Sotto il suo sguardo, lei si girò, rivelando il profilo. Non c’era nessun particolare che s’imponesse sugli altri, nella sua bellezza. Il suo viso era ovale sotto una folta chioma di capelli color del bronzo. I suoi occhi erano verdi e limpidi come il cielo di Caladan al mattino, e distanti. Il naso era piccolo, la bocca grande e generosa. Il suo corpo era aggraziato ma discreto: era alta e sottile.
Le Sorelle della Scuola, si ricordò, la chiamavano «pelle e ossa»; così gli avevano detto i suoi inviati. Ma era una descrizione fin troppo riduttiva. Jessica aveva portato agli Atreides una bellezza regale. Si sentiva lieta che Paul ne avesse beneficiato.
«Dov’è Paul?» chiese il Duca.
«In qualche parte di questa casa: a lezione da Yueh.»
«È certamente nell’ala sud. Mi è parso infatti di udire la voce di Yueh, ma non ho avuto il tempo di guardare» la fissò, esitando. «Sono venuto qui soltanto per appendere la chiave di Castel Caladan in questa sala.»
Lei trattenne il respiro, fece per toccarlo ma non osò. Appendere la chiave… un gesto definitivo di rinuncia. Ma non era né il tempo né il luogo per cercar conforto. «Ho visto il nostro stendardo sulla casa, mentre arrivavo» disse.
Il Duca fissò il ritratto di suo padre. «Dove avresti intenzione di appenderlo?»
«Una di queste pareti.»
«No.» Una decisione netta; qualsiasi argomentazione sarebbe stata inutile, anche ricorrendo all’astuzia. Tuttavia, lei doveva pur tentare, se non altro per sentirsi confermare che ogni astuzia era inutile.
«Mio signore» cominciò, «se solo…»
«La risposta è sempre no. Ti concedo, vergognosamente, quasi tutto, ma non questo. Sono appena passato per la sala da pranzo, dove…»
«Mio signore! Ti prego!»
«La scelta è fra la tua digestione e la mia dignità ancestrale, mia cara» l’interruppe. «L’appenderemo nella sala da pranzo.»
Lei sospirò. «Sì, mio signore.»
«Appena possibile, tu pranzerai di nuovo nelle tue stanze, com’è tua abitudine. Mi aspetto però di vederti al tuo giusto posto nelle occasioni ufficiali.»
«Grazie, mio signore.»
«E non essere così, fredda e ufficiale! Ringraziami di non averti mai sposata, mia cara. Altrimenti sarebbe tuo preciso dovere essere presente al mio tavolo ad ogni pasto!»
Jessica annuì, impassibile.
«Hawat ha già sistemato il rivelatore di veleni sulla tavola» disse il Duca. «Ce n’è uno portatile anche nella tua stanza.»
«Avevi previsto anche questo… fastidio.»
«Mia cara, mi preoccupo anche di te. Ho ingaggiato delle domestiche: sono di qui, ma Hawat le ha controllate. Sono tutte Fremen. Andranno bene finché i nostri servi non avranno completato i loro attuali compiti.»
«Siamo certi che la gente di questo pianeta sia sicura?»
«La gente che odia gli Harkonnen. Forse poi vorrai tenerti la governante: la Shadout Mapes.»
«Shadout?» ripeté Jessica. «Un titolo Fremen?»
«Mi hanno detto che significa ’Scavatore di Pozzi’: un nome pieno d’implicazioni importanti, qui. Può darsi che non sia il tuo ideale domestico, ma Hawat ne parla assai bene, basandosi su un rapporto di Duncan. Sono convinti che desideri servire, e servire te, soprattutto.»
«Servire me?»
«I Fremen sanno che sei una Bene Gesserit» spiegò il Duca. «Circolano varie leggende su di voi.»
La Missionaria Protettiva, pensò Jessica. Non c’è pianeta che le sfugga.
«Questo forse significa che la missione di Duncan ha avuto buon esito e che i Fremen saranno nostri alleati?»
«Non c’è niente di definitivo» replicò il Duca. «Duncan crede che desiderino osservarci per un po’. Tuttavia hanno promesso di non saccheggiare i villaggi confinari durante il periodo di tregua. È un successo molto più importante di quanto non sembri. Hawat mi ha detto che i Fremen erano una profonda spina nel cuore degli Harkonnen, i quali si sono sempre ben guardati dal far sapere esattamente l’estensione delle loro scorrerie: meglio che l’Imperatore non sapesse l’inefficienza delle forze degli Harkonnen.»
«Una governante Fremen» mormorò Jessica, tornando con la mente alla Shadout Mapes. «Avrà gli occhi completamente azzurri.»
«Non lasciarti ingannare dall’aspetto di questa gente» replicò il Duca. «Sono forti e profondamente sani. Saranno perfettamente all’altezza delle nostre necessità; in tutto.»
«È un gioco pericoloso.»
«Non ricominciamo a discutere su queste cose.»
Lei si sforzò di sorridere. «Ci siamo dentro fino al collo, non c’è dubbio.» Si concentrò nell’esercizio per il rapido ritorno alla calma: due respiri profondi, il pensiero rituale. E poi: «Quando assegnerò gli appartamenti, hai qualche desiderio particolare?»
«Un giorno devi insegnarmi come fai» disse il Duca. «Quel tuo modo di respingere le preoccupazioni più gravi, pensando alle cose pratiche. Dev’essere una cosa Bene Gesserit.»
«È una cosa di noi donne» replicò Jessica.
Il Duca sorrise. «Bene; allora: voglio che accanto alla mia camera ci sia un ampio ufficio. Qui ci sarà una montagna di scartoffie, più che a Caladan. E un vestibolo per le guardie, naturalmente. Questo è tutto. Non preoccupatevi per la sicurezza della casa. Le guardie di Hawat l’hanno già rastrellata a fondo.»
«Ne sono convinta.»
Lui lanciò un’occhiata all’orologio. «E assicurati che tutti gli orologi siano sincronizzati sull’ora di Arrakeen. Ho incaricato un tecnico di occuparsene, sarà qui tra poco.» Le scostò una ciocca di capelli che le era caduta sulla fronte. «Ora devo ritornare all’area di sbarco. La seconda nave traghetto sarà qui a momenti.»
«Non potrebbe occuparsene Hawat, mio signore? Hai un aspetto così stanco.»
«Il buon Thufir è ancora più occupato di me. Lo sai che è infestato dagli intrighi degli Harkonnen, questo pianeta. Inoltre, devo convincere i migliori cacciatori di spezia a restare. Il passaggio del feudo lascia loro libera scelta, e non posso corrompere il planetologo che l’Imperatore e il Landsraad hanno designato come Arbitro del Cambio. È stato lui a consentire la libera scelta. Ottocento uomini perfettamente addestrati vogliono partire col traghetto della spezia, e un cargo della Gilda li aspetta in orbita.»
«Mio signore…» s’interruppe, esitando.
«Sì?»
Nessuno gl’impedirà di tentare l’impossibile, perché questo pianeta sia abitabile per noi, pensò lei. E i miei trucchi con lui non servono.
«A che ora devo prepararti la cena?» gli chiese, infine.
Non era questo che stavi per dire, pensò lui. Ah, Jessica, come vorrei che fossimo lontani da qui, noi due soli, non importa dove, il più possibile distanti da questo terribile pianeta, senza alcuna preoccupazione!
«Mangerò al campo, alla mensa ufficiali. Tornerò molto tardi. E… sì, manderò un carro blindato per Paul. Voglio che sia presente anche lui alla conferenza militare.»
Si schiarì la gola, come per dire qualcos’altro, ma poi, in silenzio, si voltò e uscì. Fuori, Jessica udì i tonfi di un altro carico che veniva rovesciato al suolo. Udì ancora una volta la sua voce, imperativa e sdegnosa, nel tono con cui parlava ai servitori quando aveva fretta: «Lady Jessica è nella Grande Sala, raggiungila subito!»
La porta esterna si chiuse con violenza.
Jessica si voltò, e fissò il ritratto del padre di Leto. L’aveva eseguito un artista famoso, Albe, quando il Vecchio Duca era un uomo di mezza età. Il quadro lo rappresentava in costume da matador, con una cappa violacea avvolta sul braccio sinistro. Il suo volto era giovane, non più vecchio di Leto oggi: lo stesso sguardo grigio, l’espressione da falco. Strinse i pugni sui fianchi e fissò il ritratto con odio.