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Galan avanzò verso di lui, brontolando, «Sono impegnato in una questione molto importante, Athtar, e tu vieni a raccontarmi queste ridicole favole! Il Coronal non oserebbe mai nominare un uomo armathor, nemmeno se qualcuno gliene presentasse cento! Perché tutti i giovani cocciuti e i vecchi guerrieri del regno sputerebbero sulle proprie spade e gliele lancerebbero addosso!»

«È proprio ciò che stanno facendo, Gal», ribatté Athtar allegramente, «in questo preciso istante! Se sali su quel ceppo e ascolti, Gal… In questo modo sentirai…»

«Athtar… nooo

Le mani di Galan lo afferrarono con un istante di ritardo, e le perle rimbalzarono e rotolarono via. Respirando affannosamente, l’elfo alto con un occhio solo si ritrovò con le mani strette attorno alla gola di Athtar, che lo guardava con aria di rimprovero.

«Sei molto veemente in questi giorni, Gal», esclamò l’amico in tono offeso. «Un semplice “mi spiace per te” sarebbe stato sufficiente».

Galan lasciò la presa. A che cosa sarebbe servito? Ormai le perle erano perdute, eccetto quelle poche che – si udì uno scricchiolio sotto lo stivale destro di Athtar – rimanevano sul mantello, sotto i loro piedi. Galan gemette, fece un respiro profondo e gemette nuovamente. Quando parlò, il suo tono era gentile ma stanco. «Vieni a dirmi che il prossimo Coronal, un migliaio di anni dopo che ci avranno ucciso per i nostri misfatti e avranno dimenticato dove giacciono le nostre tombe, sarà un uomo. Dico bene? Dovrei sentirmi dispiaciuto per questo?»

«No, testa di legno! Non permetteranno che un uomo diventi Coronal! Il regno verrà prima dilaniato», osservò Athtar, scuotendolo per una spalla. «La confusione delle leggi e l’agitazione di tutte le casate consentiranno finalmente a poveracci come noi di emergere, con la spada sguainata! Detto ciò sollevò l’arma per festeggiare, e rise nuovamente.

Galan scosse il capo stizzosamente. «Non si arriverà mai a tanto. Come sempre. Troppi maghi sono in agguato per controllare le menti e minacciare i ricchi e i potenti che non riescono a portare dalla loro parte. Oh, ci sarà un gran trambusto, questo è certo. Ma il regno dilaniato? Per un solo uomo? Hah!» Si voltò per scendere dal ceppo, tentando di divincolarsi dalla presa di Athtar.

Athtar non lo lasciò. «Proprio così, Gal», affermò incalzante, abbassando la voce per sottolineare la sua eccitazione. «Proprio così! Quest’uomo conosce la magia, si dice, e la gente di corte favoleggia su come scuoterà l’intero regno. Qualsiasi cosa gli “succeda” – e accadrà, non temere, sicuramente per mano delle giovani spade – questa è la migliore opportunità che poteva capitarci per spezzare la morsa letale della vecchia guardia su Cormanthor! Salderemo qualche vecchio conto con gli Starym e gli Echorn, se non verremo calpestati dalle altre casate che tenteranno di fare la stessa cosa! A chi devi più soldi? Chi ti sta facendo più pressione? Chi può essere gettato nel fango della foresta a cui appartiene, per sempre?»

Mentre l’elfo dai vestiti di pelle riprendeva fiato e l’ultima domanda riecheggiava tra alberi circostanti, per la prima volta Galan guardò l’amico con vero entusiasmo.

«Ora stai suscitando il mio interesse», sussurrò, abbracciando Athtar. «Perciò siediti, e bevi un po’ di birra amara; è laggiù, accanto all’albero che perde la corteccia. Dobbiamo parlare».

Elminster, aiutami. Il grido nella sua mente era debole, ma in qualche modo familiare. Era possibile, dopo tutto quel tempo? Sembrava Shandathe di Hastarl, la ragazza che El aveva portato nella stanza da letto di un certo fornaio, con il quale aveva trovato una felicità inaspettata.

Elminster si mise seduto, e si accigliò. Nonostante fosse mezzogiorno il lavoro svolto insieme era stato estenuante, e la Srinshee stava dormendo, fluttuando nel vuoto della stanza, attorniata dal debole bagliore di un incantesimo riscaldante. Erano i fantasmi dei Dlardrageth che si stavano prendendo gioco di lui?

El chiuse gli occhi e dimenticò la stanza buia e il peso dei sortilegi recentemente memorizzati, poi eliminò pensieri e distrazioni e si avviò nel luogo oscuro in cui solevano echeggiare le voci mentali.

Elminster? Elminster, mi senti?

La voce era flebile e distante, ma stranamente piatta. Che cosa bizzarra! Elminster inviò ad essa un solo pensiero: dove?

Dopo un momento un’immagine giunse nella sua mente, ruotando come una moneta scintillante che sta per posarsi su una superficie. El vi si gettò dentro, e improvvisamente si ritrovò a fissare una scena buia, tempestosa: da qualche parte a Faerûn, mentre il vento sibilava tra le cime rocciose e gli alberi sottostanti, una donna giaceva prona su una roccia, le braccia e le gambe divaricate. I polsi e le caviglie erano legati a piccoli arbusti e il viso era nascosto dalla sua chioma. Quel luogo gli era sconosciuto, ma la donna avrebbe potuto essere Shandathe.

Elminster non riuscì in nessun modo a cambiare prospettiva. Era tempo di decidersi.

Il giovane si strinse nelle spalle; come sempre, esisteva una sola decisione che poteva prendere Elminster, il mago folle.

Sorridendo cupamente per quell’ultimo pensiero, El si alzò, aggrappandosi saldamente all’immagine del picco con la donna legata – una trappola sorprendente, questo doveva ammetterlo – e attraversò la stanza per toccare il cristallo della Srinshee. Esso poteva immagazzinare immagini mentali, e perciò mostrare alla donna dove stava per recarsi. La pietra si illuminò una volta, Elminster voltò le spalle alla luce e, allontanandosi, evocò l’incantesimo di cui necessitava.

Quando i suoi piedi toccarono terra, si ritrovò sul picco roccioso, sferzato da una brezza fresca. Era al centro di una vasta foresta che assomigliava in modo sospetto a quella di Cormanthor. La donna legata ai suoi piedi si stava restringendo, stava svanendo, e la sua sagoma si sollevò come fumo pallido. Naturalmente. Elminster richiamò alla mente quello che sperava essere il miglior incantesimo per l’occasione, e attese l’attacco che si sarebbe verificato di lì a poco.

In una stanza oscura, una figura fluttuante si mise a sedere e guardandosi intorno iniziò a domandarsi dove fosse l’uomo di cui era responsabile. Alcune battaglie dovevano essere affrontate in solitudine, ma già così presto?

Si chiese chi dei suoi simili fosse stato tanto celere a chiamarlo in battaglia. Una volta che la notizia della nomina da parte del Coronal si fosse sparsa nel regno, a El non sarebbero certamente mancati gli sfidanti, ma già ora?

Oluevaera sospirò, richiamò l’incantesimo elaborato in precedenza e si concentrò sull’immagine di Elminster immagazzinata nella mente. In pochi istanti avrebbe visto dove si trovava. Sperò con tutto il cuore di non dover essere la prima testimone della sua morte, prima ancora che la loro amicizia – insieme al sogno del Coronal e alla via che avrebbe garantito a Cormanthor un futuro migliore – fosse davvero iniziata.

Senza guardare il cristallo, gli fece un cenno, e lo toccò quand’esso le giunse vicino. L’immagine di un picco roccioso in mezzo alla foresta elfa balzò nella sua mente. La Roccia di Druindar, un luogo che solo un cormanthoniano avrebbe scelto per una discussione o un duello magico. La Srinshee inviò sul luogo la sua vista magica, e vide un giovane uomo dal naso adunco, a lei familiare, accanto a una donna legata, che non era affatto una donna legata, bensì…