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Io no, ma Mystra sì.

E?

E niente. È morto.

HAH! IL TEMPO E LA CURA CHE LA DEA GLI HA DEDICATO SONO ANDATI SPRECATI!

No, affatto. Lei non considera gli umani strumenti, da misurare in base alla loro utilità per i fini del momento, ma come fiori da curare in un giardino. Ogni anno che passa ne porta di nuovi e di migliori, e offre possibilità più grandi.

[sbuffata diabolica, artigli che si fanno largo fra i ricordi simili a ragnatele, dolore inferto al mago ansimante]

SMETTI DI FARMI PERDERE TEMPO, ELMINSTER.

L’uomo chiamato la Bocca di Moreyeus rabbrividì per la paura quando la donna slanciata, dai capelli incolti, vestita con una semplice tunica color malva, fece un languido segno con la mano che indicava la volontà di parlare pacificamente. La sua vita era cinta da una fascia, non da una cintura, e non portava armi. Persino i suoi piedi erano tra l’erba del cortile.

«Aglarond vi dà il benvenuto», affermò la donna con un sorriso lievemente divertito. I suoi capelli erano una cascata bianca di splendente, ma gli occhi erano un mistero scuro. «Tutti coloro che saranno veri amici sono i benvenuti in questo luogo.»

Dietro alla Bocca di Moreyeus, dalla barba puntuta, che ostentava ornamenti d’oro, anelli e abiti finemente ricamati, gli altri inviati ed emissari la osservarono in silenzio. Alcuni tremavano apertamente, altri stringevano fra le mani bianche armi o talismani. Quasi tutti erano madidi di sudore.

La donna diede al gruppo un caldo benvenuto, sorrise quasi maternamente e si voltò per condurli su per le ultime curve del sentiero. Aveva un aspetto grazioso e regale, più consono a una governatrice che a un’apprendista. Solo alcuni granelli di luce sparsi qua e là, fluttuanti come stelle irrequiete nella sua scia, rivelavano la potenza della sua Arte, uno scudo magico che avrebbe sventato qualsiasi tradimento perpetrato alle sue spalle. Nemmeno uno dei presenti pensò che tali stelle minuscole fossero visibili solo per caso. Si diceva che nessuna foglia osasse cadere ad Aglarond contro la volontà della Simbul.

Il sentiero si snodava fra piscine adorne di ninfee, nelle quali minuscoli pesci scintillanti, i soleargento, balzavano fuori dall’acqua per catturare le zanzare. Dopo aver attraversato pendii erbosi e ombreggiati, giunsero a un’entrata laterale del palazzo. Rincuorati dal sorriso della Simbul, gli ambasciatori varcarono la soglia, uno alla volta. Il siniscalco entrò dopo di loro e, casualmente, con una serie d’incantesimi furiosi ridusse in cenere alcuni degli uomini davanti a lei.

I sopravvissuti, illesi, si misero a gridare.

Da dietro un albero vicino, Elminster ringhiò un piccolo incantesimo. Questo generò la sua immagine, a mezz’aria fuori dalla porta.

«Assassina!» sbottò. «Voltati e affronta la tua morte! Il tuo massacro è durato fin troppo a lungo! lo ti sfido!»

La lancia d’argento brillante scaturita dall’incantesimo che lo avrebbe ucciso, se fosse stato lì in carne e ossa, fu scagliata ancor prima che la donna si voltasse con gli occhi fiammeggianti. «Vattene, servo di Thay.»

«Non sono un amico di Thay», rispose l’uomo barbuto che se ne stava sospeso nell’aria tutto vestito di nero.

«Se fai il loro lavoro, per me sei un Thayano. Tutti i nemici di Aglarond sono Thayani nel cuore, qualsiasi fede professino», ribatté la Simbul.

Elminster sollevò un sopracciglio. «Vieni avanti e combatti», la invitò dolcemente, «tu che attacchi alle spalle».

«Ho invitato possibili spie e vipere in questo luogo, il palazzo della grande regina», replicò la donna, voltandosi brevemente a guardare gli uomini che ancora tossivano e vacillavano dietro di lei. Perdute nel fumo dei suoi incantesimi, s’intravedevano alcune spade che dondolavano ciecamente. «Esse sono perciò una mia responsabilità. Io scelgo quando e dove combattere, uomo… e non ho alcun interesse d’impegnarmi in futili duelli. Vattene.»

Elminster le rispose con un mezzo sorriso. Poi si voltò, senza mai distogliere lo sguardo da lei, e puntò il braccio come una balestra. Fulmini lucenti scaturirono dalle sue dita. Una torretta del palazzo esplose e crollò nei giardini con un boato.

La Simbul rimase a bocca aperta. Il sorriso sempre più teso, El sollevò l’altra mano e distrusse un trio di guglie sottili.

Con gli occhi fiammeggianti la donna sollevò entrambe le mani sopra la testa e, dalle dita intrecciate, scaturì una raffica di saette fameliche, dirette verso il mago.

Queste ruggirono e frantumarono l’immagine magica in un istante; rimbalzarono, attraversarono sibilanti il giardino e sparirono alla vista, inducendo Elminster ad aprire brevemente la bocca per il dolore mentre rabbrividiva dietro il suo albero.

«Ha!» urlò trionfante la Simbul.

In tutta risposta, la torretta accanto alla porta dove stava la donna avvampò da cima a fondo di fiamme improvvise color rubino, e crollò con una pioggia di pietre calde.

«Combatti con me o perdi il palazzo», annunciò serenamente un gong accanto a lei. Con un grido di rabbia la Simbul si voltò e lo distrusse.

Un’altra torre crollò e l’elmo di una sentinella rotolò dalle macerie fino ai piedi della donna. «Oh, è una gara per sotterrare il trono di Ilione?» chiese.

Gli occhi della Simbul avvamparono. I suoi capelli s’agitarono come un uragano attorno a lei, mentre la donna si levava in aria, le braccia rapide come frecce saettanti. «Rivelami il nemico!» ululò. L’aria intorno a lei crepitò di grande potere. «Mostrami quella vipera!»

D’un tratto il cielo si riempì di archi di forza, una ragnatela enorme di sentieri incrociati… ed ecco, dietro un albero, un uomo che stava per sferrare un altro incantesimo.

La donna gli lanciò lacrime di morte, una magia che avrebbe bloccato qualsiasi trasmigrazione con le sue cortine di forza. Poi ringhiò la parola che le avrebbe portato la cintura di scettri conservata nelle sue stanze.

Mentre se l’allacciava in vita, spade lucenti di forza squarciarono le sue cortine micidiali, le cui energie presero a vorticare impazzite nell’aria. Un frammento roteante divenne una sfera di fuoco tonante e si abbatté fra le case in fondo alla collina, scosse il terreno e generò fiamme che si elevarono rapide e voraci.

La Simbul distolse gli occhi da tanta distruzione e gridò la sua rabbia fra le lacrime. Due dei suoi scettri squarciarono il terreno sotto ai piedi del nemico, facendolo ruzzolare giù per il giardino.

Pochi maghi avrebbero osato utilizzare entrambi gli scettri simultaneamente. La magia che uscì ringhiando dalla loro punta bruciacchiò le mani della donna. Un’energia potente percorse su e giù il suo corpo, facendola quasi soffocare. Sempre a piedi nudi, la maga fece un balzo nell’aria e urlò: «Trasferiamo il duello altrove, uomo, altrimenti, giuro, che ti legherò a me con gli incantesimi e mi getterò nel cuore di Waterdeep, o in una stanza interna di Candlekeep!».

Gli aghi di forza che la stavano stringendo come tenaglie giganti si allentarono. La voce del suo sfidante esclamò: «Dove, allora?».

«Alla Zanna di Crommor», sbottò la maga. «La conosci?»

«Ci vediamo là, assassina», giunse fredda la risposta, un istante prima che fulmini di forza le colpissero il mantello. Il mondo della Simbul si trasformò in un inferno assordante di fuoco bianco che le danzava intorno e le intorpidiva le membra.

Poche parole familiari la sottrassero rapidamente a quella confusione e la scagliarono al di là del Mare delle Stelle Cadute, alla Zanna. Da quel promontorio era solita scagliare le magie più violente, o guardare le stelle, sdraiata da sola sulle rocce. Questa volta la Simbul non fu baciata dalla brezza fresca del tramonto, ma avviluppata, scaldata e frenata nel cuore di una cupola magica lucente.

Mystra, quest’uomo è davvero rapido! Una difesa usata nei duelli dell’antica Myth Drannor! Ne aveva vista solo un’altra uguale, e quella…