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«I vecchi modi risvegliano in me l’irrequietezza. La Tela si agita, e altra magia striscia intorno e dentro Toril. lo non sono la vecchia Mystra. lo ti sono grata per ciò che hai fatto per me e per colei che è venuta prima di me e, quando il pericolo sembra incombere su di te, lei si risveglia dentro di me, e io ti desidero e corro a proteggerti e ti considero il più prezioso di tutti. Desidero che tu sia sempre il mio servo fidato e più di questo, mio amico. Tuttavia vedo quanto sei diventato confuso al servizio di Mystra, nel corso dei secoli. Fidarmi di te mi riesce difficile. Sarebbe più semplice, credo, se ti privassi di tutti i grandi segreti che serbi, di tutte le memorie del mio potere. Nessuno potrà apprenderle da te nei tempi a venire, e io non mi sentirò giudicata in maniera negativa. Io… io devo farlo.»

Scese il silenzio per un momento, interrotto solo dal sibilo del vento. Lei parlò ancora, ansiosa come una madre che sa di aver ferito con le sue parole un figlio prediletto. «Come ti senti ora che ti ho detto tutto!»

Elminster fissò il cielo notturno davanti a sé e affermò: «Un po’ triste. Sollevato più che altro. Non sono arrabbiato, né restio. Giurai di servire Mystra molto, molto tempo fa, quando avrei potuto diventare re di Athalantar. Non sono nulla se spezzo il giuramento. Ho avuto secoli e secoli per assaggiare, odorare, vedere e fare più cose di molti umani, e non rimpiango nulla. Se le tue necessità o persino il tuo capriccio dovessero estinguere la mia esistenza in un istante, o tramutarmi in pietra per il resto dei secoli, sarò contento. Se riprenderti i ricordi ti rallegra, sarò lieto di accontentarti. Farò qualsiasi cosa desideri, con entusiasmo, e con amore».

Elminster sorrise. «Fai di me quello che ritieni meglio, Lady. L’hai sempre fatto.»

Mai prima d’allora aveva udito piangere uno sciame di granelli di luce incantati, ma del resto, gran parte dei maghi non vivono mai tale esperienza.

NOTA

1 Mezzanotte è uno dei personaggi principali della Trilogia di Avatara.

20.

Preghiere e complotti

Nergal il Potente non era affatto contento. Continuava a misurare, irrequieto, le ombre sotto il suo strapiombo favorito, domandandosi dove l’avrebbe condotto questa volta il suo giocattolo umano. La dea gli aveva detto che avrebbe tolto dalla sua memoria tutto ciò che poteva essere utile ad arcidemoni bramosi? A che pro?

D’altra parte, a cosa servivano tutte quelle anziane nobildonne accoltellate nella città umana di Waterdeep? Quanta magia ci aveva guadagnato?

Dall’altra parte di Averno, in quella caverna, aveva recuperato magicamente l’umano. Non voleva che un esercito lo trovasse, tanto meno Malachlabra, sfuggita alla morte per un graffio di corno.

Elminster era di nuovo libero, di ruzzolare dove voleva… in quel momento, a quanto pareva, stava rotolando dal fianco roccioso e ripido di una collina. Sembrava si stesse nuovamente rigenerando, e Nergal lo stava tenendo d’occhio. Per quanto fingesse d’essere debole e impotente, l’umano stava ricorrendo al fuoco argenteo, ma Nergal non riusciva mai a coglierlo sul fatto.

Due abishai saltarono fuori da una fenditura, afferrarono uno spinagon in volo e lo divorarono. Con uno sbadiglio il demone reietto si voltò e ricominciò a camminare all’ombra della sporgenza.

Quel piccolo mago esasperante lo stava trascinando in un’altra lunga caccia mentale. Magia utile, un accidente! Stavolta, tuttavia, avrebbe seguito il tracciato dei suoi ricordi fino alla fine, tenace come un segugio dell’Inferno, per sorprendere il Vecchio Mago e, chissà, forse sarebbe riuscito, finalmente, a spezzarlo. Non gli rimaneva altra scelta; i suoi tentativi di frugare nella mente del mago senza che lui stesso gli facesse da guida erano falliti miseramente. La mente degli umani ricordava tanto un pozzo nero.

* * *

Le stelle ammiccavano lievi e incessanti sul soffitto sopra di lei; una creazione del mago, naturalmente. Un altro incantesimo che si era riproposta di chiedergli, ma di cui si era sempre scordata. Un’altra magia e un altro segreto che sarebbero andati perduti per sempre con lui, se fosse morto.

Stesa da sola sul letto rotondo, nella stanza più alta della Torre di Shadowdale, la Simbul fissò triste le stelle, tanto vicine sopra di lei, finché non si offuscarono nuovamente fra le sue lacrime.

«Mystra», sussurrò nell’oscurità, «preservalo! Oh, dea, se mi ami…!».

In qualche modo si ritrovò in ginocchio sul pavimento freddo acanto al letto, i logori tappetini di pelliccia gettati contro la parete. Due moccoli vecchi e spessi si ergevano dal pavimento, al quale si erano attaccati mediante la cera sciolta e rappresa… i resti di una preghiera fatta a Mystra tempo addietro. Elminster doveva essersi inginocchiato nudo fra esse, proprio come stava facendo lei in quel momento, per elevare la sua supplica alla dea.

Singhiozzando, Alassra Silverhand decise di riutilizzare le candele. Le accese con il più piccolo incantesimo e col fuoco della sua volontà. Mentre le fiammelle s’innalzavano, la donna si posizionò in modo che le sue lacrime cadessero su ognuna di esse, poi esclamò con ardore: «Madre Mystra, somma Signora di tutti coloro che operano magia, ascolta la mia preghiera, ti prego. Farò tutto ciò che comanderai, qualsiasi cosa, rinuncerò alla vita, all’Arte, al regno, alla salute, all’aspetto o all’intelletto, a qualunque cosa, se mi conferirai magia sufficiente per salvare Elminster. Oh, Mystra, ascoltami!».

D’un tratto, senza rumore né traccia di fumo, entrambe le candele si spensero. La peluria sottile del corpo della Simbul si rizzò quando un potere improvviso si risvegliò e fluì in lei. L’oscurità era illuminata soltanto da una fiamma blu, tremante, proveniente dalla sua bocca. Il suo respiro era in fiamme.

Guerriera delle Sette, esclamò la voce di Mystra dalle tenebre circostanti, sono qui, ho ascoltato il tuo grido d’aiuto. Ascolta bene ciò che entrambe dobbiamo fare…

* * *

Qualcosa si mosse fra le rocce e gli alberi rinsecchiti. I loro rami erano stati spezzati più volte per divertimento dai demoni di passaggio ed erano irti di spine.

Elminster era di nuovo intero, sebbene continuasse a strisciare con lentezza, acquattato, e a restare immobile ogniqualvolta un demone lo sorvolava. Si trovava in qualche punto di Averno, non sapeva dove… ma era lontano da qualsiasi cancello d’uscita dall’Inferno a lui noto. Quasi tutti si trovavano in fortezze imponenti e ben sorvegliate. Dei due situati nella periferia di Averno, uno sorgeva dietro a una cascata di sangue, da qualche parte nella Fenditura di Arlkan, l’altro in cima alla Guglia di Tabira, dove un tempo una erinni era stata impalata per disobbedienza e aveva chiesto pietà fino alla morte. Le sue ossa penzolavano ancora dalla roccia appuntita, e il cancello si apriva solo se qualcuno toccava una di esse e pronunciava le parole giuste.

Almeno quelle, se le ricordava. Ora tutto ciò che doveva fare, nudo e privo d’ogni incantesimo, era trovare la cascata o la guglia, eludere eventuali guardiani o qualsiasi demone malvagio lo vedesse, e…

Qualcosa si mosse ancora fra le rocce davanti a lui. Sembrava quasi una donna, se le donne umane fossero state alte tre metri e mezzo, avessero avuto la pelle color rubino e due teste di cavallo al posto dei seni. Quelle strane appendici gli mostrarono i denti non appena la creatura uscì allo scoperto per sbarrargli la strada. Le sue gambe aggraziate terminavano in zoccoli fessi, tra di esse una coda sottile e uncinata. Le ali di pipistrello si ripiegarono a formare un’unica enorme ala di carne alta sopra la testa. Quest’ultima pareva umana, eccetto che per le sottili zanne e gli occhi senza pupille, simili a due fiamme bianche.

Sollevò le braccia in segno d’avvertimento, braccia che ostentavano una fila di barbigli crudeli, e con voce bassa e rauca chiese bruscamente: «E tu chi… no, che cosa sei?».