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«Mystra», gemette, mentre ruzzolava, e in tal modo risvegliò tutti i poteri del suo corpo che si concentrarono, formicolanti, sulla punta delle dita.

Che la Signora della Tela lo udisse e decidesse di assisterlo o no, la vita che si profilava davanti a Elminster Aumar non sarebbe stata piacevole. Avrebbe dovuto consumare tutta la sua magia per sanare quella spaccatura, per amore di Toril, che tanto raramente lo aveva amato, e finire bruciato e dilaniato nell’impresa; forse avrebbe fallito e sarebbe morto… e se invece vi fosse riuscito, sarebbe precipitato in Averno, indifeso e privo di qualsiasi magia.

Ma il suo dovere era chiaro.

Sagome nere, dalle ali di pipistrello, si erano già levate in volo, e gli si stavano avvicinando minacciose, per tuffarsi attraverso la fenditura o ampliarla ulteriormente, prima che lui potesse chiuderla. Poteva essere sanata solo da quella parte, non dai cieli più gradevoli di Toril, e se mai El avesse avuto successo, avrebbe esaurito tutti gli incantesimi con rapidità tale da attrarre subito l’attenzione di tutti gli occhi infernali.

Quegli occhi lo stavano osservando. Oh, sì.

Elminster vide qualcosa di enorme e di scuro, simile a un drago, levarsi da un monte distante e puntare poderoso verso il cielo insanguinato, le ali coriacee e una lunga, lunga coda squamosa. Si innalzò, poi virò verso di lui…

Più vicino lampi scoppiettarono e saettarono al di fuori della spaccatura. Demoni neri e scintillanti stavano cercando di allargarla… a fatica, senza dubbio, sotto gli ordini d’altri demoni invisibili, sotto di loro.

Il mago, sballottato in quella furia, vide il cielo blu di Toril per l’ultima volta. Si udì un potente fragore di fulmini, che affondarono quindi i loro artigli di un chiarore accecante nei demoni. Corpi lucidi color ossidiana e cremisi si contorsero dal dolore mentre bruciavano, e il loro sangue avvampò formando fiamme rosse, per poi ricadere, come cenere annerita, sulle rocce indifferenti.

«Andate tutti all’inferno», mormorò Elminster sardonico. Serrò i pugni ed evocò il fuoco argenteo dentro di sé, nel modo più accurato e preciso possibile. Se la spaccatura si fosse chiusa, lui avrebbe quasi certamente perso contatto con la Tela e con Mystra, e sarebbe stato incapace di riacquistare il potere magico. Il fuoco argenteo gli consumò anelli e bracciali e persino le vesti che indossava.

Strani canti e parole irose gli riempirono le orecchie come incantesimi infranti, fluendo attraverso di lui per poi vorticargli attorno alle mani sotto forma di fiamme bianche e blu. I fuochi impetuosi delle sue magie mormorarono con potere confortante mentre, crepitanti e sfolgoranti, acquisivano forza. I vestiti del Vecchio Mago erano ormai ridotti a brandelli. Gli antichi anelli di metallo che gli cingevano le dita si polverizzarono e si dissolsero; il cappello arse con una fiamma blu che gli avvolse le lunghe trecce. Elminster gridò nell’impeto del suo potere. Il pugnale che teneva infilato in uno stivale si sbriciolò, poi la stessa sorte toccò anche allo stivale. Il mago disse silenziosamente addio alla sua pipa preferita un attimo prima che si sgretolasse. Infine, negli ultimi istanti della sua discesa, El utilizzò le sue minuscole saette magiche per controllare la caduta, roteando nell’aria per raggiungere la spaccatura.

Lo squarcio si stava allargando, e sputava fulmini malvagi in tutte le direzioni, nel cielo scuro di Averno. Molteplici saette s’inarcavano lungo la volta color cremisi come innumerevoli stelle cadenti che, furiose, svanivano poi nel nulla. Molto più in basso numerosi occhi rossi e scintillanti sollevarono lo sguardo verso quello splendore mortale.

Alcuni fulmini ghermirono l’aria accanto a lui, e il vecchio e sparuto mago scagliò fuoco blu dalla punta delle dita per intrappolarli, almeno in parte, e convogliare l’energia a suo vantaggio.

Una saetta lo strappò dal cielo come una zanzara sorpresa da un forte vento e lo fece turbinare lontano. I denti del mago presero a battere, i capelli gli si drizzarono e un urlo rauco gli si ghiacciò in gola. Intrappolato in quella morsa, Elminster di Shadowdale non poteva muovere nemmeno un dito. Le fiamme lo annerirono. Una forza impetuosa, bruciante, lo costrinse a divaricare gambe e braccia a mo’ di stella, poi lo scagliò nel cielo.

Quando riuscì nuovamente a vedere, minuscole saette gli fuoriuscivano dal naso. La spaccatura era un fuoco luminoso e distante nel cielo rosso. Poi le sue fiamme furono improvvisamente coperte da una forma nera e ghignante, la testa cornuta e gli occhi brillanti, che si muoveva rapida nell’aria con gli artigli protesi, per fare a pezzi i maghi feriti.

«Tharguth», mormorò Elminster, ricordando il vecchio nome grimoire per tali demoni… abishai, ecco cos’erano, perché poco dopo ne vide un secondo e un terzo seguire il primo.

Non c’era più tempo per pensare; l’abishai si diresse verso di lui come un martello pronto a colpire.

Con gli artigli squarciò impaziente l’aria mentre s’avvicinava, la coda velenosa piegata verso il basso, pronta a colpire, se necessario. Elminster guardò negli occhi il demone esultante e sentì una vampata di calore e l’odore forte, quasi d’aceto, della sua pelle, quando spalancò le fauci. Il mostro voltò la testa per morderlo alla gola, ma il mago si difese con il fuoco, bruciandogli in un istante gli artigli e il capo, e facendolo precipitare nell’abisso roccioso sottostante.

Il secondo abishai si stava avvicinando troppo rapidamente per riuscire a virare; El schivò un artiglio rabbioso e lanciò una minuscola saetta di color bianco e blu nella bocca spalancata del terzo demone alato. La sua testa esplose, dopodiché il corpo s’inarcò all’indietro e artigliò l’aria in un’agonia spasmodica e silenziosa, mentre gli passava accanto.

Un incantesimo volante era uno dei pochi che rimanevano al Vecchio Mago; timoroso che la magia dentro di lui potesse distruggerlo, lo preparò con estrema cura. Un altro briciolo di potere gli conferì una velocità maggiore di quella che il solo incantesimo avrebbe potuto fornirgli. Doveva tornare alla spaccatura, in fretta.

Non ebbe bisogno di guardare indietro o di udire il ringhio rabbioso per sapere che il secondo abishai lo stava di nuovo inseguendo. Adesso il cielo era pieno di tharguth… neri e verdi, e c’erano persino i più grandi e crudeli abishai rossi. I loro occhi ardevano come fiamme color rubino mentre si levavano per dargli la caccia; le grida di gioia e di frenesia si tramutarono in un ruggito che sovrastò il tuono della spaccatura, ormai sempre più larga…

Elminster Aumar non era l’ultimo degli Eletti di Mystra, ma nemmeno un combattente robusto e vigoroso. Come una stella minuscola bianca e blu, schizzò attraverso il cielo di Averno.

Vari draghi di colore rosso scuro planarono in quel momento fra i demoni, avventandosi e mordendo come gatti giganti, nutrendosi famelici di quel branco di prede volanti. Nel cielo apparvero anche gli spinagon, piccoli demoni grotteschi irti di punte, che saettavano e cercavano di schivare i tharguth. El si voltò e vide l’abishai che lo stava inseguendo squarciato dalla gola alla pancia da una creatura alata e famelica, che volò via prima ancora che il mago potesse girare di nuovo la testa.

Il suo sguardo si posò per un momento sulla terra sottostante e su un nastro rosso che poteva solo essere un fiume di sangue. La sua attenzione fu richiamata nuovamente verso l’alto, dal battito veloce di ali sfuggenti. L’assassino volante rallentò, si fermò e rimase sospeso a guardarlo. I loro sguardi s’incrociarono.

El si trovava davanti a un demone femminile, solitario, che sbatteva le ali piumate nel cielo. Era snella, aggraziata e micidiale, aveva un colorito brunastro ed era più bella di qualsiasi donna mortale: una erinni, senza dubbio la spia di un demone più potente che dimorava nelle profondità dei Nove Inferni.