La donna e i pali a cui era stata legata iniziarono a fluire e a scemare. Elminster indietreggiò con calma e guardò oltre il margine della roccia sulla quale si trovava. Ai lati vi erano due profondi strapiombi, tra i quali si ergeva una punta di roccia simile alla prua di una nave. Nella terza direzione vi era un terreno sconnesso, ricoperto da fitta vegetazione. Fu proprio dalla penombra di quei rami che giunse una risata fredda, quando la donna prigioniera si trasformò in una lunga spada di cinghiale dalla lama ondulata, emanante un bagliore verde. L’arma si sollevò agilmente da terra, roteò, e sfrecciò verso di lui.
Sapere che cosa sta per ucciderti non sempre ti consente di sottrarti con più facilità alla morte, come sostenne una volta un filosofo fuorilegge di Athalantar, ormai defunto.
Lo spazio per schivare il colpo era minimo, e a El rimanevano pochi secondi per agire. Quella spada poteva essere animata da un semplice incantesimo, ma poteva anche essere magica. Se avesse preso in considerazione la prima ipotesi e si fosse sbagliato, sarebbe sicuramente morto. Perciò…
Elminster aveva in mente solo uno dei potenti incantesimi insegnatigli da Mystra, e non voleva sprecarlo al primo pericolo, ma…
La lama mirava alla sua gola e mutava lievemente direzione quando El si spostava lateralmente, seguendo ogni suo tentativo di schivarla. Un istante prima dell’impatto il giovane sibilò la singola parola dell’incantesimo e agitò brevemente una mano chiusa a coppa.
La spada volante tremolò e si sgretolò nell’aria di fronte a lui. La luce verde sfrigolò e scomparve mentre la lama si trasformò in granelli di ruggine. Alcuni sfiorarono il viso di Elminster. Poi più nulla.
La risata tra gli alberi s’interruppe bruscamente, e divenne un grido: «Corellon aiutami… uomo, che cosa hai fatto?»
Un giovane elfo finemente vestito, i capelli come seta chiara, gli occhi due fuochi rossi e furiosi, balzò fuori dai cespugli, con le fiamme sempre più intense di un sortilegio attorno ai polsi.
Quando l’elfo si fermò imprecando sull’ultima roccia sopra Elminster, quasi piangendo di rabbia, il principe sollevò lo sguardo, usò un incantesimo per rievocare momentaneamente la distruzione della spada verde e domandò con tono tranquillo: «Si tratta di umorismo elfo o di una sorta di domanda trabocchetto?»
Con un urlo d’ira selvaggia l’elfo si gettò su El, lanciando fuoco dalle mani.
9.
Duelli di giorno, baldoria di notte
Dopo aver assistito a una battaglia d’incantesimi, pochi dimenticano l’antico detto umano: «Quando i maghi duellano, la gente onesta dovrebbe cercare un rifugio lontano». Nonostante i mantelli e gli araemyth rendano i duelli elfi più una questione d’intuizione e siano più complicati e lenti di quelli umani, quando i loro maghi si fanno la guerra, è pur sempre opportuno mantenersi a distanza di sicurezza. Fuori dal regno, per esempio.
«Tu… tu sciagurato!», ringhiò l’elfo, lanciando fuoco dalle mani e formando una rete di fiamme scoppiettanti. «Quella spada era un tesoro della mia casata! Era già antica prima che gli uomini imparassero a parlare!»
«Santo cielo», ribatté Elminster quando il suo incantesimo protettore fece effetto e divise le fiamme, che schizzarono via e crearono un anello di fuoco intorno a lui, «era un ammasso di cinghiali morti. Mi domando, quanti secoli sia campato ognuno di loro!»
«Umano barbaro e insolente!», sibilò l’elfo, saltellando attorno all’anello di Elminster. I capelli biondi gli carezzavano le spalle e ondeggiavano nella brezza come fiamme di un fuoco famelico.
Elminster girò su se stesso per non perdere di vista il nemico ed esclamò pacatamente: «Tendo a non essere troppo gradevole con chi tenta di uccidermi, ma non ce l’ho con voi, signore senza nome. Non possiamo fare pace?»
«Pace? Quando sarai morto, umano, forse, e quando i maghi di qualsiasi regno malvagio e grufolante ti abbia generato saranno stati costretti a rimpiazzare la sacra spada che hai distrutto!»
L’elfo furioso indietreggiò, sollevò entrambe le braccia sopra la testa, con le mani sempre puntate contro Elminster, e sputò frasi rabbiose. El mormorò una singola parola in risposta e schioccò le dita, trasformando la sua difesa in uno scudo che avrebbe rimandato alla fonte le magie ostili.
Tre fulmini blu, ognuno attorniato dal proprio nembo di luce, scaturirono dalle mani dell’elfo e raggiunsero l’ultimo principe di Athalantar. All’interno del suo scudo El si acquattò pronto, evocando nella sua mente un altro incantesimo, senza tuttavia sferrarlo.
I fulmini lo colpirono, avvolsero lo scudo in una nube silenziosa di luce bianca, e tornarono rapidamente al mittente.
L’elfo spalancò gli occhi sbalordito, poi li richiuse e contrasse il viso quando le saette si infransero contro la sua protezione invisibile. Naturalmente, pensò El. Ogni mago di Cormanthor indossava un mantello difensivo quando andava in guerra.
E di guerra si trattava, pensò Elminster, quando il signore elfo indietreggiò di qualche passo e borbottò un altro incantesimo, tra un nemico che aveva scelto il campo e aveva indosso un mantello protettivo, da una parte, e l’umano, bizzarro e odiato, dall’altra.
Questa volta l’incantesimo sferrato contro il giovane materializzò tre fauci con zanne aguzze e affilate, che si separarono prontamente per colpirlo da tre direzioni diverse. El si gettò a terra prono e sollevò la mano sinistra, in attesa, mentre un bagliore silenzioso indicava che le prime fauci si erano scontrate con lo scudo.
Queste indietreggiarono vacillando, dirette verso il signore elfo. Ma la seconda bocca ruppe lo scudo di El e i due incantesimi vennero a contatto, producendo una fiammata purpurea che colpì le rocce.
Le fauci respinte svanirono contro il mantello dell’elfo quasi nello stesso istante in cui la terza bocca si avventò su Elminster, seguendo una traiettoria bassa per spingerlo giù dal dirupo.
Dalla mano del principe in paziente attesa scaturirono una decina di sfere di luce che lasciarono dietro di loro una scia di minuscole scintille. La prima fece esplodere la bocca diretta verso. El, che svanì in un bagliore color verde e oro, e le altre sfrecciarono attraverso il fuoco dell’esplosione, verso l’elfo, preparandosi a scatenare una tempesta mortale.
Il signore innominato sembrò preoccuparsi per la prima volta, e sferrò un frettoloso incantesimo mentre le sfere rotanti gli si avvicinavano veloci. Indietreggiò di qualche passo per guadagnare tempo e terminare l’incantesimo, e incappò nella prima trappola di Elminster.
Le sfere non toccate dalla magia difensiva dell’elfo colpirono il suo mantello invisibile ed esplosero in un’innocua pioggia di luce; quelle colpite scoppiarono, invece, creando fulmini a tre punte, che si abbatterono su rocce, alberi e sull’avversario con uguale vigore.
Con un grugnito di dolore l’elfo barcollò all’indietro, e fili di fumo si innalzarono dal suo corpo.
«Niente male come difesa per un elfo senza nome», osservò pacatamente Elminster.
Le sue parole ebbero immediatamente l’effetto desiderato. «Ce l’ho un nome, umano», ringhiò l’elfo, le braccia intorno al torace per sopire il dolore, «mi chiamo Delmuth Echorn, di una delle più ragguardevoli casate di Cormanthor! Sono l’erede degli Echorn, e il mio rango in termini umani sarebbe “imperatore”! Cane incolto!»