confronto fra le credenze religiose dominanti nell’Impero al tempo di Muad’Dib deve tenere presenti le grandi forze spirituali che hanno plasmato tali credenze:
1. I seguaci dei Quattordici Saggi, il cui libro sacro era la Bibbia Cattolica Orangista e le cui convinzioni sono espresse nei Commentali e negli altri libri prodotti dalla Commissione dei Traduttori Ecumenici (C.T.E.).
2. Le Bene Gesserit, le quali privatamente negavano di essere un ordine religioso, ma che operavano dietro uno schermo quasi impenetrabile di misticismo rituale, e il cui addestramento, simbolismo, organizzazione, e i cui metodi d’insegnamento interni erano quasi completamente religiosi.
3. La classe dominante, agnostica (compresa la Gilda), per la quale la religione era soltanto una forma di spettacolo per divertire il popolo e mantenerlo docile. Essa credeva essenzialmente che tutti i fenomeni, perfino quelli religiosi, potessero essere ridotti a spiegazioni meccanicistiche.
4. I cosiddetti Antichi Insegnamenti (compresi quelli conservati dai nomadi Zensunni e presi dal primo, secondo e terzo Movimento Islamico); il Navacristianesimo di Chusuk, le Varianti Buddislamiche dei tipi dominanti su Lankiveil e Sikum, le Miscellanee dei Mahayana Lankavatara, lo Zen Hekiganshu di Delta Pavoins III, gli Zabur Tawrah e Talmudico che sopravvivevano su Salusa Secundus, il penetrante Rituale Obeah, il Muadh Quran con i suoi Ilm e Fiqh preservatisi puri fra i coltivatori di riso pundi di Caladan, le sette Hindu che si trovano un po’ dappertutto nell’universo in piccole collettività di pyon isolati, e infine il Jihad Butleriano.