La creatura scura che sguazzava nel lago non aveva notato il suo arrivo. Era troppo occupata a tessere un incantesimo di sua invenzione.
Si trattava di una sfera sospesa, fatta di bagliori brillanti in continuo mutamento e di piccoli campanelli. Nelle sue profondità sagome scure tremolarono e si ruppero, per poi dar vita a fili di fumo.
La creatura sibilò irritata. Aggrottò la fronte e alimentò la magia con ulteriore potere attraverso i suoi lunghi artigli ricurvi. «Lavora per Malachlabra», mormorò con ferocia, scrutando le profondità della sfera. «Mostrami il mago umano, non la mia caverna!»
Un tuono echeggiò lungo i cunicoli di pietra che conducevano al lago. Negli occhi giallognoli del demone si accesero fiamme rosse di rabbia. Malachlabra sollevò la testa e guardò attentamente il cunicolo che aveva usato per raggiungere quel luogo segreto: era disseminato delle ossa rosicchiate del drago che aveva creduto di aver trovato una bella tana lì dentro.
Il rumore si affievolì e non ricomparve. Con un grugnito la figlia di Dispater si mosse nel sangue fumante del lago e si girò, schiaffeggiando oziosamente il liquido scuro con le tre code serpentine. Poi scrutò in maniera ancora più attenta nelle profondità della sfera magica.
Alcune ombre vi turbinarono nel mezzo; ancora una volta le stava mostrando le rocce frastagliate, acqua rossa e fumante, con una sagoma lunga e sinuosa, color ossidiana che si crogiolava nella piscina e guardava in una…
La magia esplose con una pioggia di scintille, come fanno tali incantesimi quando vengono rivolti direttamente sulla propria persona. Malachlabra, Duchessa dell’Inferno e figlia di Dispater, indietreggiò con un ringhio.
«I miei incantesimi sono tanto deboli? O c’è qualcosa che altera la mia magia? La sfera ha sempre funzionato finora!»
Le ali di pipistrello si spiegarono una volta, mentre il demone si stirava irrequieto. Un corpo liscio, color ossidiana, si sollevò dal sangue caldo della piscina. Il liquido rosso e denso le colò dai seni alti e discese lungo il torso, sin là dove le code serpentine si riunivano a formare un’ampia pelvi. Malachlabra aveva un corpo femminile prosperoso, per quanto il suo collo serpentino e ondulato sarebbe risultato grottescamente lungo per una donna umana. Le due corna che spuntavano dalle tempie, invece, di umano non avevano proprio nulla. La sua lingua biforcuta sibilò pensierosa fra le labbra e guizzò in avanti per saggiare l’aria, mentre rifletteva su come tornare da Nergal.
Nergal il bruto, stupido e troppo fiducioso del suo potere e della sua intelligenza. Nergal la spia, sempre pronto a impicciarsi degli affari altrui, per potersi avventare scaltramente su questo e da manipolare quell’altro. Nergal che si credeva il successore legittimo del Temuto Asmodeus in persona! Beh, lei lo avrebbe…
La cosa piombò su Malachlabra dall’imboccatura del cunicolo senza alcun avvertimento. Era a pochi passi di distanza quando esplose in una dozzina di lampi blu brillanti di magia.
Il demone serpente non ebbe nemmeno il tempo di tentare di vedere chi avesse scagliato quei fulmini, poiché ne venne trafitta, causandole un dolore freddo e tagliente. Un altro incantesimo sollevò alcune rocce dietro la creatura e gliele gettò addosso, spingendola nel lago a faccia all’ingiù.
Malachlabra frustò disperatamente l’aria con le sue tre code, colpendo forte il vuoto, poi fu ricompensata con un impatto violento e sordo.
Fuochi di Nessus, che dolore intenso! Tremante, il demone riemerse con gli artigli pronti, in cerca di…
Tutto fuorché ciò che vide: una maga umana con due grezze ali da pipistrello ripiegate attorno al corpo, in piedi fra le rocce insanguinate. Le sue mani si agitavano compiendo gesti complicati. «Lo sento!» sibilò la donna, gli occhi scintillanti. «Che cosa gli hai fatto, demone?»
L’intrusa non attese risposta. L’incantesimo che aveva elaborato esplose in un’altra raffica di fulmini blu, che si riversarono su Malachlabra.
Urlante, in mezzo al fuoco bianco, la figlia di Dispater si contorse e s’inarcò. Lottò per eseguire un incantesimo e singhiozzò insolitamente di dolore quando questo le riuscì… portandola da un’altra parte.
In pochi istanti si ritrovò sulla superficie di Averno, fumante e brulicante di spinagon, non lontano dalla caverna dalla quale era fuggita. Rabbrividendo, mise da parte odio e dolore e cercò di pensare al modo migliore per distruggere quella formidabile nemica. Come aveva fatto l’umana a raggiungerla…?
La terza raffica di proiettili magici scagliò il demone serpente con la faccia sulle rocce; Malachlabra cercò di aggrapparsi alla vita e di rimanere cosciente attraverso una densa foschia rossa.
«Non avevamo ancora finito, demone», esclamò la voce rabbiosa dell’umana alle sue spalle. «O almeno io non avevo finito.»
La spada che trapassò la base del cranio di Malachlabra era molto fredda e dura. Scivolò dentro di lei e le uscì dal naso prima che il demone potesse emettere un solo grido, inchiodandole le mascelle semiaperte, e generando una scintilla da una pietra davanti a lei.
Chiamando a raccolta tutta la sua volontà e il suo potere, il demone gettò la sua consapevolezza dentro a quella scintilla e la spinse lontano…
«Muori, demone!» sibilò Alassra Silverhand.
La spada incantata le si sciolse fra le mani, lasciandole soltanto un dolore lancinante. La maga balzò all’indietro quando le fiamme si levarono in una colonna tuonante, che scuoteva il terreno pietroso. Il calore costrinse la regina ad allontanarsi ulteriormente.
Il corpo molle del demone serpente si contorse avvizzito al centro della colonna. Poi si rimpicciolì e svanì.
Un’altra colonna di fuoco avvampò dietro la maga, sciogliendole la punta di un’ala. La Simbul rimase a bocca aperta per il dolore, dopodiché si voltò ad affrontare quel nuovo pericolo e mormorò in fretta le parole che avrebbero fatto scomparire le ali.
«Solleva lo sguardo, umana, prima di morire», comandò una voce fredda.
Per una volta la regina di Aglarond obbedì.
Un demone degli abissi, più grande di qualsiasi altro lei avesse mai visto, stava sospeso nell’aria rossa, fiancheggiato da altri due. In lontananza, stormi di erinni si stavano avvicinando in volo. Sulle rocce circostanti si verificarono varie esplosioni e apparvero i demoni spinati chiamati a raccolta, che iniziarono ad avanzare verso di lei con ghigno crudele. Uno di essi sembrava in difficoltà, in preda a convulsioni, e a mano a mano che s’avvicinava le sue dimensioni aumentavano. Le gambe si trasformarono in tre code serpentine e il corpo si allungò e acquisì fattezze aggraziate…
Un’altra colonna di fuoco comparve all’improvviso e ruggì rivolta verso il cielo, accerchiando la Simbul. Sul margine della valle nella quale si trovava apparve un esercito pallido e luccicante: un mare mugugnante di creature polpose, informi, dagli occhi sporgenti: erano lemuri, i senza mente, i rifiuti viventi dell’Inferno, simili a larve. Sui loro volti vuoti si leggeva il terrore, nei loro occhi c’era solo oscurità, mentre si dirigevano verso di lei con braccia informi. Diverse fruste schioccarono sui loro corpi e gli abishai sorveglianti guardarono avidamente l’umana solitaria al centro delle fiamme.
Lentamente, le ali della Simbul svanirono con una sorta di gemito. La maga s’inginocchiò sulle rocce dure, incrociando i polsi in un gesto di resa e di schiavitù.
«Bene, bene», mormorò il demone degli abissi, «è più facile di quanto non pensassi. Rimani dove sei, umana, mentre vengo a incatenarti».
Scintille minuscole scaturirono fra i polsi della Simbul, là dove due squame metalliche incastonate sotto la pelle si toccarono: così aveva trasformato i suoi bracciali dopo aver distrutto Tasnya, e vi aveva trasferito gli ultimi incantesimi dei suoi indumenti bruciacchiati. Adesso era giunto il momento di evocare i loro veri poteri, una delle magie più potenti che avesse mai creato.