Halaster guardò i demoni che si avvicinavano con tanta circospezione, poi scagliò un fulmine a catena contro di essi. Questo sibilò e si spense, distrutto dalla natura stessa dei demoni.
La mano di Qarlegon si abbassò e, all’unisono, i demoni si gettarono in picchiata.
Il mago umano elaborò freneticamente alcuni incantesimi mentre l’esercito s’avvicinava, ma Geryon e gli altri demoni degli abissi trasalirono ancor prima che Halaster potesse scagliare qualche sortilegio. L’aria intorno a essi tremò momentaneamente. Corna, orecchie e punta delle dita formicolarono.
«Che cos’era quello?» esclamò un soldato, tornando tremante sul suo trespolo di roccia.
«Una magia davvero potente», rispose inutilmente un demone vecchio e segnato dalle cicatrici. «Forse la mano di Lord Asmodeus in persona.»
All’udire quel nome alcuni dei demoni più giovani chinarono il capo e fecero come per difendersi. Molti guardarono il mago umano e s’accigliarono.
«Non è stato lui», mormorò uno di essi, e gli altri annuirono.
Questa volta i demoni lo attaccarono simultaneamente con sferzate e pugni; poi si ritrassero, lasciando Halaster insanguinato e vacillante, ma confluirono ancora una volta, in modo che il mago soccombesse definitivamente.
Quando le creature si levarono di nuovo in volo, l’umano barcollava, un braccio penzolante dalla spalla, inutilizzabile. I suoi ululati improvvisi di dolore e i suoi saltelli suscitarono le loro risate crudeli.
Il terzo attacco causò uno scoppio di fuoco argenteo. Ma fu più debole del primo e solo mezza dozzina di demoni cadde al suolo morta e senza testa. Un numero doppio di soldati fu scagliato lontano o si allontanò urlando. La quarta carica si chiuse violentemente su Halaster, e il mago non si rialzò più.
I demoni degli abissi vicini a Geryon stavano cominciando a rilassarsi quando un flusso improvviso di fulmini bianchi e blu s’abbatté sulla mischia. I soldati infernali furono colpiti da un atroce dolore. Spiccarono il volo fra urla, ruggiti e grugniti… solo per essere trafitti uno dopo l’altro da nuovi fulmini. In pochi secondi perirono due dozzine di demoni.
«Chi…?» ansimò un demone degli abissi.
«Scoprilo», sbottò Geryon. «Perstur, Agamur!»
Obbedienti, le creature si levarono in cielo e, con rapidi spostamenti a zig zag più che in linea retta, si precipitarono verso il nuovo nemico. Una nuvola di fulmini celava alla vista l’aggressore. La nube allungò alcune dita crepitanti per sollevare teneramente nell’aria il corpo devastato e mugugnante del mago umano. Una luce bianca si accese intorno ad Halaster Blackcloak, tanto brillante da far voltare la testa a tutti i demoni. Quando svanì, il mago fluttuante non c’era più.
«Potrebbe trattarsi ancora di quella dea?» brontolò, incredula, una delle creature degli abissi.
La nuvola di saette indietreggiò lievemente e l’esercito di Qarlegon avanzò cauto per accerchiarla. Chiunque o qualsiasi cosa fosse il nuovo venuto, al momento era coperto da un ovale verticale di fuoco blu e non sembrava disposto a farsi accerchiare.
«Quella è la forma che ho visto usare a Mystra di Toril», grugnì il demone anziano e pieno di cicatrici.
Tre volte la nube ammiccò o balzò indietro, fuori dal cerchio di demoni che si stava formando. Tre volte questi avanzarono inesorabilmente per circondarla, spingendola su per il fianco della collina dove pinnacoli s’ergevano come spade nel cielo rosso sangue e una piccola gola portava a una bocca cava.
«Quella è la tana che un tempo usava Barbathra, sì?» chiese un demone. Il vecchio sfregiato e Geryon annuirono all’unisono, poi la Bestia Selvaggia aggiunse: «Ora è di Yarsabras».
Come se le parole dell’Arciduca fossero state un segnale, il demone reietto dalla testa di cane che aveva nominato balzò fuori dalla grotta con i numerosi artigli protesi a formare un muro di lame scintillanti.
L’intruso misterioso si chinò improvvisamente, con una grazia che i demoni paragonarono a quella degli elfi danzanti.
Yarsabras si librò in volo confuso verso la schiera di diavoli che avanzava, per distruggere, flagellare ed essere flagellato. Nei giorni migliori, le fedeli teste cornute non amavano molto i reietti, e quello non era certo uno di quei giorni. L’intruso avvolto nel fuoco balzò in alto e lanciò fulmini crepitanti fra le creature infernali.
«È una donna», affermò d’un tratto il demone anziano, dopo aver intravisto un paio di mani sollevate e intente a elaborare un incantesimo.
Geryon annuì. «Hai sempre avuto una vista acuta, Grimvold», ribatté poi con approvazione. «Divina o mortale?»
Il demone con le cicatrici s’accigliò. «Mortale, credo. Se ne sta bassa, mentre una creatura divina tende a torreggiare e a guardare dall’alto verso il basso.»
La Bestia Selvaggia annuì ancora.
«Strano», esclamò un’altra creatura che stava osservando la scena dalla rupe. «Prima ha colpito per uccidere… fulmini che hanno trafitto singoli soldati, di sua scelta. Ora tenta di tenere a bada lo stormo di Qarlegon. Perché?»
Tutti annuirono perplessi e aggrottarono la fronte.
Qualcuno chiese: «Forse sta aprendo un cancello?».
«Siamo qui per questo», rispose loro Geryon senza scomporsi. «Se impartisco l’ordine, dobbiamo chiamare a raccolta il maggior numero di forze e armare un esercito, per distruggere qualsiasi eventuale portale.»
«No!» esclamò all’improvviso Grimvold. Poi fece una magia proprio accanto al gomito dell’Arciduca.
Numerosi demoni degli abissi indietreggiarono, aspettandosi che Geryon reagisse con forza micidiale per punire l’impertinenza. Ma la Bestia Selvaggia non fece nulla. Il demone anziano urlò e il suo incantesimo amplificatore rese la voce stranamente echeggiante e lontana: «Qarlegon! Sposta i tuoi soldati! Verso la gola, subito! Spostatevi o morirete!».
«Per i fuochi di Nessus che cosa…» gridò rabbioso uno dei demoni. «Chi ti credi di essere, Vecchie Corna Sfregiate?»
«Perché?» chiese semplicemente un altro, mentre i demoni delle fosse sotto di lui guardavano in alto, sbalorditi. Qarlegon si levò sopra di essi, scrutando i dintorni con aria interrogativa.
«Guardate», affermò truce Grimvold, indicando l’orizzonte con un artiglio. «Quello.»
Ebbero appena il tempo di levare lo sguardo prima che la cosa piombasse turbinante dal cielo e si dirigesse verso di loro… o meglio, verso i demoni ammassati sul fianco della collina.
Era enorme, e proveniva da una parte lontana di Averno. Grande e scuro, il pugno di pietra era formato da una rupe, o dalla cima di una montagna, sradicata. Il masso gigantesco virò lievemente mentre si dirigeva verso la collina.
«Per tutti i fuochi», ansimò sbalordito uno dei demoni. «Sta per…»
«Era questa la magia che abbiamo sentito prima», affermò tranquillo Geryon e appoggiò un’enorme mano irsuta sulla spalla di Grimvold. «Tu li hai avvisati», aggiunse con un sospiro.
Lo schianto della grossa pietra scosse Averno in maniera tanto violenta da scaraventare tutti per terra. Il boato fu assordante. La rupe colpì, rimbalzò, tornò a colpire, poi rotolò per un istante e iniziò a frantumarsi. Tre dei suoi frammenti si schiantarono sui pinnacoli che coronavano il fianco della collina, poi rotolarono e travolsero ciò che rimaneva dell’esercito di Qarlegon.
«Beh», affermò un cornugon particolarmente stupido da un punto vicino alla sommità, «almeno ha ucciso anche l’intruso! Nulla può essere sopr…».
La creatura fu tra quelle che perirono incenerite un secondo più tardi, quando il fuoco blu fece comparire dal nulla un frammento della grande roccia, alto come un castello, e lo lasciò cadere sulla rupe, schiacciando gran parte dell’esercito di Geryon e riducendolo in un attimo in icore fumante.
L’Arciduca e Grimvold si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due si mosse dalla propria postazione. «Se n’è andata», esclamò torvo il demone sfregiato. «Quello era il colpo finale.»