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Illistyl la guardò e scoppiò in una risata, che ben presto si trasformò in pianto, e poi di nuovo in riso. Jhessail afferrò l’apprendista per le esili spalle, la cullò e la strinse a sé.

«Viene, vieni, tesoro», la consolò. «Shadowdale è ancora vicino a noi… coraggio. Potrebbe andare peggio.»

Illystil emise un sospiro esitante. «In che modo?» chiese piano. «Non riesco a fare nemmeno l’incantesimo più semplice!»

Jhessail sospirò. «Beh», rispose ironica, «tutta la magia ci potrebbe abbandonare e gli dei potrebbero percorrere i Regni, e…»

Le braccia di Illistyl le si avvinghiarono con forza alla vita. «Non dirlo», sibilò all’orecchio della sua maestra. «Non pensarlo nemmeno! Jhess, ho paura. Paura.»

Jhessail Silvertree strinse teneramente la giovane maga fra le braccia. «Ne abbiamo tutti, tesoro. Persino gli dei, in questo momento. Quando piangevo, Elminster mi diceva sempre: vivi per un po’ con la paura. Impara a conoscerla e conoscerai di più te stessa.»

Illistyl rispose con un singhiozzo e si strinse ancor di più alla donna. «Anche lui se n’è andato! Jhess… dov’è?»

Jhessail sentì le lacrime salirle agli occhi. «Non lo so», mormorò. Rimasero abbracciate in silenzio. Poi, con voce non proprio ferma, aggiunse: «Tutti abbiamo paura. Dovremmo averne, ora, se siamo consapevoli di ciò che è accaduto… e sani di mente».

Illistyl indietreggiò e la fissò, gli occhi bagnati. «Pensi che i maghi siano sani di mente? Sei pazza!»

Jhessail rise tanto che dovette aggrapparsi a Illistyl per sostenersi, e insieme continuarono a ridere ancora per un po’.

D’un tratto si udì un calpestio di stivali, e Mourngrym si precipitò nella stanza, con torce e guardie al seguito.

«Che succede ora, donne?» chiese, impugnando una spada sguainata.

«La… sanità mentale dei maghi», ansimò Jhessail. «Un… argomento divertente a quanto pare.»

«L’ho sempre pensato», rispose il signore di Shadowdale, infilando la spada nel fodero. «Per quanto, con Elminster in giro, non abbia mai osato dirlo apertamente.»

Illistyl annuì. «E ora che se n’è andato, chissà dove…» La sua voce si era ridotta a un sussurro.

Mourngrym la guardò. «Ho tanta paura, fanciulla, che se rimango fermo troppo a lungo, la vescica mi riempirà gli stivali fino all’orlo. Se avessi un po’ di senno, anche tu proveresti tale paura.»

L’uomo si domandò, poi, perché le risate delle maghe fossero tanto selvagge.

LA MIA PAZIENZA HA UN LIMITE, UOMO. PENSI CHE MOSTRANDOMI TALI COSE IL TUO DESTINO CAMBI? VOGLIO CHE MI RIVELI I POTERI DI MYSTRA E COME SI CONTROLLANO, NON QUESTE SCENE DELLA VIGILIA DELLA PAZZIA E DEL FALLIMENTO DELLA MAGIA, PER QUANTO IMPORTANTI SIANO STATE PER TE.

Cerco di rivelarti tutto, Nergal. Sto tentando. Qui dentro c’è un immenso groviglio, da quando la vecchia Mystra morì e mi conferì i suoi poteri. Solo ora riesco a comprendere che cosa avessi fra le mani. Credimi.

IL TUO COMPORTAMENTO MI RENDE DIFFICILE CREDERTI, MAGO. CERCA DI SBRIGARTI.

* * *

«Signore?» Darthusk ritrasse la spada un istante prima che la punta raggiungesse la gola di Mourngrym Amcathra.

Il signore di Shadowdale fece un passo indietro, accigliato. Scosse il capo come se tentasse di togliersi un’idea dalla mente e fissò nel vuoto.

Darthusk agitò la mano, concitato. Tutte le guardie nella stanza sospesero l’allenamento e rimasero in silenzio a osservare, preoccupate, il loro signore. Si trattava di una sorta di trucco di Zhent, o…?

Mourngrym scosse nuovamente il capo, poi prese lo straccio dalla sua cintura e si asciugò il sudore dalla fronte. «Strano», affermò conciso quando risollevò la lama, «ma… era tanto vivido. Un ricordo passeggero di due nostre giovani maghe che un giorno risero fino allo sfinimento. Io entrai per vedere cosa fosse quel baccano, e…»

Agitò ancora la testa, perplesso e affermò: «Chiedo perdono, Darthusk. Io… la magia. È strana, sempre».

«Già, Signore», ribatté la guardia, mentre incrociavano le spade per ricominciare. «La magia lo è sempre. Io la considero un’arma a doppio taglio: ferisce tanto chi la impugna quanto il nemico. Mi meraviglia che più maghi non finiscano arsi vivi per davvero, giù nei Nove Inferni!»

Mourngrym s’irrigidì nuovamente e si rivolse a Darthusk, accigliato. «Che cos… non importa.» Dopodiché toccò la spada della guardia con la sua: si colpirono con forza vera, e il clangore dell’acciaio, accompagnato da una pioggia di scintille, si levò ancora intorno a loro. Mourngrym scosse il capo e borbottò: «Arsi nei Novi Inferni, già. Sono obbligato a usare la magia, ma fidarmi di essa? Mai!».

I loro sguardi s’incontrarono sopra le lame stridenti, signore e guardia, si sorrisero e gridarono all’unisono: «Mai!».

* * *

[la frustrazione, è una fiamma… già, una fiamma che brucia all’Inferno con dentro un mago troppo intelligente]

CHE COS’È, UOMO INSIGNIFICANTE? CHE COS’È QUEL PENSIERO DELLA FIAMMA CHE TENTI DI NASCONDERMI? PENSI CHE IL FUOCO POSSA FARMI DEL MALE?

Ah, no. «Mai.»

GIÀ, ALLORA NON FERMARTI PIÙ! MOSTRAMI IL RESTO! C’ERANO ALCUNE GUARDIE, SÌ, CON LE SPADE SGUAINATE, E LUCE…

E POI?

[un turbinio rapido di immagini]

Luce, porte dalle lunghe barre che si aprono, guardie che retrocedono stanche, con le spade sguainate in mano, si scostano per lasciarci passare…

Avanti, nella luce…

ERA ORA.

La luce del colore bianco e blu dell’Arte, del potere liberato di Mystra…

MOSTRAMELA!

Bianca e blu, vacillante… in una torre di pietra dove un uomo siede solitario a tessere incantesimi…

L’incantesimo non aveva mai fallito prima. Era una cosa semplice evocare la luce. Oh, era senza dubbio strabiliante per un ragazzo di campagna, creare radiosità dove poco prima non ne esisteva… e una cosa di cui può andare fiero un banale apprendista. Nell’incantesimo in sé non v’era, tuttavia, nulla di molto complesso o difficile.

Taern «Magiadituono» Hornblade, Arpista e mago del Palazzo di Spellguard di Silverymoon, si alzò improvvisamente, poi si risedette, accigliato e perplesso. Con la mente ripercorse tutto ciò che aveva fatto e riesaminò con cautela ogni singolo passo. No, non aveva commesso errori. L’incantesimo avrebbe dovuto funzionare.

Lanciò un sortilegio di controllo, lo sentì uscire dal corpo. Nessun campo magico e nessuna barriera, eccetto quelli che erano sempre esistiti in quel luogo, ostacolarono la sonda magica. L’incantesimo funzionò perfettamente, prova che nessuna magia era stata elaborata per assorbire o vanificare l’Arte. Tutto sembrava normale, le torce ardevano nei loro bracieri, come sempre. Eppure l’incantesimo era fallito.

Forse qualcuno che non poteva essere visto, né altrimenti intercettato, aveva agito per rubargli o disperdere l’Arte: no, era alquanto improbabile, o era accaduto qualcosa a Mystra o alla sua posizione agli occhi di Mystra, o ancora era diventato pazzo. Tutte alternative molto allegre.

Con le mani lievemente tremanti, Taern s’inginocchiò nella stanza degli incantesimi dalle pareti di pietra e pregò Mystra, muovendo supplicante le labbra incorniciate dalla barba grigia. Gli sembrava che un buco nero si fosse aperto improvvisamente sotto di lui, e che non potesse far nulla per evitare di precipitarvi dentro, di cadere nell’oblio. Che cos’aveva fatto? Che cosa gli era accaduto!

Era ancora inginocchiato quando una delle porte segrete della stanza si aprì, la porta che conduceva agli appartamenti di Alustriel, la Somma Signora di Silverymoon.

Taern Magiadituono era tanto sconvolto che non sollevò lo sguardo né interruppe le preghiere, nemmeno quando una mano delicata si appoggiò sulla sua spalla. Trasalì, invece, alle gentili parole, cariche di dolore, che seguirono.