La porta si aprì completamente e ne uscirono alcune guardie Atreides, tutte pesantemente armate: storditori a lenta scarica, spade e scudi. Dietro di esse comparve un uomo alto, simile a un falco, pelle e capelli scuri. Indossava un jubba col blasone degli Atreides ricamato sul petto, ed era chiaramente impacciato dall’indumento insolito, che tendeva, su un lato, ad avviluppargli le gambe della tuta distillante. Procedeva rigido, senza agilità.
Accanto all’uomo, camminava un giovane con gli stessi capelli neri ma dal viso più tondo. Sembrava un po’ piccolo per la sua età (Kynes sapeva che aveva quindici anni). Ma il ragazzo aveva un portamento sicuro, una naturale predisposizione al comando, come se avesse il potere di distinguere, di riconoscere intorno a lui molte cose invisibili agli altri. Indossava un jubba simile a quello del padre, e tuttavia con tanta naturalezza da far pensare che l’avesse sempre indossato.
«Il Mahdi conoscerà cose che gli altri non sapranno vedere» diceva la profezia.
Kynes scosse la testa. Sono soltanto uomini, disse tra sé.
Insieme con i due, e anch’egli vestito per il deserto, c’era un uomo che Kynes riconobbe: Gurney Halleck. Kynes respirò profondamente per calmare il proprio risentimento nei confronti di Halleck, il quale l’aveva istruito su come comportarsi col Duca e il suo erede.
«Chiamerai il Duca ’Mio Signore’. Meglio ancora ’Nobile Nato’, ma è riservato normalmente alle occasioni più ufficiali. Il figlio può essere chiamato ’Giovane Duca’ o ’Signore’. Il Duca è uomo assai clemente, ma non concede molta familiarità.»
E Kynes pensò, mentre guardava il gruppo avvicinarsi: Impareranno presto chi è il padrone su Arrakis. Hanno ordinato a quel Mentat d’interrogarmi per una buona metà della notte? Vogliono solo che io li guidi a ispezionare qualche miniera della spezia? Sul serio?
L’importanza delle domande di Hawat non era sfuggita a Kynes. Volevano le basi imperiali. Era evidente che ne erano stati informati da Idaho.
Ordinerò a Stilgar di tagliare la testa a Idaho e d’inviarla al suo Duca! imprecò Kynes tra sé.
Erano ormai a pochi passi da lui; i loro stivali facevano crepitare la sabbia.
Kynes s’inchinò: «Mio Signore, Duca».
Mentre si avvicinavano, Leto aveva studiato la solitaria figura accanto all’ornitottero: alto, magro, rivestito dall’ampio abito del deserto sulla tuta distillante, stivali bassi. Aveva fatto scivolare il cappuccio sulle spalle e il suo velo pendeva da un lato, rivelando lunghi capelli color sabbia e una corta barba. Gli occhi imperscrutabili sotto le folte sopracciglia, azzurro su azzurro. Tracce di nero macchiavano ancora le sue palpebre.
«Voi siete l’ecologo» disse il Duca.
«Qui preferiamo il vecchio titolo, mio Signore» replicò Kynes. «Planetologo.»
«Come preferite» rispose il Duca. Si voltò verso Pauclass="underline" «Figlio mio, questo è l’Arbitro del Cambio, il giudice delle dispute, l’uomo che ha il compito di vegliare che ogni formalità sia soddisfatta per il nostro insediamento nel feudo». Fissò nuovamente Kynes. «Questo è mio figlio.»
«Signore» disse Kynes.
«Voi siete un Fremen?» chiese Paul.
Kynes sorrise: «Sono accettato sia nel sietch che nel villaggio, Giovane Duca. Ma sono al servizio di Sua Maestà; sono il Planetologo Imperiale».
Paul annuì, affascinato dal potere che sembrava irradiarsi da quell’uomo. Halleck aveva indicato Kynes a Paul da una delle finestre più alte dell’edificio amministrativo. «Quell’uomo laggiù, con la scorta di Fremen… quello che ora avanza verso l’ornitottero.»
Paul aveva studiato Kynes per qualche istante, col cannocchiale, notando la bocca diritta e sottile e la fronte alta. Halleck gli aveva bisbigliato all’orecchio: «Strano tipo. Quando parla, le sue parole sono chiare, precise, distaccate, senza alcuna nebulosità. Come tagliate col rasoio».
E il Duca alle loro spalle aveva commentato: «Il tipico scienziato».
Ora, a pochi passi dall’uomo, Paul percepiva la forza che si sprigionava da Kynes, l’urto della sua personalità. Sembrava un uomo di sangue reale, nato per comandare.
«Credo di dovervi ringraziare per le tute distillanti e i jubba» disse il Duca.
«Spero che vadano bene, mio Signore» replicò Kynes. «Sono opera dei Fremen, che hanno cercato di rispettare il più possibile le misure fornite dal vostro uomo qui presente, Halleck.»
«Avevate detto che non avreste potuto portarci nel deserto se non avessimo indossato questi abiti» insistette il Duca. «Ma noi possiamo portare molta acqua. Non intendiamo restar fuori a lungo, e comunque avremo una copertura aerea… la scorta che vedete sopra di noi in questo momento. È poco probabile che ci costringano ad atterrare.»
Kynes lo fissò. Considerò lo strato di carne, ricco d’acqua, che fasciava il corpo di quell’uomo, e disse, gelido: «Non si parla mai di probabilità, su Arrakis, ma soltanto di possibilità».
Halleck s’irrigidì. «Rivolgetevi al Duca dicendo ’Mio Signore’!»
Leto gl’indirizzò il suo gesto personale intimandogli di smetterla. «Noi siamo nuovi, qui, Gurney. Dobbiamo fare delle concessioni.»
«Come volete, Signore.»
«Vi siamo molto obbligati, dottor Kynes» continuò Leto. «Non dimenticheremo questi abiti e il vostro vivo interesse per la nostra sicurezza.»
Impulsivamente, Paul citò la Bibbia Cattolica Orangista: «’Il dono è la benedizione del donatore’».
Le parole risuonarono alte nell’aria immobile. I Fremen che Kynes aveva lasciato all’ombra dell’edificio amministrativo si riscossero e balzarono in piedi, bisbigliando eccitati. Uno di essi gridò: «Lisan al-Gaib!»
Kynes si girò di scatto e li respinse con un gesto imperativo della mano. I Fremen tornarono indietro mormorando tra loro e si accovacciarono nuovamente nell’ombra.
«Molto interessante» disse Leto.
Kynes fissò duramente il Duca e suo figlio. «Molti dei nativi del deserto sono superstiziosi» disse. «Non dovete badare a quel che dicono. Non sono pericolosi.» Ma ripensò alle parole della leggenda: «Ti daranno il benvenuto con le sacre parole e i tuoi doni saranno una benedizione».
Il giudizio di Leto su Kynes, basato in parte sul breve rapporto a voce di Hawat (guardingo e molto sospettoso) si cristallizzò all’improvviso: quest’uomo è un Fremen. Kynes era arrivato con una scorta Fremen: questo poteva significare che i Fremen stavano mettendo alla prova la loro nuova libertà di entrare nelle aree urbane, ma la scorta sembrava piuttosto una guardia d’onore. E a giudicare dai suoi modi, Kynes doveva essere un uomo orgoglioso, abituato ad agire liberamente. Il suo linguaggio e i suoi modi erano tenuti a freno soltanto dai suoi sospetti. La domanda di Paul era stata diretta e pertinente.
Kynes era diventato in tutto e per tutto un abitante del pianeta.
«Non dobbiamo partire, signore?» chiese Halleck.
Il Duca annuì. «Piloterò il mio ornitottero. Kynes può star seduto accanto a me, per guidarmi. Tu e Paul vi sistemerete sui sedili posteriori.»
«Un momento, per favore» interloquì Kynes. «Col vostro permesso, Signore, devo controllare che le tute siano in ordine.»
Il Duca fece per replicare, ma Kynes insistette: «Mi preoccupo per la mia pelle quanto per la vostra, mio Signore. So perfettamente quale gola verrebbe tagliata, se dovesse accadervi qualcosa mentre siete affidati a me».
Il Duca si accigliò, e pensò: È un momento delicato! Se rifiuto, potrei offenderlo, e il planetologo potrebbe essere un uomo d’incommensurabile valore per me. E tuttavia, permettergli di penetrare il mio scudo, di toccare la mia persona, quando io so ancora così poco di lui…