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Da quanto Ed Wonder potesse giudicare, l’attuale Moda Domestica si era diffusa in tutto il mondo simultaneamente. I dati che aveva a disposizione lo confermavano in modo inequivocabile. Forse nessun altro se ne rendeva conto, ma Ed Wonder sì.

Era cominciata sabato sera alle otto e trentacinque, ora locale. Dalla serie di dispacci d’agenzia, frammentari e confusi, Ed scoprì che la moda era esplosa un’ora più tardi nel fuso orario immediatamente a ovest, quattro ore più tardi, al secondo esatto, in Inghilterra, sei ore dopo nell’Europa Confederata. E così via, seguendo i fusi orari. Non si era diffusa secondo le norme dell’iniziativa umana. Era apparsa nello stesso istante su tutto il globo.

Alcuni giornalisti avevano cercato di dimostrare, indubbiamente in buona fede, che le cose non stavano così. Nessuno, fino a quel momento, era riuscito ad afferrare la verità così come la sospettava Ed Wonder.

Ed lesse divertito l’articolo di un giornalista che cercava di far risalire a molti mesi prima l’inizio della Moda Domestica, sostenendo che aveva a lungo covato sotto la cenere ed era sbocciata improvvisamente. Lo stesso giornalista passava poi a pontificare: la moda non sarebbe durata. Era contro la stessa natura delle donne. Era uno stile che non avrebbe esercitato a lungo il suo fascino sulle rappresentanti del gentil sesso. L’articolo rivelava poi che la Moda Domestica era già diventata una vera benedizione del cielo per i pubblicitari di Madison Avenue. L’Associazione degli industriali tessili aveva immediatamente approvato la spesa di cento milioni di dollari per una campagna pubblicitaria alla radio, alla televisione e con i proiettori celesti, che stroncasse la nuova moda sul nascere, e nuovi stanziamenti erano in corso. Si diceva che anche i fabbricanti di cosmetici si fossero riuniti in segreto per affrontare la situazione d’emergenza. Ma i giornalisti ignoravano, e lo ignoravano tutti tranne Ed Wonder, lo stesso Tubber e i suoi pochi fedeli, che alla maledizione non era stato posto nessun limite temporale. Era stata pronunciata per l’eternità. Sempre dando per scontato che la maledizione di Tubber, comunque riuscisse a renderla efficace, mantenesse indefinitamente il potere iniziale.

Ed meditò se fosse il caso di riferire a Mulligan i suoi sospetti, poi decise che era meglio soprassedere.

Se gli avesse esposto quella follia di sortilegi scagliati da un ciarlatano girovago, il Grassone avrebbe concluso che si era dedicato per troppo tempo al programma Ai limiti del reale. Gli avrebbe detto che quegli argomenti gli avevano dato alla testa e che era ora che si occupasse di problemi meno impegnativi.

Ed vagò senza meta fino al tavolo di Dolly. Come il giorno prima, la ragazza era venuta al lavoro con un vestito che sembrava aver messo per l’ultima volta quando aveva tredici anni. Era uno straccetto di cotone adatto a una scampagnata. Niente rossetto, né rimmel, né cipria. Nemmeno un paio di orecchini. Assolutamente niente.

«Allora, ti piace la nuova Moda Domestica, Dolly?» le chiese Ed.

Quasi tutto il personale maschile non aveva fatto altro che seccare le ragazze con continue domande relative al loro nuovo aspetto. Dolly era pronta a considerare Wonder come il suo tormentatore numero uno; eppure, non c’era malizia nella domanda di Ed.

«Insomma, Piccolo Ed, è una moda come le altre» rispose Dolly. «Viene, e dopo un po’ di tempo se ne va. Non è che a me piaccia o dispiaccia in modo particolare.»

Ed riprese, a bassa voce: «Senti, in questi ultimi due giorni, hai provato a farti il trucco?»

Lei corrugò la fronte, perplessa. «Veramente… sì, un paio di volte.»

«E…?»

Dolly esitò un attimo arricciando il nasetto aggressivo. «Insomma, accidenti… prudeva. Sai, come quando ti prendi una violenta scottatura al sole e la pelle comincia a venire via.»

Ed Wonder scosse la testa. «Senti, Dolly» disse poi «chiamami Buzz De Kemp, al “Times Tribune”, per favore. Cioè, sempre che lavori ancora là. Devo parlare con qualcuno.»

La ragazza gli lanciò la strana occhiata che si meritava e si diede da fare con il telefono.

Ed Wonder prese la chiamata al suo tavolo.

«Salve, Buzz. Non ero certo che lavorassi ancora lì.»

La voce all’altro capo del filo era allegra. «Non solo ancora qui, ma coccolato dalle affettuose carezze di un aumento di stipendio. Piccolo Ed, vecchio mio. Pare che una strampalata organizzazione di estrema destra abbia dato un ultimatum all’editore per alcuni miei articoli. Pretendeva il mio licenziamento immediato. Così, il Vecchio Ulcera pensa che un servizio giornalistico capace di smuovere le acque al punto da commuovere quei vecchi bufali, potrebbe sradicare dai televisori una mezza dozzina di quei citrulli dei nostri concittadini per un numero di minuti sufficiente a leggere il giornale. E così mi ha dato l’aumento.»

Ed chiuse gli occhi addolorato davanti alle stranezze della vita. «Buon per te» disse. «Ma io ho bisogno di vederti. Va bene da Dave Zeiss, fra un quarto d’ora? Offro io da bere.»

«Mi hai convinto» esclamò De Kemp al settimo cielo. «È meglio di un appuntamento romantico. E penso che tu sia affascinante, anche con quegli strani baffi.»

Ed riattaccò il ricevitore e si diresse verso l’ascensore.

Ed aveva fatto il più in fretta possibile, ma quando arrivò al bar, il giornalista aveva già due bicchieri di vantaggio. Il Saloon era praticamente vuoto. Ed scambiò le solite amenità con Dave Zeiss, ordinò un whisky allungato con seltz e propose a Buzz di ritirarsi in un angolo appartato.

Buzz lo guardò di sbieco, pur alzandosi dallo sgabello del banco per aderire alla proposta di Ed. «Le cose di cui dobbiamo discutere sono così intime che le orecchiette rosa di Dave non possono ascoltarle?»

«Sì.»

Si sedettero uno di fronte all’altro a un tavolo d’angolo, il più lontano possibile dalla televisione e dal juke-box. Ed squadrò il giornalista con aria tetra e infine disse: «Ho visto quel tuo pezzo sui cambiamenti di stile insensati.»

Buzz De Kemp tirò fuori dalla tasca della giacca un sigaro lungo venti centimetri e lo accese. «Roba fina, eh? A dire il vero…»

«Un momento» s’intromise Ed, ma l’altro ignorò l’interruzione.

«…il sistema risale ai primi anni dopo il sessanta, quando i veicoli su cuscini d’aria erano alla loro infanzia. Sai da chi ho preso l’idea per il mio servizio? Dal vecchio di cui parlavamo l’altra sera. Ha più statistiche lui sui disastri che sta combinando al Paese l’attuale sistema economico della nostra Società del Benessere che…»

«Tubber!» esclamò Ed.

«Proprio lui. Alcuni dei suoi dati sono un po’ sorpassati. Molte delle sue rilevazioni statistiche sono vecchie di una decina d’anni. Ma non per questo sono meno valide ora, anzi. L’ultima volta che l’ho sentito parlare era imbarcato in una crociata contro lo spreco di risorse indotto dalla produzione di materiale da gettare via dopo essere stato usato una sola volta. Il vecchio ce l’aveva con le bistecche e la carne in genere venduta in involucri di alluminio per la cottura immediata, con i biscotti e le torte contenute in scatole metalliche da mettere in forno. E le trappole per topi, in alluminio. Ti tolgono anche la fatica di tirare fuori il topo morto: si butta via trappola e topo insieme. E i rasoi di plastica con lama incorporata. Li si usa una volta sola, poi si gettano nella pattumiera.» Buzz scoppiò a ridere e aspirò una lunga boccata di fumo dal suo sigaro.

«Senti» disse Ed «lascia stare questa roba. Ho sentito la stessa musica la sera che sono andato al raduno con Helen. Quello che voglio sapere da te è questo: l’hai mai sentito scagliare una maledizione?»

Il giornalista lo guardò perplesso: «Fare che cosa?»

«Lanciare una maledizione. Una formula magica. Pronunciare un sortilegio contro qualcuno.»

«Ehi, che cosa credi? Il vecchio non è pazzo! È solo un visionario che vede tutto nero. Preannuncia il diluvio universale che sta per venire. Non crede di certo nelle maledizioni, e anche se ci credesse, non maledirebbe nessuno.»