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El si rese conto che qualcosa stava appostato nell’ombra scura, all’estremità più lontana della fenditura. Un paio d’occhi gialli fiammeggianti incontrarono il suo sguardo con la forza di un serpente pronto ad attaccare, e gli impedirono di muoversi, mentre la creatura alla quale appartenevano avanzava lentamente, sfoderando un sorriso per nulla rassicurante e che, nel contempo, prometteva molte cose.

Un sopracciglio s’inarcò, imitando la curvatura delle corna sovrastanti, e una voce lievemente sibilante gli chiese quasi con gentilezza: «Non mi conosci, piccolo mago insignificante? Sfoggio una forma ancor più splendida in questi tempi!».

Un incantesimo strinse la gola di El, impedendo qualsiasi risposta, e il sorriso del demone si allargò. «Ti piace il mio incantesimo degli artigli gentili? Niente a che vedere con gli incantesimi grandi e potenti a cui sei avvezzo, naturalmente, ma mi è utile… già, mi è molto utile.»

Il demone cornuto voltò la testa e sorrise, gli occhi gialli sempre fissi su Elminster come rebbi di una forca gigantesca. «Ancora non mi riconosci, Vecchio Mago? Devi essere proprio stanco.»

El fissò il demone corpulento, domandandosi quando fosse diventato, almeno agli occhi di quella terribile creatura, un esperto in questioni diaboliche.

Il demone aveva un corpo umanoide, nudo, la pelle liscia come quella di una foca, screziata di grigio e chiazzata qua e là di marrone e grigio scuro, molto simile alla superficie delle pietre scure di Averno che circondavano entrambi.

Poche squame gli scintillavano sul collo e sulle caviglie, e la sua testa quasi umana era munita di due corna ricurve. Quello che a prima vista sembrava un mantello non era altro che una collana di tentacoli. Uno di essi s’attorcigliò intorno alle spalle nude del mago, allungandosi come un’anguilla vendicativa, fra sbuffi di vapore fluttuanti - nove metri o forse anche più - mentre gli occhi che tenevano Elminster prigioniero si facevano un po’ più rossi.

«Sappi allora», proseguì il demone con grottesca formalità, accennando un inchino e obbligando il Vecchio Mago, sbalordito ed esausto, a fare altrettanto con la forza del tentacolo, «che sei ospite di Nergal, il più potente dei signori reietti dell’Inferno». Fece un ampio sorriso e i suoi occhi divennero rossi come la brace. «Potresti salutarmi.»

El cercò di parlare, ma scoprì di avere la gola secca e rigida. Nergal abbozzò un sorriso compiaciuto. «Il tuo corpo è un po’ ribelle, grande mago? Che tristezza. Avrai già notato che i miei incantesimi insignificanti e meschini sono serviti a restituirti la tua vera identità, e hai già assaggiato i miei artigli gentili. Grazie ad essi ogni tua magia viene assorbita per rafforzare le catene che ti legano a me… oh, forse non le vedi, ma tu sei legato, e lo resterai finché non deciderò altrimenti. Ti tengo imprigionato con catene magiche, legate alla mia mente: non potrai fuggire inosservato».

Le sue labbra si deformarono in un ghigno e aggiunsero: «Nessuno finora ha mai piegato la mia mente, Elminster, per quanto tu sia il benvenuto, se vorrai tentare. La libertà è un fine lodevole per ogni essere senziente.»

La terra tremò ancora, e una fiamma si levò sopra le loro teste, per bruciare un diavoletto urlante. Il sorriso di Nergal si fece più ampio mentre ritraeva il lungo tentacolo… e il tremolio delle rocce sotto i piedi bollenti di Elminster fece barcollare e quasi cadere il povero mago.

«Lodevole», esclamò malignamente il demone, «ma impossibile, direi. Sai, ho trascorso molto tempo a osservare le tue imprese, Vecchio Barbuto, e so bene come usarti. Oh, sì.»

I tentacoli si agitarono improvvisamente attorno alle spalle dell’arcidemone, come membra impazienti di un ragno gigante.

«Naturalmente, tenterai di scappare, forse persino di farmi del male. Ma i tuoi fallimenti non cambieranno il tuo tormento… perché di fallimenti si tratterà.»

I tentacoli si protesero quasi con indolenza, e il sorriso diabolico si ampliò ulteriormente.

«Vedi, mago: ora sei il mio piccolo paggio.»

E, sempre col sorriso stampato sulla faccia, Nergal allungò un tentacolo e strappò il braccio destro di Elminster.

2.

La calda pietà di un demone

Nulla è più importante del dolore: esso brucia e corrode la vita, attirando su di sé ogni attenzione, gettando persino gli arcimaghi nella disperazione più nera.

Quel particolare arcimago non era consapevole che della sua sofferenza. Elminster si rendeva conto che stava barcollando e cercava vanamente di stringere forte la spalla ferita e bruciante, mentre i tentacoli lo schiaffeggiavano e lo spintonavano indolenti. A poco a poco si accorse di un’altra cosa. Le rocce tormentate di Averno si ergevano tutt’intorno, protese come dita nere di cadaveri verso il cielo rosso sangue. Qualcuno nelle vicinanze stava gridando… un urlo primitivo, rauco, infinito, una sirena d’agonia fra le risa concitate di Nergal.

Rocce affilate lacerarono i piedi di El. Il mago sentì appena quel dolore, dilaniato com’era da una sofferenza ben più profonda, che lo lasciò debole e nauseato. Poi, a poco a poco, divenne consapevole di un terzo fatto: le grida strazianti provenivano da lui stesso.

«La sanità mentale», commentò noncurante l’arcidemone, «dura più a lungo quand’è permessa qualche forma di vocalizzazione. Talora viene sopravvalutata in molti schiavi di minor valore, ma a me serve che tu la mantenga un po’ più a lungo. Perciò canta». I tentacoli s’agitarono e s’insinuarono, indagatori, sotto la pelle umana…

El s’irrigidì, tentando in un certo qual modo di gridare più forte, mentre artigli di dolore gli trafiggevano il corpo. Il suo urlo si spense però quando iniziò a soffocare nel sangue che fuoriusciva dal suo stomaco lacerato.

«Nemmeno un coltello lanciato in segno di sfida?» lo schernì Nergal. «Neanche un piccolo incantesimo per farmi ruttare? Dov’è finita la tua potente magia!»

Elminster cadde in ginocchio, ma scoprì che i tentacoli che gli avvolgevano le gambe lo trattenevano in posizione semi-eretta, il corpo scomposto, massacrato, sollevato a mezz’aria, sopra le rocce. I tentacoli strinsero nuovamente e il braccio restante del mago si spezzò in tre punti.

Ossa seghettate spuntarono dalla carne, mentre il braccio gli veniva torto selvaggiamente… ossa che si pararono davanti agli occhi vitrei del Vecchio Mago come coltelli gocciolanti di sangue, mentre il demone si divertiva ad agitarlo di qua e di là.

«Nemmeno un incantesimo piccolo piccolo? Nessuna magia dagli anelli per contrastarmi?» La beffa del demone fu accompagnata da un’altra fitta di dolore nauseante, mentre gli anelli dell’unica mano che rimaneva ad El venivano strappati via… insieme alle dita che li portavano. «Mi deludi, grande mago. Mi aspettavo di più. Molto di più.»

Elminster iniziò a vomitare e non vide il tentacolo che gli fracassò il naso, trasformandolo in una massa di brandelli sanguinanti, o quello che gli si avvinghiò al torace, squarciandogli la pelle come una lama di rasoio. Le ventose si attaccarono ad alcuni strumenti magici ammiccanti, che Mystra aveva lasciato nella sua carne numerosi secoli addietro. Questi emisero un bagliore accecante e fecero sibilare il demone di dolore e di paura prima che i tentacoli li afferrassero e li gettassero lontano.

Un’esplosione scosse le rocce sotto i piedi di El, poi un’altra ancora. Nergal scoppiò in una risata quasi di sollievo.

«Gingilli sotto la pelle… perbacco, eri proprio uno schiavo di valore. Dovrei essere lusingato d’intrattenere una persona tanto importante. Anche se è vecchia, debole e indifesa, e non merita quasi la fatica di darle tormento. Tremante come un lemure… e altrettanto divertente.»