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Elminster e la Simbul erano l’uno fra le braccia dell’altra. Tre reggenti stavano inginocchiati poco lontano, in attesa di un ordine della loro regina. Il quarto reale mancava, ma gli altri cercarono di non pensare al suo nome e al suo volto. Avrebbero avuto tempo sufficiente per piangere, dopo.

«Oh, amore mio», esclamò la Simbul con ardore, «quando ho creduto di averti perso…».

«Piano», mormorò Elminster, baciandole il naso, la fronte e le orecchie. «È tutto passato… e ascolta signora del mio cuore: giuro, d’ora in poi, di trascorrere più tempo con te e di lasciare che Faerûn gestisca i suoi affari senza la mia ingerenza.»

«Questo sarà anche il mio giuramento», affermò la Regina di Aglarond con voce tremante e premette le labbra sulle sue.

«Ben detto», sibilò una voce da un vicino cumulo di macerie.

Phaeldara giaceva intrappolata con Thaergar delle Porte: entrambi erano bloccati da una lastra di pietra pesante tre volte più di loro messi insieme. Solo ciò che rimaneva della spada e dello scudo che il guerriero aveva afferrato dalla parete nel mezzo della battaglia aveva impedito alla pietra di schiacciarli. L’enorme peso impediva, tuttavia, loro di gridare. «Fa’ che… entrambi mantengano… la promessa!»

«Già», ansimò Thaergar, trasalendo quando Phaeldara si dimenò accanto al suo braccio spezzato. «Condivido… di cuore… la vostra opinione!»

I tre reggenti inginocchiati li udirono e urlarono, e quelle grida fecero accorrere Elminster e la Simbul.

Mentre venivano pronunciati freneticamente gli incantesimi che li avrebbero liberati, l’uomo e la donna semisvenuti sotto la pietra credettero di udire anche qualcos’altro.

Un riso strano ed echeggiante, forse di un dio e di una dea, non molto lontani…

FINE