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«Ciò che sembro», rispose El. «Un umano.»

Un sopracciglio s’inarcò e una lingua sottile, irta di barbigli, leccò le zanne fini in maniera molto eloquente.

«No», esclamò il Vecchio Mago, chiamando a raccolta fuoco argenteo dentro di sé, nel caso ne avesse avuto bisogno di lì a poco, «non lo farai. Io sono… appartengo a Nergal, e qualsiasi attacco alla mia persona lo porterà qui. Non vale la pena correre il rischio per qualche boccone di umano crudo e insapore.»

Il nome del suo padrone provocò un sibilo. La creatura infernale si ritrasse fra le rocce.

El continuò a scendere la collina e aveva di poco oltrepassato tali pietre che il demone parlò ancora. «Non possiedi magia?»

Elminster si voltò lentamente, e allargò le mani vuote. «No. Ti sembra forse che ne abbia?»

«Sono tanto affamata», affermò lamentosa la voce. «Nergal dovrà accettare di perderti.»

Poi spiccò un balzo.

El si acquattò rapido, unì i piedi e saltò di lato come una rana. La creatura atterrò violentemente sulle rocce oltrestanti, slittò e si fermò con uno sputo e un ringhio.

Il fianco della collina era ripido e spoglio. L’unico riparo era il cumulo di rocce e di alberi spinosi da dove era sbucato il demone. Truce, El spiccò un altro balzo e trottò verso di esso. Un paio d’ali s’agitarono dietro di lui e il mago si spostò lateralmente e virò dietro a un masso di forma allungata.

La diavolessa sibilò vicino al suo orecchio passandogli di nuovo accanto a mani protese, ma lo mancò. «Rimani fermo, umano, e renderò la tua morte meno dolorosa!»

«Oh, questa sì che è una proposta allettante», rispose Elminster beffardo, sfuggendo all’ennesimo tentativo di cattura. «Mi avevi quasi preso!»

Ringhiando, il demone saltò nell’aria e planò su di lui. Il mago si tuffò nella tana della creatura, un’insenatura scura fra le rocce, il cui fondo era disseminato di ossa vecchie e rosicchiate. Alcune rocce crollate formavano una sorta di tetto. Una volta dentro, lei lo avrebbe seguito e, senza dubbio, l’uscita sarebbe stata bloccata dal suo corpo enorme.

El continuò ad avanzare nell’oscurità fetida.

Con un piccolo sorriso di trionfo il demone ripiegò le ali e lo seguì. «Ora sei mio», mormorò.

Il Vecchio Mago si era addentrato finché le rocce glielo avevano permesso. L’unica luce proveniva dalle fiamme bianche degli occhi della donna. Le teste di cavallo sul petto fecero per morderlo mentre il demone avanzava, le braccia allargate per evitare che fuggisse.

«Solo per porti una domanda molto originale», affermò El tranquillamente: «Chi e che cosa sei?».

«Il mio nome è Marane», rispose il demone, avvicinandosi. «Marane l’Affamata!»

Elminster si tese e si chinò. Doveva lanciare il fuoco argenteo in modo rapido, quando Nergal lo spione non sarebbe stato in grado di vedere bene ciò che stava facendo, perciò i loro corpi dovevano essere quasi uniti. In qualche modo avrebbe dovuto evitare le zanne della donna e le teste di cavallo più in basso. Una pietra rotolò sotto i suoi piedi e il mago vacillò e per poco non cadde.

Marane sibilò di nuovo, ma non attaccò.

El sollevò lo sguardo e vide accendersi deboli bagliori sopra e dietro di sé. Questi illuminarono il corpo del demone reietto mentre s’inarcava sopra di lui per raggiungere la pietra e rimetterla a posto.

«Che cosa sono queste luci?» chiese, fingendo meraviglia. Nel frattempo si acquattò, si voltò e con la spalla sfiorò la gamba aggraziata del demone.

«Luci magiche», sbottò lei, «rubate a una preda anni fa. Peccato che tu non abbia nulla da aggiungere alla mia collezione. Ma ora basta.»

Marane si voltò, e allungò una mano dalle lunghe unghie a mo’ d’artiglio verso i suoi occhi, al che El sollevò il braccio lungo la gamba di lei e rilasciò il fuoco argenteo.

«Come vuoi», assentì freddamente. L’intero corpo della donna fu scosso da convulsioni e si levò in alto, schiacciandole la testa contro le rocce.

Dalla bocca di Marane uscì un filo di fumo, poi il demone piombò floscio sul pavimento e i suoi occhi si velarono. Qualcosa si mosse nella mente di Elminster, e il mago mantenne vivida l’immagine degli artigli di Marane che si allungavano verso di lui. Sforzandosi di non pensare e di non guardare ciò che stava facendo, cercò la pietra tastoni, finché non la sentì rotolare via. Poi infilò una mano fra le luci fredde che apparvero nuovamente dietro di essa.

C’era qualcosa che al tatto sembrava una bacchetta. Il mago l’afferrò, lasciò che il suo incantesimo gli rivelasse la parola d’ordine e la natura dell’oggetto… era una bacchetta lancia-fulmini, grazie a Mystra e a Tymora… poi la infilò nella bocca aperta di Marane, evocò il fuoco argenteo per mantenersi in vita e l’attivò.

Un fuoco bianco e blu tuonò nella minuscola tana. Le membra del demone s’agitarono convulsamente e il puzzo di carne bruciata si levò forte e gli prese la gola. Marane s’accasciò e iniziò ad avvizzire.

HO, HOO! MAGIA! DEVO AVERLA!

Il latrato mentale di Nergal fu quasi assordante. El sorrise, arcigno, e frugò tra le magie con entrambe le mani, lasciando che il caos di parole d’ordine, di effetti e di poteri lo pervadesse mentre cercava qualcosa… qualsiasi cosa… di utile.

Anelli che sputavano fuoco, bacchette che scioglievano la carne, bracieri che… ma aspetta! Questo!

Con mani tremanti El l’afferrò e lo tenne stretto, solo per un istante. Nel contempo evocò una barriera di fuoco argenteo nella mente, in modo che Nergal non riuscisse a leggergli il pensiero. Sì, quello avrebbe fatto al caso suo: uno scettro lungo appena quanto la sua mano, scuro e ben rifinito. Netherese, costruito dal Mastro Ombra Telamoni Tanthul molto, molto tempo prima. Poteva generare due mani, o tre, o sei, da una sola. Tre mani, o tre cuori, o tre gambe, a piacere, ma solo di ossa, sangue e carne. Un modo per formare eserciti o guarire i menomati…

Il mago uscì rapido dalla tana, la mente sempre piena di fuoco, e nascose il piccolo scettro sotto una pietra, accanto a un albero. Poi si rituffò nell’insenatura, e cominciò ad aggirarsi con aria stupita fra gli oggetti magici e a fissare le sottili zanne di Marane.

Con un grugnito d’eccitazione, Nergal atterrò sul terreno all’esterno della tana.

El lasciò che il fuoco svanisse e che i suoi pensieri fluissero deliberatamente con furia convulsa. Questi dovrebbero bastare! Lascia che il vecchio Nergal metta piede qui, e lo ridurrò in cenere! Che diamine, non esiste demone in Averno che possa sopravvivere a tutto ciò, ora che ho riversato il mio fuoco argenteo dentro di essi! Posso… oh, dei!

Alto e terribile, Nergal s’affacciò all’insenatura e vi inserì un groviglio di tentacoli sferzanti. Elminster fu sbattuto contro una pietra, scivolò lungo di essa, s’accasciò a terra quasi incosciente e fu trascinato fuori, alla luce, accecato e soffocato nella morsa di un tentacolo, mentre tintinnii e clangori gli suggerivano che Nergal stava radunando freneticamente gli oggetti magici.

POTREI SCHIACCIARTI IL CRANIO COME UN FRUTTO MATURO, UOMO. DAMMI UNA BUONA RAGIONE PER NON FARLO.

Il fuoco argenteo esploderebbe dal mio corpo e ucciderebbe anche te.

MA DAVVERO? NE SEI CERTO?

Sì. Meglio lasciar stare la testa e il collo.

E VA BENE, assentì il demone con tono crudele, stringendolo e torcendolo con maggiore forza.

Solo il fuoco argenteo evitò che El svenisse in preda a un dolore nauseante. Il mago si rese vagamente conto che il demone gli aveva staccato entrambe le braccia all’altezza dei gomiti, lasciando solo due monconi irregolari e gocciolanti di sangue.