Tubber si sollevò a sedere, la schiena eretta. «Perché disprezza tanto la bontà? Cercare di essere buoni è una cosa tanto condannabile? Sembra che l’uomo sia il peggior nemico di se stesso. Tutti affermiamo di volere la pace, ma nello stesso tempo guardiamo con sospetto l’obiettore di coscienza. Affermiamo di volere un mondo migliore e poi deridiamo coloro che propongono riforme, chiamandoli velleitari. Ma questo esula dall’argomento che lei ha sollevato. La mia opposizione alla Società del Benessere attuale non sorge dal fatto che abbiamo risolto il problema della produzione, ma perché la macchina è sfuggita al nostro controllo e corre da sola incontro al caos. Io non invidio, a chi produce, il frutto dei suoi sforzi. Il diritto di ogni persona al risultato dei propri sforzi è inviolabile, ma il diritto ai mezzi di produzione dovrebbe essere comune. Dev’essere così non solo perché le materie prime sono fornite dalla Grande Madre, dalla natura, ma anche per il fatto che è l’eredità delle installazioni e delle tecniche la vera fonte della ricchezza degli uomini; ed è la collaborazione fra gli uomini che rende tanto più efficace del lavoro in solitudine il contributo di ciascuno. La società primitiva che premia il più intelligente a danno di coloro che la Grande Madre ha ritenuto opportuno dotare meno, non esiste più. In un’economia povera, infatti, era quasi inevitabile che chi contribuiva maggiormente allo sviluppo della società ottenesse premi maggiori, ma nell’attuale Società Affluente, perché dovrei voler impedire che tutti vivano nell’abbondanza? Non abbiamo mai fatto mancare l’acqua e l’aria nemmeno ai criminali della peggior specie, perché c’è stata sempre abbondanza di entrambe. Nella Società Affluente il cittadino peggiore può vivere in una casa decorosa, mangiare il cibo più nutriente, avere abiti, avere tutto il necessario e anche permettersi qualche lusso. Sarei davvero un pazzo se mi opponessi a questa realtà.»
Il generale Crew brontolò: «Ma che roba è questa, una predica? Veniamo al dunque! Lei ammette di aver provocato, in un modo o in un altro, il disturbo che ha bloccato tutti i nostri mezzi di comunicazione e di divertimento? Se la risposta è sì, ci sono leggi che…»
«Stia zitto» gli disse Ed Wonder, senza alcuna inflessione nella voce.
Il generale lo guardò stupefatto e incredulo, ma obbedì all’ordine.
«Ci siamo allontanati dal problema iniziale» disse Jim Westbrook. «Il nostro Ezechiele Tubber crede di poter cambiare l’attuale società caotica trasformando l’entità unitaria, cioè l’uomo, in qualcosa di diverso dall’individuo-massa senza cervello che è sempre stato, ovvero in un essere sociale. È impossibile. Avrebbe dovuto vedere la realtà in faccia quando la folla lo ha assalito appena hanno scoperto che era stato lui a privare la gente dei propri divertimenti.»
Tubber aveva recuperato abbastanza energia per fulminarlo con uno sguardo di fuoco. «Il suo uomo senza testa, come lo chiama lei, non è nato così, ma è stato trasformato dall’ambiente in un individuo-massa amorfo. I miei sforzi tendono a eliminare alcuni mezzi che sono stati utilizzati per addormentargli il cervello. Quasi tutti questi individui senza testa, come dice lei, avrebbero potuto essere e ancora potrebbero essere, non mi stancherò di ripeterlo, degni pellegrini che salgono la via di Elisio. Immagini il caso di un bambino nato in una famiglia profondamente istruita, in una famiglia bene, che in clinica, per l’errore di un’infermiera, sia stato sostituito con uno messo al mondo da una famiglia dei bassifondi. Crede che il bambino dei bassifondi, nel nuovo ambiente, non diventerebbe come i suoi nuovi compagni? E che il germoglio della famiglia bene, allevato nel quartiere più povero della città per l’errore dell’infermiera, sarebbe diverso dagli altri ragazzini dei bassifondi?»
Nefertiti sembrava sempre più indignata. «Mio padre…» cominciò. Poi si voltò verso Ed e Hopkins. «È stanco. Bisognerebbe chiamare un medico. Quella gente l’ha preso a calci, l’ha bastonato.»
«L’individuo-massa» mormorò Westbrook.
«Ancora un minuto, tesoro» disse Ed Wonder, e si rivolse a Tubber. «E va bene, ammettiamo che tutto quello che ha detto finora sia vero. Sotto il regime dello Stato del Benessere la nostra società sta per cadere in rovina, e per evitarlo dobbiamo cambiarla nel modo che indica lei. Ma ora voglio ricordarle alcune cose che mi ha detto la prima volta che ci siamo parlati. Credo di avere in mente il suo discorso, parola per parola. L’avevo chiamato signore, e lei mi aveva interrotto per dirmi: “Il termine signore proviene dall’età feudale. Riflette il rapporto tra nobile e servo. I miei sforzi sono diretti contro tale rapporto, contro ogni forma di autorità di un uomo su un altro. Io sento che chiunque pone la sua mano sopra di me per governarmi è un usurpatore e un tiranno: dichiaro costui mio nemico”.»
«Non capisco che cosa voglia dimostrare, caro fratello.»
Ed tese l’indice verso di lui. «Lei non tollera che gli altri la controllino, che controllino i suoi pensieri, le sue azioni. Ma è proprio quello che lei, con il suo potere… qualunque sia… ha fatto a noi. A tutti noi. Lei, l’uomo buono per definizione, è in realtà il peggiore tiranno della storia dell’umanità. In confronto, Gengis Khan era un piccolo imbroglione, Cesare un dilettante, Napoleone e Hitler dei buontemponi. In confronto…»
«Basta!» gridò Tubber.
«E quale sarà la sua prossima mossa?» disse Ed, mettendo il massimo disprezzo nella voce. «Ci toglierà la parola in modo che non potremo nemmeno protestare contro le sue decisioni?»
Tubber lo guardò: la sua tristezza lincolnesca era più profonda che mai.
«Io… io non immaginavo. Io… pensavo…»
Dwight Hopkins s’inserì con la sua solita abilità. «Proporrei un compromesso, signore, ehm, cioè Ezechiele. Nonostante tutti gli sforzi, non è riuscito a portare il suo messaggio… quali che siano i suoi meriti o i suoi difetti… alla gente che lei ama, ma che fino a ora l’ha respinto. Bene, il compromesso che propongo è questo. La sua voce potrà essere trasmessa per un’ora al giorno, ogni giorno, da ogni stazione radio e TV di tutto il mondo. In quell’ora, non ci sarà nessun programma in concorrenza con il suo. Quest’ora sarà esclusivamente per lei, per tutto il tempo che lo desidererà.»
Nefertiti e il profeta guardavano Hopkins con gli occhi sbarrati.
«E… in cambio?» domandò Tubber.
«In cambio, tutte le sue, ehm, maledizioni, dovranno essere ritirate.»
Il profeta, ancora sconvolto, esitava. «Anche se parlassi ogni giorno alla radio, forse non mi ascolterebbero.»
Buzz De Kemp fece un ghigno con il sigaro fra i denti. «Non c’è nessun problema. Ancora un piccolo incantesimo. Che sia l’ultimo però, deve prometterlo. Un incantesimo che faccia ascoltare tutti. Non che li costringa a credere ma solo ad ascoltare.»
«Non… non so se sia possibile eliminare gli effetti…»
«Provi» lo esortò Hopkins sommessamente.
Il generale Crew disse: «Ora che ci penso, ho tre figlie. Da quando è in funzione quella maledizione contro i cosmetici e la vanità femminile, la vita è molto più sopportabile. Riesco perfino ad andare in bagno la mattina. Non sarebbe possibile mantenere almeno quella?»
«E quella contro tutti i juke-box» mormorò Braithgale. «Detesto i juke-box.»
«La cosa che odio di più al mondo» disse Buzz «sono i giornali a fumetti. Se almeno…»
Jim Westbrook scoppiò improvvisamente a ridere. «In cambio dei miei libri, amico, può mantenere la maledizione sulla radio e la televisione.»
Dwight Hopkins li fulminò con uno sguardo corrucciato. «Avete detto abbastanza stupidaggini, signori.»
L’anziano profeta emise un profondo sospiro.