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«Vangy», sbottò la regina, emettendo a sua volta un sospiro esasperato, «chiamami Faeril o Fee o anche “stupida puttana”, ma smettila di guardarmi come se avessi condannato il regno con le mie mani! Che cosa mai stavi facendo di tanto importante se non scoprire l’ennesimo complotto contro il trono?»

«Signora», cominciò, avanzando per prenderle la mano, «non lo so. Stavo venendo qui, in risposta alla vostra chiamata, quando… quando mi sono ricordato una cosa».

La regina lasciò che il suo sopracciglio alzato in segno d’incredulità parlasse al posto suo.

Vangerdahast abbozzò un sorriso amaro e aggiunse: «Non sono ancora rimbambito, Faeril. Era un ricordo piuttosto importante, di Blackstaff e della regina di Aglarond, qui in queste sale, e non capisco perché mi sia tornato in mente. Improvviso e tanto vivido… tutta la scena si è svolta davanti a me, come se la stessi rivivendo».

La regina assottigliò gli occhi. «Khelben e la Simbul qui? Quand’è successo esattamente?»

Vangerdahast sospirò. «Signora», affermò, «non fa parte dei tradimenti attuali. Ve lo spiegherò dopo, quando mi avrete informato di quale complotto si tratti questa volta. Non sarà di Lady Kessemer, per caso?»

Filfaeril lo fissò. «E tu come lo sai?»

Il Mago Reale tossì. «Signora», le ricordò gentilmente, «sono un mago».

Negli occhi della donna brillò di nuovo una scintilla di rabbia. «Lo sapevi, e non me l’hai detto

Vangerdahast prestò molta attenzione a non sospirare e a non ruotare gli occhi. «Signora», cominciò cauto…

* * *

«Beeene, Regina di Aglarond, finalmente capiti dalle mie parti! Un piccolo sssbaglio, ma temo proprio sssarà l’ultimo!»

Le ampie ali da pipistrello del demone gongolante la colpirono in cielo e la fecero precipitare. La donna cadde duramente sulle rocce. Gli artigli crudeli di una decina di diavoli sogghignanti la tennero prigioniera e la graffiarono prima che riuscisse ad alzarsi, lasciandola nuda… appena il tempo per consentire alla frusta della grande bestia di abbattersi su di lei.

Mystra! Che fuoco! Urlante e singhiozzante sotto le grinfie dei tirapiedi del demone, la Simbul non riuscì nemmeno a reagire al dolore. Artigli l’afferrarono per i capelli e per la gola, tirandole la testa all’indietro e facendola inarcare. La fronte sanguinante, squarciata dalla frusta, rivolta verso un cielo dello stesso colore del sangue.

«Beeene, che gusto avrà un’umana toccata da una dea, mi domando», sibilò la creatura infernale, allungando un braccio nero oltremodo lungo.

Impotente, le braccia e le gambe divaricate, la Simbul riuscì soltanto a gemere, mentre la mano artigliata si richiudeva sul suo petto e stringeva. Le unghie affondarono nel suo corpo. La carne del demone era bollente.

Sentiva l’odore della sua pelle bruciata e sfrigolante, e il puzzo la soffocava ancor più del dolore. In qualche modo riuscì a gridare: «No! No! Nooooo!».

Il suo urlo fece tintinnare e sibilare tutti i cristalli e le gemme che fluttuavano nel buio intorno a lei. Ansimando, Alassra Silverhand fissò il soffitto della stanza.

Niente demoni, niente cielo tinto di rosso… era sola, a letto, madida di sudore. Le sue dita affondavano nel lenzuolo di seta e oro sottostante e niente la copriva se non aria… aria fredda. Eppure lei era in fiamme, bruciava come avesse la febbre…

No, il fuoco le ardeva nel petto! La Simbul pronunciò a fatica la parola che faceva illuminare il soffitto, poi, alla luce, esaminò il suo corpo. Era sporca di sangue scuro e secco… ma non abbastanza da coprire l’orribile cicatrice di una bruciatura sul petto.

Era un solco profondo, una bruciatura che avrebbe portato per sempre, a meno che non fosse riuscita a sanarla con la magia. Sembrava il segno di dita grosse e lunghe, dagli artigli affilati.

Ansimando di rabbia, di paura e nello stesso tempo di dolore, si mise seduta e si passò una mano sulla ferita. Sì, era reale.

Strinse i denti per la collera ancor prima di afferrare rapida due gemme incastonate nel bordo del letto. La magia si accese dentro di esse; il bagliore della prima indicò che il suo corpo non era contaminato, perciò Alassra lasciò che la seconda compisse l’opera di guarigione.

Respirando meglio a mano a mano che il dolore diminuiva, la regina di Aglarond reclinò il capo e i capelli s’agitarono come soffici serpenti attorno alle sue spalle nude. «Tharamma di Thay, e il suo incantesimo degli incubi! Deve essere lui!»

La gemma di guarigione si spense e i suoi piedi nudi si appoggiarono al pavimento. A grandi passi e con fare imperioso, la Simbul si lanciò, furiosa, lungo corridoi bui, mentre le porte si aprivano ubbidienti al suo passaggio.

Le guardie assonnate scattarono sull’attenti e non osarono muovere un muscolo mentre la regina passava loro accanto. Anelli, bastoni, tuniche e mantelli giungevano turbinanti alla regina di Aglarond vestendola per la battaglia via via che avanzava. Alassra ringhiò una parola e le porte incantate all’estremità di un ultimo corridoio si aprirono, lasciando entrare il freddo chiaro di luna.

«Bene», esclamò selvaggiamente, rivolta al gelido vento notturno, mentre usciva su una balconata illuminata dalla luna, «almeno questa volta so quale Mago Rosso non vedrà l’alba!»

Incantesimi scintillarono fra le dita affusolate della donna. Poi la regina si dileguò in un’ombra furente, che tremolò per un istante sotto la luna, turbinò sulle ali del vento, a est, nell’oscurità, e scomparve.

* * *

[Nel cuore furioso dell’Inferno un Vecchio Mago si lascia ricadere con un sospiro e si guarda la mano vuota e fratturata] Sì. Sei proprio stupido, mago.

5.

A me i Maghi

«Se vuole seguirmi, Signor Mago», mormorò la ragazza, voltandosi in un vortice di seta bianca e dorata a indicare una scala laterale, il cui tappeto era più spesso e meno consumato di quello dei corridoi polverosi che aveva appena percorso, «da questa parte…»

Il vacillante Mago della Guerra raddrizzò la schiena, solitamente curva, e inclinò la testa con un’espressione che voleva essere cortese e che in realtà risultò lasciva. Con un ampio gesto della mano invitò la ragazza a precederlo.

La serva mantenne un’espressione serena, sollevò graziosamente la tunica e si avviò su per le scale. Il vecchio mago ossuto rimase a guardare. Era l’ultima apprendista di Vangy, giusto! E una Crownsilver…

VEDO MAGHI, MA NON ELMINSTER NÉ IL FUOCO ARGENTEO. MI STAI NASCONDENDO ALTRE COSE.

TI AVVERTO DI NUOVO, UMANO, LA MIA PAZIENZA NON È INFINITA.

Io arrivo tra poco, Lord Nergal… con i segreti della magia.

[sguardo beffardo] PARLI COME UN MERCANTE CHE CERCA DI CONCLUDERE UN AFFARE. È MEGLIO CHE TI AFFRETTI A COMPIACERMI, VERME.

Mi sforzo di soddisfarti. Sempre.

E IO MI TRATTENGO DAL PORRE FINE ALLA TUA MISERABILE VITA. SEMPRE.

Una Crownsilver, giusto? Hmmph. Come se ciò gli importasse. Tuttavia, erano passati molti anni da quando una fanciulla tanto bella era salita con tanto zelo su per le scale di palazzo davanti a quel vecchio Mago della Guerra. Era una ragazza diversa, allora, in una torre diversa, ed era ormai scomparsa.

Bolifar Geldert scacciò risoluto il ricordo e non lasciò che alcuno dei servi frettolosi e silenziosi che gli passarono accanto udisse il suo sospiro. Bolifar era diligente, accorto e un gran lavoratore, più di qualsiasi altro vecchio mago della guerra di Cormyr. Per tale motivo era rispettato e rivestiva un ruolo importante in quel luogo.

Si era crogiolato a sufficienza nelle glorie passate. I ricordi non riscaldano, né recano vantaggi, come il peso rassicurante del pugnale preferito nella propria mano o il grande potere di un incantesimo evocato. Ora toccava a lui salire quella stretta scala.