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Buzz scagliò per terra il sigaro. «Maledizione!» mormorò avviandosi alla porta.

Anche il generale si era alzato. «Aspettate un momento. Potrebbe essere la soluzione migliore.»

Ed Wonder lo investì con un’occhiata di disprezzo.

«Come quell’altra trovata geniale, quella del tiratore scelto che gli spara da lontano? Si limiti a prendere in considerazione solo due possibili conseguenze, mio caro soldato. Primo: supponiamo che Tubber si metta a scagliare maledizioni contro la folla che lo assale per linciarlo. Ha idea di che cosa potrebbe accadere? Oppure, seconda ipotesi: supponiamo che la folla riesca a prenderlo e lo faccia fuori. Pensa che l’effetto delle maledizioni avrà fine con la sua morte? Come facciamo a dirlo con certezza?»

Buzz era già fuori della porta e stava attraversando gli uffici esterni a grandi passi. Ed lo seguì.

«Un momento!» chiamò Hopkins. La sua proverbiale calma era finita chissà dove. «Posso avvertire la polizia di Oneonta.»

«No!» gridò Ed senza voltarsi indietro. «Tubber e Nefertiti conoscono bene me, mentre la presenza di qualche piedipiatti dalla mano pesante potrebbe avere il solo effetto di aumentare i fuochi d’artificio.»

Nell’atrio, Johnson e Stevens scattarono in piedi come molle.

Ed li investì con una serie di ordini. «Telefonate al garage. Fate preparare per noi il mezzo più veloce che la polizia abbia a disposizione. Dev’essere pronto prima che noi arriviamo giù. Spicciatevi, buffoni di piedipiatti!»

Si precipitò come un toro infuriato per il corridoio fino all’atrio degli ascensori.

Quando arrivò, Buzz ne aveva già chiamato uno. S’infilarono nella cabina, premettero il bottone della discesa rapida e quasi sentirono le gambe cedere sotto la spinta dell’accelerazione.

L’aeromobile li aspettava. Ed si fece riconoscere e saltò sul sedile anteriore insieme a De Kemp.

«Come accidenti funziona questa maledetta macchina?» chiese Buzz. «Non ho mai guidato un’aeromobile automatica.»

Ed Wonder conosceva bene le Cyclon di Helen. «Così!» esclamò, e compose sul dispositivo elettronico la combinazione che avrebbe fatto dirigere la vettura all’uscita del ponte Washington e alle autostrade del Nord. Successivamente prese la mappa nel cassetto del cruscotto e localizzò Oneonta. La cittadina, situata all’estremità settentrionale dello Stato di New York, non era più distante dalla metropoli di Kingsburg, ma si trovava più a ovest. La strada più breve era quella che passava da Binghamton.

25

Il viaggio fu una lunga agonia. Non sarebbero arrivati prima di mezzogiorno. Non sapevano nemmeno dove Tubber aveva rizzato la tenda. Non avevano nessun modo di sapere quando avrebbe cominciato a predicare. Se era come a Saugertis, non ci sarebbe stato un solo sermone al giorno, ma parecchi, a ciclo continuo. Forse aveva cominciato molto presto.

Ed Wonder immaginava che Tubber non sarebbe riuscito a finire la prima predica. Nell’istante in cui il pubblico avesse capito di chi si trattava, sarebbe stata la fine. Imprecò silenziosamente. Magari avevano già capito. Magari il giornale di Oneonta aveva già pronta l’edizione straordinaria con la grande notizia in prima pagina. Certamente il quotidiano “Oneonta Star” era un abbonato della AP-Reuter e riceveva il notiziario per telescrivente. Se un cronista brillante aveva collegato le due storie e rivelato che il tanto discusso profeta era in città, a quell’ora Tubber era già stato linciato dalla folla.

Per quanto riguardava il problema d’individuare la tenda di Tubber, avrebbero potuto risparmiarsi le ansie. Il vociare della folla era udibile a grande distanza. Ed Wonder staccò il pilota automatico e guidò manualmente. S’infilò nei quartieri meridionali della città senza ridurre la velocità.

«Ehi, amico, calma!» strillò Buzz.

«La sirena» proruppe Ed. «Dev’esserci un bottone o una leva. Trova la sirena! Questa maledetta aeromobile deve pur avere una sirena!»

Buzz si diede da fare. L’ululato della sirena si sparse sulla cittadina a ondate intermittenti. Attraversarono come una freccia il centro mentre il traffico si faceva da parte, a destra e a sinistra. E il traffico non era poca cosa. Ed Wonder sospettò che la grande maggioranza degli abitanti stesse partecipando al linciaggio.

Giunsero in vista del luogo dei disordini. C’era un incendio. Quando furono abbastanza vicini, videro che la tenda bruciava.

Era la stessa identica scena del tentativo di linciaggio dell’operatore del cinema a Kingsburg. Con una sola differenza: la folla era dieci volte più numerosa, troppo numerosa perché la polizia potesse intervenire.

C’erano migliaia di persone: urlavano, agitavano le braccia, e il frastuono era spaventoso. Ai margini della calca, però, la gente si limitava ad agitarsi senza nemmeno rendersi conto di quello che stava accadendo al centro di quello smisurato grappolo umano, e senza poter fare niente.

Sorvolando la folla con l’aeromobile della polizia, Ed Wonder e Buzz De Kemp poterono afferrare l’intera scena. Nel centro, Ezechiele Giosuè Tubber e sua figlia venivano sballottati di qua e di là, mentre l’incendio della tenda, alle loro spalle, mandava riflessi tragici sui volti degli assalitori. Non c’era traccia degli altri seguaci del profeta. Nonostante la tensione e l’eccitazione, la mente di Ed fu attraversata da una rapida immagine. Gesù abbandonato dai discepoli e dallo stesso Pietro dopo il tradimento di Giuda. Dov’erano i seguaci di Tubber, per pochi che fossero? Dov’erano finiti i devoti pellegrini che salivano la via di Elisio?

Sollevò la vettura fino all’altezza di dieci metri e si portò al di sopra del centro della folla urlante, al di sopra di mille bastoni agitati al vento. Si annusava dappertutto l’odore dell’odio. Quell’agghiacciante odore di odio e di morte, che non si conosce se non si è vista una folla impazzita o un combattimento all’ultimo sangue. Le urla erano diventate un solo boato di furia sanguinaria.

Buzz gridò. «È impossibile. Andiamocene via. È troppo tardi. Ammazzeranno anche noi!» Gli occhi del giornalista erano pieni di terrore.

Ed raggiunse il centro della mischia.

Urlò a Buzz: «Mettiti al volante, è in guida manuale. Abbassati al massimo!»

Saltò nel sedile posteriore. Prima aveva notato che a bordo c’era un oggetto importante. Mentre Buzz De Kemp s’infilava sotto il volante e prendeva saldamente la guida dell’auto, Ed staccò velocemente il fucile mitragliatore dalla spalliera del sedile di dietro.

«Ma che cosa fai?» gridò il giornalista, Sempre più atterrito.

Con il calcio dell’arma Ed Wonder infranse il finestrino posteriore destro. La sirena continuava a ululare. Gli uomini che guidavano l’assalto della folla, una dozzina di esaltati che stavano malmenando il profeta barbuto, istupidito e incapace di reagire, e Nefertiti, che urlava e graffiava cercando di avvicinarsi a suo padre, guardarono in su. Per la prima volta udirono l’urlo lacerante della sirena, più forte del frastuono della folla.

Ed fece passare la canna del mitragliatore attraverso il finestrino infranto e prese la mira. Non aveva mai avuto in mano un’arma simile in vita sua. Tirò il grilletto e il tuono secco della raffica rimbombò nella grossa vettura assordandolo, mentre il potente rinculo gli faceva perdere l’equilibrio.

La scarica, almeno per il momento, fece il suo effetto. Sotto di loro, gli uomini si dispersero. Gettò il caricatore vuoto dal finestrino.

«Abbassati!» gridò a Buzz.

«Non fare pazzie! Non possiamo…»

Ed si slanciò sul sedile davanti e mise in funzione la leva. Ancora prima che la vettura si fosse appoggiata al suolo, Ed aveva spalancato la porta. Servendosi del mitra come di una clava, si lanciò verso il vecchio che si reggeva in piedi a fatica.