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PROVO QUASI PIETÀ, UMANO. QUASI.

[perplessità, impeto di rabbia che lascia il posto alla confusione totale]

E ORA CHE MI SUCCEDE, PERCHÉ HO DETTO CIÒ? PERCHÉ HO PROVATO PIETÀ?

[sorriso silenzioso]

NO, ELMINSTER, NON STO DIVENTANDO DEBOLE E SENTIMENTALE. BACIA QUALCUN ALTRO. IO SONO ALLA RICERCA DELLA MAGIA. DI PENSIERI E RICORDI CHE POSSA USARE ALL’INFERNO, E TU LO SAI. MOSTRAMI DELL’ALTRO!

Naturalmente. È quello che sto facendo: mostrarti magia, usi ed effetti.

BAH! RIESCI A SPACCARE UN CAPELLO IN QUATTRO ANCOR MEGLIO DI AMNIZU! UMANO, MI DISGUSTI!

Un altro risultato di cui andar fieri. Ne sto facendo collezione.

A CHE TI SERVE UNA COLLEZIONE, SFACCIATO MORTALE, SE NON PUOI RICORDARE NULLA DI TALI RISULTATI O, MEGLIO, NIENTE DI NIENTE? PRESTO AVRÒ TUTTO IO E LASCERÒ IL POTENTE ELMINSTER A PARLARE A VANVERA PER IL RESTO DEI SUOI GIORNI.

Minacce. [sospiro mentale] Ciò mi ricorda qualcosa…

[luccichio mentale, ricordi che scorrono fino a un punto particolare…]

«Halueve Starym», sbottò gelido l’uomo in nero, «è tanto saggio?».

L’elfo con tre bracieri crepitanti fluttuanti a mezz’aria davanti a lui si voltò, gli occhi fiammeggianti di rabbia, e sogghignò: «Ah! L’umano che ha condannato la serena Cormanthor! Non parlarmi di saggezza, Uccisore della Serenità!».

«Bene, allora», ribatté Elminster Aumar avanzando con tranquillità, «allora parlerò della follia… della tua. Perché folle è chiunque pensa di incantare demoni per piegarli al suo servizio ed esserne padrone».

VENGONO EVOCATI I FUOCHI DELL’INFERNO, HMMM? È STATO GIÀ FATTO PRIMA, LO SAI.

Sì. E molte volte.

VA’ AVANTI, MAGO!

Il ghigno di Halueve Starym si ampliò in un ringhio. «Non parlarmi di follia, umano», esclamò con rabbia. «Vattene intanto che hai ancora le gambe per farlo! Posso inviare demoni al tuo letto, affinché ti scortichino, un arto alla volta!» Sul suo volto comparve un sorriso mellifluo, malvagio, poi, sarcasticamente, aggiunse: «Dovrai dormire prima o poi, lo sai, debole e gracile umano ficcanaso». Nonostante, all’apparenza, non avesse sollevato nemmeno un dito per lanciare un incantesimo, una linea di fiamme balzellanti si formò fra i due maghi, circondando Halueve Starym. «Vattene, Elminster. La tua Arte è tanto debole che posso schiacciarti quando voglio e, se mi secchi ancora, ti distruggerò. Vai via, mentre mi sento ancora compassionevole!»

Il potere si destò spontaneo in Elminster, e alcune scintille argentee vorticarono brevemente davanti ai suoi occhi. Il mago s’irrigidì.

Non fuggire. Ha rilasciato una magia immediata che cerca di nutrirsi di te, mangiandoti carne e sangue, e la mente stessa. Resta semplicemente dove sei e non fare nulla se non difenderti coi tuoi incantesimi: il fuoco argenteo sarà la sua rovina. Attento al braciere alla tua destra; è un demone in agguato.

Auluua! Elminster sentì il cuore balzargli nel petto. Sei ancora lì!

Per poco. [sorriso] Lasciati baciare, prima che scompaia…

Una sorta di calore lo pervase, una sensazione come d’acqua dolce e. di brezza leggera, di sole estivo, e di carezze dal potere magico…

L’incantesimo assassino che lo colpì, lo destò da tali piacevolezze, s’avventò sul suo scudo magico e lo ridusse in pezzi.

El rivolse a Starym un sorriso glaciale. «Ahi, ahi, ahi», esclamò beffardo. «Ring flang floom, e sono ancora qui. Credo che i tuoi incantesimi non siano poi tanto potenti. Forse inganni Halueve Starym ancor più di quanto tu non faccia con Elminster Aumar. Ti sei approfittato abbastanza di me?»

L’elfo emise un urlo furioso e sollevò le mani a mo’ d’artigli, scagliando un incantesimo, il cui impiego era da sciocchi anche con indosso un’armatura magica da battaglia. La stanza s’incrinò e tremò ancor prima che Elminster venisse colpito.

Il fuoco argenteo avvampò e decretò il destino di Halueve Starym. El si assicurò che il primo fulmine distruggesse il braciere di destra, e fu accontentato, poiché le pareti cominciarono a cedere attorno a lui, con un gemito lungo, stridulo e disperato…

ORA, QUESTO, PICCOLO UOMO, ALMENO MI PORTA ALLA TUA GIOVINEZZA E AGLI INCONTRI CON MAGHI… E CREDO ANCHE VICINO A MYSTRA. NON HAI PAURA DI UCCIDERE DEMONI, VEDO.

Dopo i miei primi secoli, Lord Nergal, ho vinto molte delle mie paure. Di questi tempi, non me ne rimane quasi nessuna.

LO VEDREMO, UMANO. OH, SÌ, LO VEDREMO DI CERTO.

21.

Una vendetta consumata calda

Il caso volle che una banda di avventurieri entrasse nella camera scura ed echeggiante di Sottomonte prima che la pazzia svanisse. Alla luce della torcia videro l’uomo che ululava e piagnucolava da solo al centro del vasto pavimento di pietra spoglia, e fuggirono in silenzio, con la massima rapidità.

Halaster aveva invocato tutto il potere affidatogli da Mystra per guarire la grande ferita che avrebbe dovuto ucciderlo. La terribile spina ossea che lo aveva trafitto, gli aveva dilaniato gli intestini. E ancor peggio, Nergal aveva unito alla sua magia una maledizione. Il signore di Sottomonte era vivo, ma non aveva più incantesimi per contrastare la crudeltà di Nergal. Aveva trascorso un giorno, o forse più, a rotolarsi sulla pietra fredda e impolverata, incapace di fermare le trasformazioni nauseanti che subiva il suo corpo: ali di pipistrello, squame, code e artigli spuntavano e svanivano, diminuivano e fluivano, incuranti delle urla e delle imprecazioni del mago sofferente.

Spine, corna e seni crescevano, si torcevano, e poi gli scorrevano lungo il corpo come onde sull’acqua. In mezzo a tutto quel caos e quel dolore Halaster giurò di tornare nei Nove Inferni: avrebbe fatto visita e tormentato il demone Nergal, anche a rischio di perire nell’intento, Elminster o non Elminster.

Finalmente la maledizione cessò. Halaster Blackcloak giaceva ansimante e madido di sudore. Fissò l’oscurità polverosa. I brandelli della tunica squarciata gli si erano appiccicati alla pelle.

«La vendetta», annunciò con calma, mentre rabbrividiva e sprofondava nell’oblio, «comincia ora».

Ciononostante, rimase a lungo immobile, anche quando il freddo gli fece battere i denti. Rimase sdraiato, a rievocare ogni minimo dettaglio di Nergal, movimenti, parole, reazioni, aspetto fisico, e a pensare quali incantesimi sarebbero stati l’arma migliore contro una creatura simile.

Altrettanto pazientemente, ricordò inconvenienti ed effetti precisi di ogni incantesimo adeguato, e le tattiche migliori per utilizzarli in Averno. Alla fine sorrise freddo e, rivolto all’oscurità, esclamò: «Sembra che Halaster Blackcloak possa diventare egli stesso un bravo demone».

Il sorriso scomparve lentamente dal suo volto, poi, con più dolcezza, affermò: «Lady Mystra, ho bisogno del vostro aiuto. Il compito che ho accettato si è rivelato superiore alle mie attuali capacità. Possiamo parlare?».

Il pavimento di pietra sotto di lui si scaldò e un formicolio gli pervase il corpo. D’un tratto non era più sudato e sporco, ma integro e forte e pienamente vigile. Era come se due braccia calde e materne lo stessero cingendo.

Il mago fece qualcosa che non faceva da secoli: mugugnò, si girò con soddisfazione su un lato, in posizione fetale, e s’addormentò.

Nel caldo oblio che seguì, Halaster sognò di succhiare un seno materno, di poter spiegare i suoi bisogni e di rivelare i suoi pensieri. In cambio ricevette gli incantesimi di cui necessitava e il consiglio saggio di un maestro di battaglia fra i maghi… A un certo punto fluttuò, supino, attraverso una schiera infinita di candele accese scaturita dal nulla. Le loro fiammelle scaldavano, ma non bruciavano…