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IL DIVERTIMENTO PUÒ ATTENDERE. NON TI PERMETTERÒ DI TRASCINARMI NEI VICOLI SECONDARI DELLA TUA MENTE. MI HAI QUASI INGANNATO, UMANO… QUASI. RESTA BUONO E ZITTO. ME NE ANDRÒ DI NUOVO A FRUGARE.

[Una nuvola di immagini vorticanti esplode in cascate scintillanti e si dissolve… e da essa viene estratta una scena, che si svolge luminosa]

Il Re di Cormyr, in piedi sul campo di battaglia, scosse lievemente il capo, le labbra increspate e il volto truce. «Il mio sentiero si apre chiaro davanti a me», affermò, rivolto all’uomo che gli stava accanto. «Quella strada diritta e stretta porta alla tomba.»

Il Mago Reale di Cormyr emise un educato colpo di tosse e osservò: «Mio re, il sentiero che vedete è quello di ogni uomo. I re hanno semplicemente modo di ignorare il proprio destino più a lungo di altri. Grazie alle distrazioni di cose più affascinanti».

«Ah», mormorò Azoun sollevando la spada, «capisco. Eserciti invasori, draghi che sollevano i tetti delle fortezze, incantesimi mortali che cadono dal cielo con artigli affilati… questo genere di “cose affascinanti”?».

Vangerdahast annuì. «Sì, insieme alle pitture di molti soffitti di boudoir», affermò guardandosi le unghie con aria innocente.

Se l’occhiata che Azoun gli lanciò fosse stata un po’ più pungente, la vita del mago reale sarebbe terminata all’istante.

D’altra parte - rifletté quest’ultimo quando i loro sguardi s’incontrarono - come del resto avrebbe ritenuto Elminster, lui aveva scelto la strada della codardia.

SEI STATO IL SUO TUTORE, VERO? MI DOMANDO CHI, A PARTE LA TUA CARA DEA, NATURALMENTE, TI ABBIA INSEGNATO LA MAGIA? TI VA DI CONDIVIDERE ALCUNI DI QUEI RICORDI?

Se insisti, perché naturalmente…

NO! NO, MAGO! RIMANI SEDUTO TRANQUILLO, TROVERÒ IO LA STRADA. MI RISPARMIERÒ ARRABBIATURE, E TU TANTO DOLORE. CAPITO?

Come desideri, demone.

[soddisfazione diabolica, immagini che balenano confuse, per poi vorticare oltre]

«La vita», affermò l’arcimago, «è come una larva che si contorce… non è vero?»

[perplessità] È TUTTO CIÒ CHE NE È RIMASTO? CHI ERA QUELLO? ELMINSTER?

No, Nergal, era un altro vecchio mago arrogante, non io.

LO SO, IDIOTA! TI STAVO CHIAMANDO AFFINCHÉ MI RISPONDESSI!

Ah. Beh, io me ne stavo seduto e buono, lasciando che trovassi la tua strada.

[grugnito di collera] IO TI DISTRUGGO, GRACILE UMANO!

L’hai già fatto, e non mi sembri soddisfatto del risultato. Con tanta poca determinazione, Nergal, come potrai salire sul trono dell’Inferno?

NON FARTI BEFFE DI ME, ELMINSTER, A MENO CHE TU NON VOGLIA TRASCORRERE L’ETERNITÀ NEL TORMENTO.

Per molti aspetti, demone, è quello che sto facendo. Riflettici, e arrabbiati meno.

[ringhio, frustata mentale, fulmini esplosivi, urla strazianti d’agonia, soddisfazione diabolica, immagini che turbinano come brace luminosa scagliata da un fuoco ruggente]

«Sacri… hobgoblin… danzanti», mormorò Asper lentamente, la voce tremante.

E CHI O CHE COS’ERA QUELLO? EL… OH, NON IMPORTA.

TE LA FARÒ PAGARE PER QUESTO, UMANO. LO GIURO SU…

OHO! INIZIA!

* * *

Due corna alte come uomini trafissero il cielo rosso sangue. Le loro punte crudeli, lievemente curve l’una verso l’altra, erano adorne di teschi di spinagon anneriti. La testa che le portava sarebbe potuta appartenere a una capra gigantesca, e i suoi occhi grandi, penetranti e luccicanti, erano indizio di un’intelligenza sveglia e crudele. Era un peccato che il volto di Harhoring fosse anche permanentemente segnato dal dolore procuratogli dalla Maledizione di Asmodeus.

All’Inferno non era raro che qualcuno cadesse in disgrazia al cospetto del Signore degli Abissi, ma pochi ne portavano il segno sotto forma di tormento costante e attivo. Il Cornuto era l’unica di tali vittime che fosse in grado di muoversi e di aspirare al più piccolo straccio di libertà, malgrado fosse una libertà minata dal dolore, voluto da Asmodeus come monito perpetuo.

Vermi che Harhoring non poteva uccidere, poiché erano fatti delle sue stesse viscere, lo divoravano senza fine, strisciando dentro e fuori dal suo ventre gonfio. Rigagnoli di sangue e di fluidi nauseanti gocciolavano incessantemente dalle ferite che questi gli causavano. Gli stessi artigli e incantesimi del mostro trapassavano i vermi maledetti come fossero fumo.

Solo demoni comandati e bestie catturate potevano colpire i parassiti e rallentare il logoramento che giorno dopo giorno indeboliva Harhoring. Per così dire, solo un considerevole nutrimento e una raccolta frenetica di magia da parte del demone-capra lo mantenevano in vita. Questi sapeva che Asmodeus lo guardava e gongolava, perciò di rado placava, e solo lievemente, la sua ferocia.

Proprio in quell’istante Harhoring si stava godendo uno dei «rari» momenti di soddisfazione: appollaiato su un pinnacolo reso viscido dal proprio sangue, stava azzannando avidamente le costole di un drago che, con la magia, aveva costretto a schiantarsi a tutta velocità sul fianco della montagna. Tre volte aveva dovuto combattere i demoni degli abissi venuti a reclamarne il cuore o il cervello, e aveva ormai rinunciato a scacciare spinagon e abishai dai bocconi sanguinolenti di carne di drago e dalle squame erranti.

Quello era il primo lauto pasto che si godeva dopo giorni, ma il demone cornuto s’aspettava molto presto d’essere interrotto. L’impossibilità di spostare l’enorme carcassa del drago lo costringeva a rimanere in un punto e a mangiare dove si trovava, il che significava essere facile preda dei nemici. Harhoring aveva preparato qualche magia e, mentre mangiava, teneva gli occhi ben aperti. All’Inferno gli errori erano lussi che pochi potevano concedersi.

Ecco! Qualcosa si avvicinava rapidamente, avanzando senza alcun tentativo di nascondersi o di usare scaltrezza, lanciato nel cielo di Averno come un fulmine scuro e silenzioso di carne di demone…

Harhoring aveva occhi di lince, e in quel momento li usò. Era un nemico sconosciuto, o un vecchio rivale che indossava un travestimento mai visto prima. Sembrava un demone degli abissi, ma volava con le ah ripiegate all’indietro, come fosse un dardo scoccato da un arco. Anche il suo corpo aveva qualcosa di strano, era come se fosse contornato da numerose minuscole gambe, che vorticavano costantemente…

Harhoring salutò il nemico in avvicinamento con un sorriso dentato, decorato da un pezzo di drago crudo e sanguinante, e scagliò il suo primo incantesimo.

Artigli d’acido sferzarono l’aria. Il reticolo di morte gocciolante sfrigolò e sputò quando il nemico lo colpì. Qualche brandello d’armatura parve trattenere l’energia e, dopo che l’acido l’ebbe consumato, precipitò al suolo.

Il nemico sembrava essere una donna umana, avvolta più nei suoi capelli che in qualsiasi altro indumento. Erano lunghi e mossi, come i tentacoli di un calamaro a caccia di prede, e recavano bacchette, anelli e altri oggetti magici… e li puntavano persino!

Il secondo incantesimo di Harhoring la colpì in faccia. La magia generò stelle dalle lunghe spine che si agitavano in tutte le direzioni, poi le fece esplodere, scagliandone i proiettili mortali. La donna seminuda si dibatté nel suo stesso sangue, costellata da decine di spine simili a giavellotti, e iniziò a precipitare…

Fuochi dell’Abisso! Sarebbe caduta dritta nelle viscere ancora fumanti del drago! E se fosse sopravvissuta e si fosse difesa… che cosa sarebbe rimasto del pranzo di Harhoring?

Un po’ allarmato, ma con gioia selvaggia, il demone cornuto lanciò un uncino di sangue magico e tirò forte. L’incantesimo avrebbe agganciato l’umana, dilaniandola, e l’avrebbe portata ai suoi piedi.

L’uncino colpì il bersaglio: la donna gettò la testa all’indietro, la carne del collo esposta, e urlò il suo dolore al cielo tinto di rosso. Poi sembrò attraversare con un balzo lo spazio che li separava, a un certo punto cadde in picchiata e sul suo volto comparve un ghigno simile a quello di Harhoring.