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Ancora una volta, Mapes lanciò un’occhiata penetrante alla porta ovale, e Jessica ebbe l’impressione che quell’occhiata rivelasse, quasi, dell’odio. Ma non poté interrogarla e chiederle che cosa mai nascondesse la porta, perché Mapes era già corsa via lungo il corridoio.

Hawat ha frugato da cima a fondo questa dimora, pensò Jessica. Non ci può essere niente di terribile qua dentro.

Spinse la porta. Questa si aprì verso l’interno, rivelando una piccola stanza e un’altra porta ovale sul lato opposto, con un volante al posto della maniglia.

Una porta a chiusura stagna! si stupì Jessica. Abbassò gli occhi e vide un puntello metallico, col marchio di Hawat, sul pavimento della cella. Serviva a mantenere la porta aperta, pensò. Qualcuno l’ha fatto cadere accidentalmente, urtandolo, e la porta esterna si è chiusa sulla serratura a palmo.

Scavalcò la soglia ed entrò nella piccola stanza.

Perché una porta a tenuta stagna in questa casa? si chiese. E improvvisamente pensò a una creatura esotica sigillata là dentro in condizioni climatiche particolari.

Condizioni climatiche particolari!

Questo sembrava logico su Arrakis, dove anche la pianta straniera più secca avrebbe dovuto venire irrigata.

La porta alle sue spalle cominciò a chiudersi. La fermò, bloccandola col puntello lasciato da Hawat. Ancora una volta fronteggiò la porta interna col volante, e ora si accorse di una scritta quasi invisibile incisa sul metallo sopra la maniglia. Riconobbe parole in Galach. Lesse: «O Uomo! Ecco un’adorabile parte della Creazione di Dio: allora, guarda e impara ad amare la perfezione del tuo Amico Supremo».

Jessica afferrò il volante e premette con tutto il suo peso. Girò a sinistra e la porta interna si aprì. Una brezza leggera le sfiorò le guance e le scompigliò i capelli. L’aria era ricca e profumata. Aprì la porta del tutto e scoprì una massa di vegetazione illuminata da una luce dorata.

Un sole giallo? si chiese. No, un filtro!

Entrò, e la porta le si chiuse alle spalle.

«Una serra» bisbigliò.

Si trovò circondata da piante in vaso e da arbusti sapientemente potati. Riconobbe una mimosa, una cidonia, un sondagi, una pleniscenta dai fiori ancora in boccio, alcuni akarsi a strisce verdi e bianche… delle rose…

Perfino le rose!

Si chinò a respirare la fragranza di un enorme bocciolo, poi si raddrizzò e si guardò intorno.

Percepì una pulsazione ritmica.

Scostò una parete di foglie e guardò verso il centro della stanza. Scoprì una bassa fontana dalla conchiglia scannellata: la pulsazione era dovuta a uno zampillo che ricadeva nella vasca con un ritmo tambureggiante.

Jessica cominciò a esplorare la stanza centimetro per centimetro, dominando l’esaltazione dei sensi. La stanza era quadrata, di circa dieci metri di lato. Dalla sua posizione all’estremità del corridoio, e da piccole differenze nella sua struttura, indovinò che era stata aggiunta a quest’ala del castello molti anni dopo l’originaria costruzione.

Si fermò sul lato sud della stanza, davanti all’ampia superficie di vetro filtrante, e si guardò intorno. Ogni centimetro disponibile della stanza era gremito di piante esotiche tipiche dei climi umidi. Qualcosa frusciò tra il verde, poi Jessica, trattenendo il respiro, vide un semplice servok meccanico, con tubo e nebulizzatore. Il nebulizzatore si alzò e una lieve spruzzata di umidità le irrorò la guancia. Il braccio si ritirò e Jessica vide la pianta gratificata: una felce.

C’era acqua dovunque in quella stanza… su un pianeta dove l’acqua era il succo prezioso della vita. Tanta acqua sperperata… Restò immobile per l’emozione.

Guardò fuori in direzione del sole, giallo attraverso il filtro. Era sospeso nel cielo, sopra un orizzonte dentato di rocce a picco, su quella cresta gigantesca che chiamavano il Muro Scudo.

Un filtro, pensò, per trasformare un sole bianco in qualcosa di più dolce e familiare. Chi ha potuto concepire un simile luogo? Leto? Sarebbe degno di lui farmi la sorpresa di un simile dono, ma non ce n’è stato il tempo. E aveva problemi molto più importanti a cui pensare.

Si ricordò allora di un rapporto in cui aveva letto che molte case di Arrakeen erano sigillate, per conservare e condensare l’umidità interna. Leto aveva affermato che, come deliberata dichiarazione di ricchezza e di potere, questo edificio ignorava tali precauzioni. Porte e finestre erano chiuse solo alla polvere, onnipresente.

Ma la presenza della serra era molto più eloquente dell’assenza di sigilli sulle porte esterne. Jessica calcolò che la serra conteneva abbastanza acqua per sostentare mille persone su Arrakis, forse più.

Jessica si spostò lungo la parete di vetro, continuando a esplorare la stanza. Una superficie metallica comparve accanto alla fontana, all’altezza di un tavolo, e sopra di essa un taccuino e uno stilo, parzialmente nascosti da un’ampia foglia che vi pendeva sopra. Si avvicinò, vide i segni del passaggio di Hawat e lesse il messaggio scritto sul foglio:

«A Lady Jessica,

Possa questo luogo darvi tanto piacere quanto ne ha procurato a me. Permettete che questa stanza vi ricordi una lezione che abbiamo imparato dagli stessi maestri: la vicinanza di un oggetto desiderato è una tentazione ad abusarne. Là ci aspetta il pericolo.

Con i miei migliori auguri,

Margot Lady Fenring»

Jessica annuì. Leto, appunto, si era riferito al precedente inviato dell’Imperatore su Arrakis come al Conte Fenring. Ma il messaggio contenuto in quelle parole richiedeva tutta la sua attenzione: le parole erano state vergate in modo da far capire che erano state scritte da un’altra Bene Gesserit. Un pensiero amaro la sfiorò per un istante: Il Conte ha sposato la sua Lady…

E, contemporaneamente, Jessica si piegò sulla superficie metallica, cercando l’altro messaggio, quello nascosto. Doveva essercene uno. Il messaggio visibile conteneva una frase che ogni Bene Gesserit (a meno che non fosse inibita da un’Ingiunzione della Scuola) era tenuta a trasmettere a un’altra Bene Gesserit quando la situazione l’avesse richiesto: «Là ci aspetta il pericolo».

Jessica sfiorò la superficie del taccuino, cercando perforazioni in codice. Niente. Ispezionò l’orlo delle pagine con le dita. Niente ancora. Passò le mani sul lato inferiore, poi rimise il blocco dove l’aveva trovato. Provò una sensazione di urgenza…

Qualcosa nella posizione? si chiese.

Ma Hawat aveva perquisito la serra, e senza dubbio aveva spostato il taccuino. Guardò la foglia sopra le pagine. La foglia! Strofinò le dita sulla superficie vellutata, lungo l’orlo, il picciolo… Era lì! Le sue dita sfiorarono i sottili punti in codice e il messaggio fu subito chiaro.

«Tuo figlio e il Duca corrono un pericolo immediato. Una stanza da letto è stata disegnata in modo da attirarvi tuo figlio. Gli H l’hanno caricata di trappole mortali, in modo che siano tutte scoperte eccetto una sola, nascosta bene.» Jessica lottò contro il desiderio improvviso di precipitarsi da Pauclass="underline" doveva leggere fino in fondo. Le sue dita scivolarono sui punti ancora più rapide. «Non conosco l’esatta natura del pericolo, ma esso ha a che fare con un letto. La minaccia per il Duca è il tradimento di un amico fedele o di un luogotenente. Il piano degli H prevede di offrirti in dono a uno dei loro sicari. Posso garantirti che questo orto botanico è sicuro, al limite delle mie conoscenze. Scusami se non posso dirti di più: le mie fonti d’informazione sono scarse, poiché il mio Conte non è al soldo degli H. In fretta, M.F.»