Il Coronal iniziò a misurare il giardino a grandi passi, come aveva fatto prima la donna, e d’un tratto, facendo roteare la tunica bianca nella luce lunare, si voltò verso di lei ed esclamò, quasi supplichevole: «Potrebbe essere un modo per riprenderci ciò che abbiamo perduto, in un regno in cui ora dominano solo atteggiamenti, negazione e lento declino. Potremmo riconquistare l’antica gloria, e non aggrapparci solamente al guscio fiero e dorato di una presunta grandezza. E c’è di più: il sogno di pace tra uomini ed elfi e nani potrà finalmente realizzarsi! Il sogno di Maeral diventerà realtà!»
La signora dagli occhi neri scintillanti e dalla chioma nera scattò come un animale a cui si schiacci la coda, e lo superò, come un felino che accerchia un nemico temuto… ma ancora per poco. Quando schiuse le labbra, la sua voce aveva perso tutta la dolcezza, e sembrava affilata come un rasoio.
«Come tutti coloro che cadono preda degli anni, Eltargrim», sbottò, «aspiri a un mondo ideale, non lo accetti per quello che è. Il sogno di Maeral è proprio ciò che indica il termine: un sogno! Solo gli stolti potrebbero credere nella possibilità che si avveri, nella Faerûn selvaggia che vediamo intorno a noi. Gli umani crescono padroneggiando la magia: una magia brutale, avida, distruttrice. Ogni anno diventano più forti! E tu vorresti accogliere questi… questi serpenti nel nostro seno, nella nostra armatura, nelle nostre case!»
La tristezza gli velò lievemente gli occhi quando il Coronal vide ciò che era diventata: una vera e propria furia, ben lungi dalla giovane e tenera ragazza elfa che aveva accarezzato e confortato quando, anni e anni addietro, piangeva timidamente.
Allora le si parò davanti e le domandò gentilmente: «E non sarebbe meglio invitarli, conquistare la loro amicizia e con essa un po’ di influenza su di loro, invece che combatterli, perire, e vederli entrare nelle nostre case da avidi conquistatori che distruggono e calpestano il sangue della nostra gente? Dove sta la gloria in tutto ciò? Perché sforzarsi di preservare qualcosa, se il nostro popolo morirà? Vivremo solo nelle leggende distorte nelle menti degli umani e dei mezzo sangue? Leggende che narrano di un popolo bizzarro, decadente, con le orecchie a punta e il naso all’insù, il cui cieco orgoglio gli fu fatale?»
Ildilyntra era stata costretta a fermarsi, altrimenti sarebbe finita contro di lui. Rimase immobile ad ascoltare quella valanga di domande, naso contro naso, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati.
«Vuoi essere colui che lascerà entrare queste… queste razze bestiali nei nostri luoghi segreti e nella vera sede del nostro potere?», gli chiese con voce improvvisamente aspra. «Per essere ricordato con odio da quanti sopravviveranno alla tua follia, come il traditore che determinò la rovina di cittadini che aveva promesso di servire e dell’intera razza?»
Eltargrim scosse il capo. «Non ho scelta: considero l’Apertura l’unica possibilità per assicurare un futuro alla Gente. Tutte le altre strade che ho contemplato, e talora persino seguito, portano, rapidamente, alla guerra rossa. Una guerra che può soltanto condurre alla morte e alla sconfitta di Cormanthor, in quanto tutte le razze, eccetto i nani e gli gnomi, ci superano di venti a uno. L’orgoglio ci trascinerà in guerra, e la guerra ci porterà alla tomba. E quella è una scelta che non ho il diritto di fare, per rispetto dei nostri figli, le cui vite verranno stroncate prima che siano in grado di difendersi, e di scegliere autonomamente».
«Tali discorsi paternalistici possono essere ripetuti all’infinito. Ci saranno sempre bambini troppo piccoli per decidere che strada intraprendere!»
La donna si mosse ancora, lo aggirò, volgendogli sempre il viso mentre camminava, e, quasi casualmente, aggiunse: «Esiste una vecchia canzone secondo la quale non si può far intendere ragione a un Coronal di ferme intenzioni. Ora mi accorgo della sua verità. Niente di quello che dirò potrà convincerti».
Vi era un non so che di vecchio e di molto stanco nel volto di Eltargrim quando i suoi occhi incontrarono quelli di lei. «Non ho paura, Ildilyntra, amata e onorata Ildilyntra», affermò. «Un Coronal deve fare ciò che è giusto, a qualsiasi costo».
La matriarca emise un sibilo esasperato, mentre l’elfo aprì lievemente le mani ed esclamò: «Questo è ciò che significa essere Coronaclass="underline" non gli sfarzi, le decorazioni e gli inchini».
Ildilyntra si allontanò da lui sul muschio, fino al punto in cui un solido parapetto di pietra le sbarrava la strada, oltre il quale crescevano alcune piante di lavanda. La donna incrociò le braccia con grazia, e volse lo sguardo a sud, verso il placido specchio d’acqua che ora, sotto la luce lunare, appariva come un lenzuolo bianco. Il silenzio che lasciò nella sua scia divenne profondo, assordante.
Il Coronal lasciò cadere le braccia e la guardò, in paziente attesa. In quel regno di orgogli conflittuali e di ricordi cupi, ma sempre vividi, gran parte del lavoro di un Coronal consisteva nell’attendere con pazienza. Gli elfi più giovani non se ne rendevano mai conto.
La Grande Signora degli Starym scrutò nella notte per ciò che gli parve un’eternità, le braccia lievemente tremanti. Quando parlò, la sua voce risultò intensa e morbida come una brezza improvvisa. «Allora so che cosa devo fare».
Eltargrim sollevò la mano per attivare il suo potere e bloccare la donna: l’insulto più grave che si possa fare al capo di una casata elfa.
Ma agì in ritardo. Un fuoco improvviso esplose nel buio, una nuvola di scintille si formò nel punto in cui i due poteri si incontrarono e lottarono per un tempo sufficiente affinché Ildilyntra potesse voltarsi. Teneva tra le mani la spada d’onore e il suo sguardo si posò su di lui.
«Oh, sapessi quanto ti ho amato…», sussurrò. «Per gli Starym! Per Cormanthor!»
Un raggio di luna si rifletté lungo la lama affilata della spada quando la donna l’affondò nel petto fino all’elsa; poi con l’altra mano spinse il fodero sotto il fiotto di sangue zampillante. Il dente intagliato sembrò tremolare per un istante, quindi, lentamente, si confuse col fiume di linfa vitale. Sgorgò più sangue di quanto quel corpo formoso avrebbe potuto contenere.
«Eltar…», ansimò, quasi implorante, gli occhi più scuri mentre barcollava. Il Coronal fece un rapido passo in avanti e sollevò le mani, il bagliore della magia guaritrice lungo le dita… ma a quella vista la donna estrasse la lama luccicante e se la conficcò violentemente nella gola.
Eltargrim si mise a correre per la breve distanza che li separava. Ildilyntra emise un gorgoglio, vacillò e sollevò il braccio insanguinato ancora una volta per infilarsi la spada nell’occhio destro.
A quel punto cadde fra le braccia del governatore, e con le labbra esangui tentò di sussurrare il suo nome ancora una volta; il Coronal la depose gentilmente sul muschio, nonostante un ruggito lacerante, magico, si levasse in alto nel cielo notturno, come fumo insanguinato, dal punto in cui si trovava il dente di drago. Quella magia, lo sapeva, avrebbe reclamato la sua vita.
«Oh, Lyntra», mormorò. «Valeva la pena morire per una disputa simile?» Poi si sollevò, guardando il sangue luccicare sulle sue mani, e si concentrò.
Se avesse esitato a pulirlo, esso avrebbe costituito un punto debole, un mezzo che la magia, che si stava materializzando sopra di lui, avrebbe utilizzato per neutralizzare il suo potere. Quando tuttavia fissò le mani aperte, le macchie di sangue scomparvero, e il bagliore bianco e blu della magia avvolse la sua pelle come una nube di fuoco. Allora il Coronal sollevò lo sguardo verso l’improvvisa oscurità sopra di lui e si ritrovò a guardare diritto nelle fauci aperte e gocciolanti di un drago di sangue.