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Si trattava dell’incantesimo più micidiale delle casate antiche, una magia di vendetta che prendeva la vita di chi l’aveva risvegliata. La Condanna dei Purosangue, la chiamavano alcuni. Il drago torreggiava sopra di lui, scuro, terribile nella notte, silenzioso quanto una brezza e fatale quanto una pioggia di veleno incantato. A contatto con esso la carne viva si scioglieva, si torceva, sfioriva e si raggrinziva, riducendosi a un putridume grigio e a un groviglio di ossa e di tendini.

Il governatore di Cormanthor rimase in piedi, avvolto nei suo potere, e osservò il drago colpire.

La bestia si abbatté su di lui con una pioggia che scosse l’intera isola, facendo frusciare le foglie tutt’intorno e infrangendo la quiete del lago, che fu solcato da un centinaio d’increspature. Dovunque rotolavano pietre, e il muschio si tramutava in cenere fumante. Ostacolato dalla cupola protettiva di Eltargrim, il drago si girò vorticosamente e ruggì, fluendo in un cerchio rabbioso attorno al re elfo.

Questi rimase fermo, imperturbabile, avvolto dallo scudo protettivo, e guardò la bestia svanire nell’oblio. Ancora una volta il drago sollevò la testa per minacciarlo, ma era solo un’ombra di ciò che era stato pochi attimi prima. Poi scomparve in una nuvola di fumo.

Quando tutto terminò, l’anziano elfo si passò una mano tremante fra i capelli bianchi e si inginocchiò nuovamente accanto alla donna. «Lyntra», esclamò triste, chinandosi a baciarle le labbra dalle quali fuoriuscivano ancora bolle di sangue. «Oh, Lyntra».

A contatto col potere del sovrano, il sangue sulla gola di lei si tramutò in fumo, proprio come aveva fatto il sortilegio mortale. E, quando le lacrime dell’elfo presero a scendere copiose, il fumo aumentò incredibilmente.

Eltargrim lottò per non piangere mentre i campanelli di cristallo tintinnavano nuovamente. L’affievolirsi del suo incantesimo portò alle sue orecchie uno scoppio di risa lontano e la musica chiassosa e selvaggia proveniente dalla festa degli Erladden. Lottò perché egli era il Coronal di Cormanthor, e ciò significava che aveva ancora una cosa da dire prima che il sangue cessasse di fluire e il corpo della donna diventasse freddo.

L’elfo gettò il capo all’indietro per guardare la luna, soffocò un singhiozzo, e abbassando lo sguardo sull’occhio sano di Ildilyntra esclamò con voce roca: «Sarai ricordata con onore».

E se, mentre cullava tristemente il corpo di colei che era ancora la sua amata, il dolore lo sopraffece, nessuno mai lo seppe.

PARTE I

L’uomo

1.

Sentieri selvaggi e scettri

Nulla si conosce del viaggio di Elminster dalla nativa Athalantar attraverso mezzo mondo ricoperto di foreste selvagge fino al favoloso regno elfo di Cormanthor, e si può solo presumere che sia stato privo di eventi degni di nota.

Antarn il Saggio
Da La grande storia della potenza degli arcimaghi faerûniani
Pubblicata approssimativamente nell’Anno del Bastone

Il giovane stava riflettendo intensamente sulle ultime parole pronunciate da una dea, perciò la freccia lo colse completamente alla sprovvista.

Gli sfiorò il naso, seguita da uno sciame di foglie rotte. Elminster ne seguì la traiettoria con lo sguardo, battendo le palpebre per la sorpresa. Quando guardò lungo la strada di fronte a lui, alcuni individui vestiti di pelli logore e sudice gli si pararono davanti, le spade e i pugnali sguainati. Erano sei o sette, e nessuno aveva l’aria gentile.

«A terra o morirai», annunciò uno di loro, con tono quasi affabile. El diede una rapida occhiata a destra e a sinistra: non vide nessuno dietro a sé, al che mormorò rapido una parola.

Quando schioccò le dita, un istante più tardi, tre dei briganti di fronte a lui vennero scaraventati lontano, colpiti da una forza invisibile. Le spade si sollevarono in alto, mulinando, e gli uomini sbalorditi piombarono nei rovi per poi rotolare per un certo tratto tra un’imprecazione e l’altra.

«“Ben incontrato” credo sia un saluto migliore», esclamò Elminster rivolto all’uomo che aveva parlato, e aggiunse un sorriso ironico alla sua nobile osservazione.

Il brigante divenne bianco in volto e iniziò a correre verso gli alberi. «Algan!», sbraitò. «Drace! Rinforzi!»

In risposta, dalla foresta verde uscirono, come vespe infuriate, numerose frecce.

El balzò giù dalla sella una frazione di secondo prima che due di esse colpissero la testa del suo destriero. Il fedele cavallo grigio emise un verso incredulo, soffocato, si impennò come per sfidare un nemico invisibile, poi si accasciò su un fianco e morì dopo aver scalciato un’ultima volta.

Per un soffio, tuttavia, non schiacciò il suo cavaliere, che si allontanò il più rapidamente possibile, mentre tentava di individuare l’incantesimo più utile per un uomo solo, in fuga tra felci e rovi, circondato da briganti armati di archi e nascosti dietro agli alberi.

Non voleva in nessun caso abbandonare la bisaccia. Ansimando per la fretta, El raggiunse un vecchio e grosso albero. Dopo aver notato che le foglie iniziavano ad assumere striature color oro e marrone a causa dei primi freddi dell’Anno dell’Eletto, cominciò ad arrampicarsi sul tronco coperto di muschio e, giunto a una notevole altezza, si guardò intorno fra i rami.

Lo scalpiccio gli indicava la direzione presa dai fuorilegge, che lo stavano circondando. Elminster sospirò e si appoggiò all’albero, mormorando un incantesimo che aveva deciso di utilizzare se fosse stato accerchiato da bestie feroci. Se non ne avesse fatto un uso immediato, nessuna belva lo avrebbe mai braccato. Terminò la frase, sorrise al primo brigante che sbirciava cautamente da un albero vicino… ed entrò nel tronco.

L’imprecazione sbalordita del ladro fu interrotta bruscamente quando El si fuse con il silenzio antico e paziente del gigante della foresta, e inviò i suoi pensieri lungo le sue possenti radici verso un altro albero sufficientemente grande.

Fece scorrere il suo corpo immateriale lungo la radice principale, cercando di non far caso alla sensazione di claustrofobia che faceva impazzire alcuni maghi quando tentavano tale sortilegio, ma Myrjala la considerava una delle sensazioni più importanti da saper controllare.

Tempo prima avrebbe forse potuto prevedere che cosa sarebbe accaduto quel giorno?

A quel pensiero il principe di Athalantar rabbrividì mentre saliva nell’altro albero. Tutto ciò che gli succedeva era volontà di Mystra?

E, in tal caso, che cosa sarebbe accaduto quando la sua volontà si fosse scontrata con quella di un dio, che guidava un’altra creatura?

Quella foresta, dopo tutto, l’avrebbe attraversata volando sotto le spoglie di falco, se lei non gli avesse ordinato di raggiungere a cavallo il favoloso regno elfo di Cormanthor. Un rapace sarebbe stato troppo alto per le frecce di quei briganti, se mai avessero voluto colpirlo.

Quel pensiero riportò Elminster alla luce del giorno. Il giovane uscì dal legno caldo e scuro, e si ritrovò immerso nel sole, la strada una striscia di terra fangosa alla sua sinistra, e l’abito di pelle impolverato di un brigante a due passi da lui sulla destra. Elminster non riuscì a resistere alla tentazione di fare una cosa che lo aveva divertito anni prima nelle strade di Hastarclass="underline" gli sfilò il pugnale dal fodero tanto dolcemente e abilmente che il brigante neppure se ne accorse. Sull’impugnatura era incisa la sagoma di un serpente pronto a colpire.

Poi si irrigidì, non osando fare nemmeno un passo per timore di calpestare le foglie secche, e rivelare la sua presenza. Rimase immobile come una roccia mentre l’uomo si allontanava a grandi passi, muovendosi cautamente verso la direzione che aveva preso il giovane mago.