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Non aveva però alcuna fretta di finire come una pozza di sangue annerito ravvivata da qualche fiamma. Alassra guardò le aspre cime intorno a sé e i demoni dalle ali di pipistrello appollaiati in fila sopra di esse.

«Asmodeus», gridò nell’aria vuota, «forse possiamo trattare. Tu mi dai l’uomo per cui sono venuta, vivo, incontaminato, illeso, e io ucciderò qualsiasi arcidemone vorrai eliminare dalla scena. Siamo d’accordo?».

Il suono che si propagò fra le rocce sotto i suoi piedi nudi e sanguinanti sembrò uno sbuffo possente e divertito. Quando raggiunse i picchi circostanti, centinaia di demoni si levarono contemporaneamente in volo, spaventati, sbattendo le ali in modo frenetico e disperdendosi in tutte le direzioni.

Sola nel paesaggio dell’Inferno, la Simbul radunò la sua magia e i suoi indumenti ancora una volta intorno a sé. «Beh», mormorò con una scrollata di spalle, mentre s’inginocchiava a raccogliere una scheggia contorta d’armatura, «se dovessi cambiare idea…».

* * *

OH! OH! UN’AMANTE TOSTA, PICCOLO VERME. TI DARÒ MOLTO PRESTO A UN ALTRO MIO NON-AMICO, NON APPENA AVRÒ ESAMINATO BENE QUESTI RICORDI INTERESSANTI…

[urla]

HAH! ORA NON TI DIVERTI PIÙ A PROVOCARMI, EH? FINALMENTE SONO VICINO A QUALCOSA CHE PREFERIRESTI NON DARMI? CARO, CARO…

[scroscio sonoro di risate diaboliche]

18.

L’Inferno in tumulto

Lo spinagon cadde dalla rupe, la testa ridotta a un guscio vuoto e bruciato. Un filo di fumo usciva dalle cavità che fino a poco prima contenevano gli occhi. Nergal non voleva lasciare tracce che conducessero a lui, e il lavoro della sua spia forzata era terminato.

Aveva visto un demone degli abissi che non era tale sfrecciare come una palla di fuoco nero, le ali raccolte, inutilizzate. La Simbul aveva nascosto accuratamente la sua armatura di spade roteanti, ma non si era curata del fatto che ci fosse qualcosa di strano nella forma che aveva assunto. Finché gli abishai di passaggio si astenevano dall’attaccare un demone degli abissi che per qualche motivo non era tale, per lei non faceva differenza.

La maga si stava apprestando a colpire Harhoring, il mostro reietto che aveva involontariamente ricevuto quel fardello indesiderato che era diventato Elminster. Nergal aveva costretto il prigioniero ad assumere la forma di un femore di demone annerito, per meglio nascondere il mago nell’immensa cava d’ossa che Harhoring chiamava casa. Il futuro Signore di tutto l’Inferno non desiderava affatto che il Signore delle Ossa notasse il regalo mentre lui era ancora legato a Elminster mentalmente.

Con un ringhio, Nergal si domandò, e non per la prima volta, perché stesse perdendo tempo a cercare di sottrarre ricordi utili al mago. El gli aveva puntualmente mostrato inutili cortesie prestate a sconosciuti, invece dei segreti per esercitare grande magia. Quell’umano aveva forse una scorta infinita di futili ricordi?

Per quanto tempo un mortale poteva prendersi gioco di un demone?

Per tre volte, ormai, Nergal aveva tentato con ogni mezzo di carpire un ricordo, uno qualsiasi, in cui Elminster operava un incantesimo, insegnava o riceveva insegnamenti magici, accumulava o nascondeva oggetti incantati. La mente dell’umano si era sbriciolata, sì, collassata come doveva di fronte alla sua furia, eppure, in qualche modo, quand’egli cessava di caricare, sicuro di poter finalmente afferrare qualcosa, si ritrovava ancora una volta a mani vuote. Come diavolo faceva l’umano? Era debole nel corpo, non possedeva magia nascosta, eccetto il fuoco argenteo latente da qualche parte dentro di lui, era stato devastato e guarito ormai numerose volte, e si era trasformato involontariamente ancor più spesso… e ancora lottava, argutamente, nelle profondità di quella stessa mente che Nergal stava saccheggiando. Ogni ricordo consegnatogli andava perduto per l’uomo, ciononostante scherzava, faceva commenti sarcastici ed era ancora sano di mente.

Sano per quanto un arcidemone potesse giudicare…

Per tutti i fuochi, non aveva nessuna intenzione di abbandonare l’impresa. Tutto quel lavoro per nulla. No, aveva deciso di dilaniare la mente di Elminster, ricordo dopo ricordo, per tutti i noiosi anni che il vecchio mago era riuscito a vivere, e di scovare quella magia. La magia che avrebbe finalmente reso Nergal un signore dell’Inferno.

Che la Simbul uccidesse pure i suoi rivali, l’uno dopo l’altro, mentre un nuovo verme mentale frugava nella mente del suo amato. La maga avrebbe dovuto lavorare sodo per salvare un involucro bavoso e ormai privo di valore.

Nergal pronunciò attentamente l’incantesimo, lasciando che il vecchio si sgretolasse un istante prima d’iniziare. Doveva trovare Elminster al primo colpo, senza che la regina di Aglarond o Harhoring se ne accorgessero.

Tirò un profondo sospiro di sollievo quando l’oscurità familiare delle stanze a volta apparve ancora nella sua testa. Era di nuovo nella mente di Elminster, ma non si accorse che il suo ospite aveva usato il fuoco argenteo per tentare freneticamente di guarire nel breve tempo in cui il demone aveva abbandonato il suo cervello. Perlomeno fisicamente, El era di nuovo intero, seppur debole e stanco.

SALVE ELMINSTER, ARCIMAGO DI SHADOWDALE, pensò con tono beffardo.

Salve Nergal, Signore dell’Inferno, rispose El con altrettanto scherno.

La rabbia s’impossessò come fuoco ardente dell’arcidemone tentacolato, ma questi la soffocò truce e s’insinuò più in profondità nella mente dell’umano, con la delicatezza di un amante che accarezza, non con la furia di un saccheggiatore intenzionato a razziare e a distruggere.

RICOMINCIAMO DACCAPO, PICCOLO MAIALE DI UN UMANO.

[frustata mentale, dolore, ghigno diabolico e selvaggio, immagini nitide lacerate, scaraventate da parte da artigli che scavano, scatenati]

AHA! CHE ABBIAMO QUI?

[immagini che giungono]

Gli occhi del cancelliere erano neri e scintillanti. Quando le si scagliò contro, sembrava uno dei corvi dei merli.

«Abbiamo udito fin troppe menzogne dalle vostre labbra, mia signora», affermò freddo. «Ditemi la verità, e in fretta, o potrei decidere di non perdere mai più tempo con voi.»

Improvvisamente le dita dell’uomo s’infilarono tra i suoi capelli e trascinarono Silaril in ginocchio, con violenza. Gli anelli del cancelliere erano freddi a contatto con la sua guancia, poi questi estrasse rumorosamente la spada dal fodero.

«Ne ho abbastanza delle vostre parole contorte, “signora”. Ho mostrato fin troppa pazienza.»

L’acciaio punzecchiò la gola di Silaril. La donna si impose di rimanere in silenzio, il volto immobile, ma non poté fermare il movimento del suo petto, che si sollevava e si abbassava sfiorando il braccio che la teneva prigioniera.

Il cancelliere era consapevole della paura della donna e le sue labbra si allargarono in un sorriso lento e glaciale. «Ora la tua bella bocca mi dirà la verità. Se rifiuti, o dici il falso, il tuo corpo assaggerà un po’ della verità di questa spada. La mia pazienza è terminata.»

ORA, CHE DIAMINE È QUESTO, MI DOMANDO? PECCATO CHE IL RESTO SIA ANDATO PERDUTO! NOI ARCIDEMONI SIAMO COSÌ POTENTI, SAI, CHE PERSINO QUANDO TENTIAMO DI STARE ATTENTI, LE COSE FINISCONO PER ROMPERSI. COSE COME, AD ESEMPIO, I MAGHI UMANI SFACCIATI.

Capisco il tuo essere maldestro, Nergal. Hai in mente qualcosa in particolare che vorresti vedere?

NO, MAGO, HO PERMESSO CHE MI GUIDASSI ABBASTANZA A LUNGO. PERALTRO, MI HAI CONDOTTO SU UNA STRADA PIACEVOLE, LUNGA E INUTILE. CREDO CHE ORA GUARDERÒ DOVE VORRÒ, SENZA LA TUA GUIDA, E FORSE RIUSCIRÒ A TROVARE CIÒ CHE CERCO SENZA LE CHIACCHIERE PRESUNTUOSE DI UN UMANO LA CUI VITA È APPESA A UN FILO SOTTILISSIMO.