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Ah, eccolo. Demone, goditi lo spettacolo.

Fiamme argentee e oscurità che avanzano, come manti gettati da onde pigre dalle quali il sole è fuggito…

CHE COSA?

Elminster percepì lo stupore nella mente di Nergal… no, confusione.

Confusione. Già, confondilo sulle questioni di magia, di fuoco argenteo e della stessa Mystra… Mystra, ecco: tre brandelli di memoria divina penetrati nella sua testa in un momento di passione condivisa. Ricordi di Khelben e di fiamme argentee.

Argento ruggente e vorace…

SÌ. FUOCO ARGENTEO! I MISTERI DEL FUOCO ARGENTEO! RIVELAMELI, ELMINSTER AUMAR! SVELAMI TUTTO!

L’oscurità si sollevò come le grandi vesti nere e fluttuanti del Signore Mago di Waterdeep, agitate dal vento nella sua scia. Egli si levò come una cornacchia goffa sopra le guglie, le torrette e i tetti delle case di quella fiera città, la barba brizzolata increspata dal vento. Gli occhi scuri erano duri come punte di pugnale mentre perlustravano il mondo sottostante alla ricerca di un altro bagliore di magia usato impropriamente…

Scrollando le spalle, si precipitò come un dardo vendicativo verso una torretta familiare: la Torre di Blackstaff. Laggiù lo attendeva Laeral, negli occhi una luce che scintillava solo per lui…

Venne un’altra notte, anni più tardi…

Khelben e Laeral giacevano a letto insieme, in quel di Waterdeep, e discutevano pacatamente, abbracciati, delle azioni del giorno e dei piani futuri. Sopra di loro le stelle del cielo d’estate. Il Signore Mago di Waterdeep aveva pochi capricci, ma uno di questi era il soffitto a volta della camera da letto, che scintillava di migliaia di stelle e rispecchiava il firmamento anche quando la nebbia, la neve o le nuvole nascondevano alla vista il cielo vero.

Entrambi erano agitati quella notte, infastiditi da pruriti e formicola in ogni parte del corpo. Khelben aggrottò le sopracciglia dopo un attacco particolarmente violento di prurito. Entrambi sbuffarono, irritati, e si grattarono furiosamente.

«Stasera si muove molto potere», affermò il mago, lo sguardo fisso nell’oscurità. «Il potere di Mystra… o almeno l’Arte che la riguarda. Che cosa ne pensi?»

«Sta accadendo qualcosa alla nostra Signora, ne sono certa», rispose Laeral. «Guardaci.» Gli prese la mano e la strinse fra le sue. Nel buio, entrambe le braccia nude ardevano di un bagliore blu evanescente. Mentre lo osservavano questo sembrò pulsare, aumentare d’intensità, per poi affievolirsi e brillare nuovamente. L’agitazione dentro di loro rispecchiava quei cambiamenti.

«Dovremmo forse provare a parlare con la Signora!»

Khelben si mostrava raramente indeciso, ma in quel momento era perplesso e incerto. La moglie scosse il capo, e i lunghi capelli s’agitarono attorno alle sue spalle, mossi dall’Arte che si stava risvegliando in lei.

«No», rispose, «rischiamo di disturbare la sua volontà in un momento pericoloso. Ci toccherà, se dovesse aver bisogno di noi».

La donna increspò le labbra e volse la testa di lato, rivolgendogli uno sguardo pensieroso. «E se contattassimo le mie sorelle o Elminster!»

Khelben scollò le spalle. «Forse è una buona idea. Senza dubbio sentono ciò che sentiamo noi e sanno qualcosa di più. Ma può essere rischioso se siamo collegati quando la Signora invoca il nostro potere, o se invia il suo dentro di noi. Non so che fare… Mai prima d’ora ho percepito un simile… tumulto dell’Arte.»

«Nemmeno io», convenne Laeral a bassa voce, e lo tirò a sé in un abbraccio stretto. Rimasero in attesa, abbracciati sotto le stelle come due bambini spauriti, rannicchiati per il freddo.

Talora anche gli arcimaghi non possono far altro che attendere.

Fuoco argenteo danzante, in un piccolo cerchio nell’oscurità, sopra uno stagno tranquillo, in un bosco dove nessun uomo ha mai messo piede…

SMETTILA DI PRENDERTI GIOCO DI ME, UMANO! La rabbia nella voce mentale di Nergal era più forte della sua perplessità. COME FAI A MOSTRARMI RICORDI CHE NON POSSONO ESSERE TUOI?

Pensieri diabolici imperversarono, oscuri e furiosi.

COME FAI A SAPERE QUESTE COSE?

La paura risuonò come acciaio freddo dai pensieri convulsi di Nergal. Un attimo dopo l’arcidemone stava scavando nella mente di El come un drago che si avventa sulla preda, incurante del caos che lascia dietro di sé. Passaggi a volta scricchiolarono, e soffitti crollarono…

DIMMI, MAGO! LA TUA LINGUA POTREBBE MENTIRE, PERCIÒ SE N’È ANDATA, MA ORA NON PUOI NASCONDERTI DA ME O INGANNARMI! PERCIÒ RACCONTA!

Quando Nergal sopraggiunse, tutto si colorò di rosso sangue ed esplosero fulmini luminosi. El era vagamente consapevole di vomitare sangue sulle pietre sopra le quali strisciava, nella sua mente l’immagine intermittente del drago all’attacco, offuscata dal dolore.

Il dolore. El vi si tuffò dentro, affondando con sollievo come fosse acqua refrigerante, sempre più in fondo.

Il drago veniva per lui, protendeva gli artigli, teneva le fauci spalancate…

E sprofondò nei suoi ricordi, gridando parole senza senso, come fosse diventato pazzo, proteggendosi con un’armatura fatta delle sue stesse urla…

NON IMPAZZIRE, MAGO! NON OSARE!

Elminster sogghignò fra sé, in mezzo alle sue grida selvagge. Non devo osare, eh? Altrimenti?

Gli venne in mente un confuso bisticcio di parole di un altro mondo, simile a un barlume luccicante. Il Vecchio Mago lo strinse a sé, mentre ruzzolava sempre più in fondo, il drago tuonante alle calcagna.

Solo uno di noi uscirà vivo di qui, e non sarò io!

3.

Il giorno in cui la magia morì

Una fiamma ondeggiava sopra il tavolo della cucina della Torre di Elminster, a Shadowdale, fra due maghe accigliate e tremanti per la concentrazione.

La fiamma si nutriva di sola aria. Di colore blu vivido con screziature porpora e, talora, verdi, il fuoco sembrava volersi estinguere nonostante tutti gli sforzi della Simbul e di Jhessail… entrambe protese sul tavolo, le guance e il mento rigati di sudore. Fra la regina di Aglarond e la signora Cavaliere di Myth Drannor, la cui Arte era molto meno potente, l’aria sembrava crepitare di magia. Nelle vicinanze il Bardo di Shadowdale sedeva tranquillo, lo sguardo fisso sulla fiamma che prediceva il futuro. Lo scrivano di Elminster, Lhaeo, osservava in un angolo della stanza, una teiera ormai fredda dimenticata fra le mani. L’uomo non riuscì a soffocare un lungo sospiro di sollievo quando la signora bardo s’illuminò. Senza distogliere gli occhi dalla fiamma, Storm Silverhand annunciò: «Eccola… sì, è Sharantyr, sta ridendo e inseguendo qualcuno».

Jhessail si accigliò. «Ridendo e…? A chi mai potrebbe dare la caccia ridendo?»

«A Elminster», esclamarono all’unisono Lhaeo e la Simbul con tono pacato, assumendo la medesima espressione sagace. Al loro tono Jhessail sputacchiò divertita e il suo gesto fece ridere tutti; si udì anche una risatina spettrale provenire dall’aria vuota fra Storm e la Simbuclass="underline" la sorella spettrale Syluné.

Storm perse il contatto nell’ilarità generale. Allargò le braccia impotente mentre la fiamma esplodeva in una nuvola di scintille ammiccanti, di colore blu e porpora, che alla fine si dissolsero nel nulla. Scosse il capo, sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, massaggiandosi le tempie con dita stanche.

«Brave, voi due», esclamò, «considerando l’attuale inaffidabilità dell’Arte…»

«Noi tre», la corresse la Simbul. «Syluné ha fornito la concentrazione».

Storm sorrise sentendo un paio di labbra fredde sulla guancia. «I miei ringraziamenti, Sorella», affermò rivolta all’aria.

«Dov’erano!» chiese Jhessail, sporgendosi per avvicinare a sé una bottiglia.