La faccia di Miller era tesa e perplessa.
«Avanti, andiamo!» lo esortò il professore. «Era uno degli amici più intimi di Alessandro.»
Sia pure di malavoglia, Ed lanciò il salvagente all’ospite.
«Signori, il tempo a nostra disposizione è scaduto. Mi dispiace molto, forse avremo occasione d’incontrarci di nuovo. Grazie…»
«Il cognome era Soter» fece in tempo a gridare al telefono il professor Dee. «Quando Alessa…»
A quel punto Jerry staccò la linea telefonica.
«Grazie mille, professor Dee» si affrettò a dire Ed. «E soprattutto grazie a lei, signor Miller, per essere venuto a spiegarci la sua triplice reincarnazione. Qui radio Wan, la Voce della valle dell’Hudson, che vi parla da Kingsburg, stato di New York. Avete ascoltato Ai confini del reale, un’ora con Ed Wonder.» Poi strizzò l’occhio alla regia e disse: «E ora, un po’ di musica leggera, Jerry!»
La luce rossa si spense. Lo studio non era più collegato con la rete. Ed Wonder si sprofondò nella poltrona e si stirò con complicati movimenti delle spalle. Davanti al microfono era sempre in tensione, specie quando si trattava di programmi lunghi, nei quali gli toccava sostenere tutto il peso del dialogo.
Fu Reinhold Miller a parlare per primo. «Poco fa lei ha accennato alla possibilità che io partecipassi ancora una volta a questa trasmissione» disse. «Sarei molto lieto…»
«Sono convinto che lo sarebbe» lo interruppe Ed Wonder, sbadigliandogli deliberatamente in faccia.
L’altro lo guardò fisso. «Come sarebbe a dire?»
La borsa di Ed Wonder era appoggiata sulla superficie morbida del tavolo. Tutti i tavoli degli studi radiofonici erano imbottiti per evitare che gli ospiti inesperti facessero rumori spiacevoli tamburellando sul ripiano con le dita o con la matita. Ed tolse dalla borsa alcuni fogli di carta e un libretto di assegni. «Concludiamo» disse. «Le spettano cinquanta dollari, più le spese, giusto?»
«Questo era l’accordo, infatti.»
Ed Wonder aveva già in mano la penna. «Mi guardi bene in faccia, Miller» disse. «Questo è un programma per gente strampalata, d’accordo. Gente che racconta di aver visto piccole creature verdi saltare fuori da dischi volanti, chiaroveggenti, medium, negromanti, zingari, streghe d’ogni genere. Ce n’è stato perfino uno che giurava di essere stato un lupo, da giovane.» Mentre parlava, Ed continuava a scrivere rapidamente. «Però voglio dirle una cosa. La maggior parte di questa gente è sincera. Per quanto ne so io, può darsi che alcuni di loro siano quello che effettivamente sostengono di essere. In questo programma, abbiamo vedute molto larghe.»
«Io… io non capisco dove vuole arrivare, signor Wonder.»
«E io invece credo che lo capisca benissimo. Quando le ho offerto di venire alla radio promettendole cinquanta dollari e il rimborso spese per il disturbo, credevo che fosse veramente convinto, a ragione o a torto, di essere vissuto nel passato in varie reincarnazioni.» Ed Wonder fece un verso di disprezzo. «Chiunque è in grado di leggere qualche notizia su personaggi storici come Alessandro, Annibale e Ney» concluse.
Le labbra di Miller erano serrate ed esangui.
«Lei non ha il diritto di parlarmi in questo modo. Sono venuto qui in buona fede» protestò.
«E anche perché le faceva gola intascare cinquanta dollari senza fatica, vero? Però l’imbroglio è saltato fuori: non è stato capace di rispondere alle domande del professor Dee. Nella sua qualità di storico aveva letto molto più di lei su Alessandro e i suoi amici.»
«Signor Wonder, sono pronto ad ammettere di aver dimenticato molti particolari delle mie passate reincarnazioni. D’altra parte, anche lei ha certo dimenticato molti avvenimenti della sua vita.»
Ed Wonder continuava a sbadigliare, sventolando l’assegno appena compilato per fare asciugare l’inchiostro. «Questo per le spese di viaggio. E ora le faccio un secondo assegno per il furto.»
Reinhold diventò paonazzo per la rabbia. «Accetterò il rimborso spese perché ne ho bisogno. Ma se pensa che abbia cercato di imbrogliarla, signore, si tenga pure i suoi cinquanta dollari.»
«Padronissimo di fare come vuole. Ma firmi comunque la ricevuta dell’intero compenso, per favore.»
Reinhold Miller afferrò la penna, firmò, prese l’assegno del rimborso spese, poi si alzò di scatto e uscì dalla porta imbottita che si apriva sull’atrio. Ed Wonder lo seguì con lo sguardo, poi infilò le carte nella borsa.
Jerry lo chiamò dalla regia. Ed si alzò ed entrò in cabina accendendosi una sigaretta. «Dove diavolo vai a trovare i vestiti, Jerry, nei pacchi dono dell’Esercito della Salvezza?» gli chiese. «Mi rovini il programma. E che cosa fumi in quella pipa preistorica, carbon fossile?»
Il tecnico brontolò qualcosa senza togliersi la pipa di bocca, poi disse: «Non siamo alla televisione. E anche se lo fossimo, non sarei io davanti all’obiettivo delle telecamere. Sei riuscito a fregargli i quattrini, eh, Piccolo Ed?»
«Che cosa dici?»
«A quello là, Alessandro il Grande.»
«Era un imbroglione.»
«Non sono di questo parere. Può darsi che gli manchi una rotella, ma credo che fosse sincero. Era convinto di dire la verità.»
«Secondo me, no. Questo programma ha un bilancio limitato, Jerry.»
«Eh, già. E se avanza qualche spicciolo alla fine del mese, va a finire nelle tue tasche.»
«E a te che cosa importa?»
«Niente. Mi piace vederti lavorare. Grazie all’automazione, possono licenziare nove persone su dieci, ma rimarrà sempre con noi l’eterno imbroglione.»
Ed Wonder diventò rosso. «Ti consiglio di non ficcare il naso nei miei affari, se non vuoi avere guai.»
Jerry si tolse la pipa di bocca e grugnì divertito. «Guai? Da te, Piccolo Ed? E che cosa mi combineresti?» Si osservò pensoso le nocche della mano destra. «Guai che un bel colpo sui denti non sistemerebbe?»
Ed fece un mezzo balzo indietro. Si riprese e disse con aria cattiva: «Mi hai fatto venire qui per dirmi questo?»
«Il Grassone è venuto a cercarti mentre eri in trasmissione. Vuole vederti.»
«Mulligan? Che cos’è venuto a fare a quest’ora?»
Ed Wonder si voltò e se ne andò senza aspettare la risposta. La porta a isolamento acustico della cabina di regia dava in un piccolo atrio. Accanto c’erano due porte identiche: quella dello Studio Tre, che Ed Wonder aveva utilizzato per la trasmissione, e quella del corridoio degli uffici.
Percorse il corridoio ed entrò nel suo ufficio; prima di andare al suo tavolo a lasciare la borsa, però, si fermò davanti alla scrivania di Dolly. Alla vista della ragazza, fece finta di svenire.
«Santo cielo! Che cosa ti sei fatta alla testa?»
Dolly si sfiorò i capelli con una mano. «Ti piace, Piccolo Ed? È l’ultimissimo grido dall’Italia. Si chiama “Acconciatura Fantasia”.»
Lui scosse la testa, assumendo un’espressione di finto dolore, «Non verrà mai la moda dei capelli naturali?» chiese, in tono tragicomico. Poi, con la solita voce: «Senti, Dolly, cerca di essere più sveglia quando sono in trasmissione, capito? Non c’è bisogno di sprecare tante parole. Taglia corto. Bastava che dicessi: il professor Dee, domande. Non sono stupido. Avrei afferrato al volo.»
La ragazza strinse le labbra. «Sì, signor Wonder.»
«Bene, ricordatelo.»
Andò al suo tavolo e chiuse a chiave la borsa in un cassetto. Si avviò poi all’ufficio di Matthew Mulligan sistemandosi la cravatta a farfalla. Davanti alla porta esitò un attimo prima di bussare due volte, piano.
Il direttore della stazione radio era seduto alla scrivania e ascoltava il programma di musica leggera Rock Swing che andava in onda subito dopo la trasmissione di Ed. Ma non sembrava che l’ascolto gli giovasse alla digestione.