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Halaster Blackcloak si ritrovò improvvisamente in piedi in una stanza in cui raramente si recava, nelle profondità di Sottomonte: una cappella consacrata a Mystra. Non stava più sognando ed era solo. Due fiammelle tremolavano sopra l’altare di pietra spoglio che si ergeva di fronte a lui, ma nessuna candela le alimentava. Si sentì forte. La magia avvampò come fuoco impetuoso dentro di lui, una sensazione mai sperimentata prima. Tutti gli incantesimi a cui aveva pensato erano pronti nella sua mente, insieme ad altri, mai utilizzati e molto affascinanti. Il mago indossava una tunica semplice e nera, con stivali e cintura dello stesso colore. Non recavano ornamenti, ma erano di fattura raffinata e della taglia perfetta. Non indossava anelli, né simboli o altri decori. Qualcuno gli aveva spuntato la barba.

«Signora», affermò rivolto all’altare, «grazie. Sarà fatta la vostra volontà».

Voltò le spalle all’altare e fece nove passi, raggiungendo un punto al di là di quello adibito alla consacrazione, con l’intenzione di elaborare un incantesimo di volo per raggiungere l’Inferno.

Nel momento in cui pensò alla destinazione in Averno, quando ancora non aveva pronunciato la magia, il mondo intorno ad Halaster assunse un colore bianco e blu. L’uomo ebbe la sensazione di precipitare nel vuoto, ma non vide nulla intorno a sé che potesse confermarglielo. Quando la foschia bianca e blu si dileguò, il mago si ritrovò a mezz’aria, a una spanna da una pietra nera e scabrosa, in un luogo di rocce torturate e di spinagon urlanti, sotto a un cielo rosso sangue. Mise piede su Averno, e non vide, né udì, il filo spettrale che era giunto con lui all’Inferno dalle fiamme dell’altare.

Questo tremolò un po’ nella sua invisibilità, colmo di una rabbia ancor più feroce di quella del mago. La Strega-Regina di Aglarond era tornata negli inferi.

* * *

Un uomo massacrato vagava senza meta fra le distese di roccia di Averno, mentre rivoli di sangue gli colavano dai monconi delle braccia. Di tanto in tanto inciampava, e in quei momenti fiamme rosse e nere gli fuoriuscivano dagli occhi. Spinagon e abishai lo evitavano e volavano oltre. Persino i lemuri e le larve striscianti non osavano più avvicinarsi a lui.

Talora le sue labbra si aprivano ed egli mormorava echi della profonda voce mentale che tuonava nella sua testa. Talaltra grugniva e grufolava come un maiale o trillava come un uccellino. I demoni minori e più deboli si tenevano alla larga, poiché non desideravano condividere i tormenti di un altro.

Trascinandosi come un guscio vuoto, Elminster tornò nel luogo di rocce e di alberi in cui Nergal aveva divorato le ossa gocciolanti di Marane e aveva scaraventato il suo schiavo mentale ripetutamente contro le rocce. Lentamente, con estrema circospezione, il fuoco argenteo si levò in lui, generando una foschia e facendo vorticare i suoi ricordi come foglie secche sollevate da una brezza leggera. Il demone che lo teneva prigioniero si lanciò in essi grugnendo d’eccitazione, e non vide il momento in cui Elminster sollevò una pietra, afferrò ciò che vi stava sotto e infilò l’oggetto tra i capelli lunghi e arruffati, sopra l’orecchio sinistro.

Quel peso era concreto, rassicurante. El si rialzò e ricominciò a vagare apparentemente senza meta, dopo aver recuperato lo scettro magico nascosto in precedenza. Di fattura Netherese, opera del Mastro Ombra Telamont Tanthul, era in grado di sferrare un incantesimo clonatore, di «far crescere» più corpi da uno solo o da una parte di esso… e di formare eserciti.

Con risolutezza, Elminster nascose nuovamente quei pensieri sotto una coltre di fuoco argenteo e lasciò che Nergal gongolasse per i ricordi vividi e duraturi che stava inseguendo nella sua mente.

AH, PICCOLO UMANO, FINALMENTE DOVREMO ESSERE VICINI A QUALCOSA DI GROSSO. LO SENTO, COME SE IL TUO PREZIOSO FUOCO ARGENTEO STESSE NASCENDO DENTRO DI TE! SÌ! AVANTI, MOSTRAMI ALTRI RICORDI!

* * *

«Terribile Lord Geryon», mormorò il più giovane e il più ambizioso dei demoni degli abissi, puntando il dito contro uno scintillio comparso su una collina distante, disseminata di rocce, «laggiù».

L’Arciduca sorrise, sebbene l’elmo scuro che indossava mostrasse al gruppo di demoni solo la curva sottile delle labbra. «Grazie, Albitur. Il primo attacco è tuo.» Al che una grossa coda spinata si contorse.

Alcuni dei demoni riuniti indietreggiarono con fare quasi furtivo. Geryon era eccitato o arrabbiato, ma a chi desiderava sopravvivere non importava quale fosse il suo vero stato d’animo.

Per lo meno gli ordini che il Lord di Nessus aveva impartito loro non prevedevano un’attesa di anni o di un’eternità. Il grande Asmodeus aveva detto che Halaster sarebbe tornato presto, armato dalla sua dea con potere sufficiente da costituire una minaccia per l’Inferno. E, come sempre, ma questa volta più che mai, aveva avuto ragione.

Albitur prese il volo come un uragano scuro, radunando cornugon e demoni degli abissi senza nemmeno fermarsi. Questi attraversarono una caverna profonda densa di fumi velenosi, per poi sorvolare una cresta i cui pinnacoli rocciosi si ergevano come zanne. Dopodiché si gettarono in una picchiata micidiale verso la figura umana solitaria, silenziosi tranne che per il vento che sibilava fra le loro ali.

Quaranta e più demoni contro uno, ma nessuno di coloro che attorniavano Geryon rise o fece scommesse. A quanti demoni corrisponde l’aiuto di una dea?

L’umano vide la morte avventarsi sopra di lui. Sollevò le mani e gesticolò nell’aria.

I demoni gli erano vicini e, un attimo dopo, questi gli lanciarono contro fulmini luminosi. Sulle rocce accanto al mago solitario avvamparono alcune fiamme: muri di fuoco evocati dai demoni.

L’aria sopra i demoni si riempì improvvisamente di pietre grandi quanto una testa, che si abbatterono su di essi come una pioggia violenta. Un sasso frantumò il cranio di uno sventurato cornugon, lasciando al suo posto solo un collo insanguinato.

Halaster si agitò in mezzo ai fulmini scagliati dai demoni, ma gli spasmi sembrarono rinvigorirlo più che danneggiarlo.

Le creature infernali si abbatterono su di lui con fruste spinate che schioccavano e sferzavano l’aria, ma si scontrarono con una nube di piccole mani argentee, che iniziarono a strappare, cavare, strangolare e colpire, ustionando la carne diabolica.

Molti demoni degli abissi, accecati e feriti, caddero urlanti sopra le rocce, dove si rotolarono e si agitarono agonizzanti, destando le larve, che migrarono in massa nella loro direzione.

Sul terreno intorno al mago iniziarono ad accendersi dei fuochi; un’eruzione lo scaraventò con la faccia a terra. Demoni e cornugon dai muscoli possenti irruppero fra le fiamme, agitando le fruste con tanto vigore da aggrovigliarle e da essere costretti ad abbandonare la lotta incalzante. Gli altri si riversarono sul mago, sferrando pugni, calci e quant’altro; l’uomo scomparve, sommerso da un cumulo di carne rossa e nera.

«Dovrebbero aver quasi finito di smembrarlo», mormorò un demone accanto a Lord Geryon.

Ancor prima che la mano pelosa della Bestia Selvaggia si levasse in un gesto di rimprovero, si vide un lampo accecante di luce argentea provenire dal groviglio di demoni. Quei pochi che non furono scagliati in cielo urlando, ruzzolarono sulla schiena, inceneriti e ammutoliti per sempre.

«Qarlegon», chiamò con calma l’Arciduca.

Il demone convocato spiccò il volo come un segugio liberato dal guinzaglio. I suoi cornugon si levarono dalle rocce circostanti e lo seguirono.

Il secondo esercito, che contava più di sessanta soldati, si lanciò su Halaster da tutte le direzioni, come una rete che si stringe lentamente, mentre il comandante rimaneva a distanza, impartendo indicazioni a destra e a manca.