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Precario: dal latino, «pieno di preghiere».

Martirio: dalla parola greca che significa testimonianza. Il martirio nasconde nella sua definizione un costume antico: quello del processo mediante ordalia. Se morivi, eri innocente: «grato agli dèi»; ma se invece superavi l’ordalia, allora, chiaramente, doveva averti aiutato il diavolo, e perciò venivi ucciso subito.

Autentico: dal greco, «una persona che agisce per se stessa» e che quindi compie il lavoro bene. «Se vuoi che un lavoro sia fatto bene, fallo da te.»

La lettura del dizionario è affascinante, non vi pare?

Questi sono alcuni consigli su come costruire un mondo. Ma ce ne sono altri.

Per prima cosa, le esperienze della vostra vita. Vi ho parlato di Florence e dell’articolo che mi consentiva di mettere insieme pane e companatico. Inoltre, tenete presente che ho abitato per vario tempo nel deserto di Sonora, in Messico… potrei chiacchierarne per ore.

A questo, si aggiunga che ho letto più di 200 libri, articoli, rapporti e saggi scientifici sull’ecosistema delle regioni desertiche, sulle comunità che le abitano, sugli adattamenti degli animali e degli uomini a deserti di ogni tipo, dal Gobi al Sonora, dal Sahara al Kalahari. Vi meravigliereste sapendo quanto materiale potete trovare, su argomenti come questo, in una qualsiasi biblioteca. Materiale che va da quanti chilometri può percorrere un soldato nel deserto, e con quale provvista d’acqua, al modo di tenere lontani i rettili velenosi. Inoltre, spigolature come questa: quando la sopravvivenza è in pericolo, la fertilità dei pini aumenta. Normalmente, i pini danno semi vitali soltanto un anno ogni nove, ma, quando sono minacciati dalle dune, ne danno tutti gli anni.

Questa caratteristica si può riscontrare anche tra gli uomini. L’istinto sessuale aumenta sotto la pressione del pericolo, anche se il pericolo è quello della fame: un fatto, questo, che nasconde implicazioni terribili, se pensate a come sono già impoverite le risorse alimentari.

Vi avevo avvertito: non sarebbe stato un discorso lineare. Ha divagato come hanno divagato le mie ricerche per la preparazione di Dune. Ma ho preferito dargli questa forma, sperando di potervi mostrare come si passi lentamente da un’idea a una storia completa, pronta a spiccare il volo. Come le incrostazioni dei conchiferi sotto le navi: la raccolta di migliaia di piccolissimi esseri. Molti particolari che portano un contributo alla narrazione senza apparirvi direttamente. Sono come le tracce culturali che incontriamo nelle parole della nostra lingua. Ma questi particolari esistono comunque: se non nelle foglie, nelle radici. Il loro contributo si manifesta nelle reazioni dei personaggi. In un certo senso, la loro funzione è identica a quella dei geni e dei cromosomi: contribuire dall’interno a dare forma al prodotto compiuto.

E il prodotto compiuto, naturalmente, sono un romanzo e un mondo.

FRANK HERBERT

PARTE PRIMA

Il pianeta delle dune

All’inizio, è indispensabile porre ogni cura nello stabilire i più esatti equilibri. Ciò è ben noto ad ogni sorella Bene Gesserit. Così, nell’intraprendere lo studio della vita di Muad’Dib, conviene per prima cosa collocarlo esattamente nel suo tempo: egli nacque nel cinquantasettesimo anno dell’imperatore Padiscià Shaddam IV. Cura ancora maggiore va usata nel collocare Muad’Dib nel suo giusto luogo: il pianeta Arrakis. Non ci si deve lasciar ingannare dal fatto che egli sia nato su Caladan e vi abbia trascorso i primi quindici anni. Arrakis, il pianeta noto come Dune, è la sua patria, per sempre.

dal «Manuale di Muad’Dib», della Principessa Irulan

Nella settimana prima della partenza per Arrakis, quando il tramenio era giunto a livelli quasi insopportabili, una donna vecchia e vizza si presentò alla madre di Paul.

Era una notte calda e soffocante a Castel Caladan, e l’antico cumulo di pietre che era la dimora degli Atreides da ventisei generazioni dava quel senso di frescura umidiccia che preannunciava un cambiamento del tempo.

La vecchia fu fatta entrare da una porta laterale e condotta giù per lo stretto corridoio fino alla camera di Paul, dove poté scorgerlo per un attimo mentre giaceva sul letto.

Una lampada schermata era sospesa vicino al pavimento. Sotto la luce fioca il ragazzo, ora sveglio, scorse il profilo di una donna corpulenta in piedi sulla soglia, accanto alla madre. L’ombra della vecchia era quella di una strega: capelli simili a un’intricata tela di ragno le incappucciavano il viso; solo gli occhi brillavano, come gioielli.

«Non è un po’ piccolo per la sua età, Jessica?» chiese la vecchia. La sua voce strideva e ronzava peggio di un baliset stonato.

La madre di Paul rispose con la sua morbida voce da contralto: «Gli Atreides cominciano a crescere tardi, Vostra Reverenza».

«Lo so, lo so» sibilò l’altra. «Ma ha già quindici anni…»

«Sì, Vostra Reverenza.»

«È sveglio e ci sta ascoltando» disse la vecchia. «È astuto, quel piccolo brigante» sogghignò. «Ma la nobiltà ha bisogno di astuzia. E se è veramente lo Kwisatz Haderach… beh…»

Fra le ombre del letto, gli occhi di Paul si restrinsero fino a due fessure, le pupille della vecchia, due ovali scintillanti come di un uccello, parvero dilatarsi e fiammeggiare mentre fissavano Paul.

«Dormi pure, piccolo brigante» mormorò. «Domani avrai bisogno di tutte le tue forze per affrontare il mio gom jabbar.»

Poi uscì, spingendo fuori la madre, e chiuse la porta con un tonfo sordo.

Paul restò sveglio, chiedendosi: Che cos’è il gom jabbar?

In tutta la confusione di quel periodo di trasloco, la vecchia era la cosa più strana che avesse mai visto.

Vostra Reverenza.

E il fatto che avesse chiamato sua madre «Jessica», come una serva, invece di quel che era: una Lady Bene Gesserit, concubina del Duca e madre del suo erede.

E se il gom jabbar fosse qualcosa di Arrakis che devo imparare prima di andare lassù? si chiese.

Sillabò le due strane frasi: Gom jabbar… Kwisatz Haderach.

C’erano tante cose da imparare. Arrakis era un posto così diverso da Caladan che la mente di Paul si smarriva al solo pensiero.

Arrakis… Dune… Il Pianeta del Deserto.

Thufir Hawat, Maestro degli Assassini di suo padre, glielo aveva spiegato: i loro mortali nemici, gli Harkonnen, erano rimasti su Arrakis per ottant’anni, governando il pianeta in quasifeudo sotto un contratto CHOAM per l’estrazione della spezia geriatrica, il melange. Ora gli Harkonnen se ne andavano per essere sostituiti dalla Casa degli Atreides in pienofeudo: una vittoria del Duca Leto. Tuttavia, aveva detto Hawat, quest’apparenza poteva nascondere pericoli mortali, poiché il Duca Leto era troppo popolare fra le Grandi Case del Landsraad.

«Un uomo troppo popolare risveglia le gelosie dei potenti» aveva detto Hawat.

Arrakis… Dune… Il Pianeta del Deserto.

Paul si addormentò e sognò una caverna su Arrakis, con gente silenziosa che lo circondava muovendosi alla fioca luce dei globi luminosi. C’era qualcosa di solenne in quel luogo, come in una cattedrale; udiva un debole suono: il drip-drip-drip dell’acqua. Anche mentre stava ancora sognando, Paul sapeva che se ne sarebbe ricordato al risveglio. Ricordava sempre i suoi sogni premonitori.

Il sogno svanì.